UNA VITA DI CIFREMATICA. Verdiglione a Padova 2022
- Chinaglia Ruggero, Verdiglione Armando
19 ottobre 2022. Testo della videoconferenza di Armando Verdiglione dal titolo Una vita di cifrematica, introdotta da Ruggero Chinaglia, medico, psicanalista, cifrematico, nella Sala Livio Paladin di Palazzo Moroni, a Padova
UNA VITA DI CIFREMATICA
In questa occasione sono stati presentati gli ultimi libri di Armando Verdiglione, Urkommunismus, La paura della parola, Il carcere, La questione della parola, Il gusto dell’onestà, editi dall’Associazione Amici di Spirali.
Introduce
Ruggero Chinaglia Buonasera agli amici e alle amiche che si trovano questa sera qui con noi, ringrazio ciascuno che è venuto in questa circostanza. Noi siamo qui nel proseguimento delle attività dell’Associazione cifrematica di Padova e nella missione e nel compito civile che ci sono propri. Le attività dell’associazione proseguono settimanalmente con un dibattito che, in questo periodo, si svolge il giovedì sera alla Sala “Ai caduti di Nassiriya” del Quartiere centro. L’argomento di questi nostri dibattiti attualmente riguarda L’istinto, il desiderio, il bisogno. Il lutto, il dolore, il trauma. È un’esplorazione linguistica e analitica delle questioni che ruotano attorno a questi temi e che riguardano la vita di ciascuno.
Questa sera, invece, presentiamo i libri più recenti, editi dall’Associazione Amici di Spirali, del professore Armando Verdiglione che è fondatore e inventore della cifrematica. Questi libri sono Urkommunismus. La paura della parola; Il carcere. La questione della parola; Il gusto dell’onestà.
Contrariamente ai libri pubblicati con il marchio Spirali fino al 2012, questi libri pure avendo il marchio Spirali sono editi dall’Associazione Amici di Spirali, perché nel 2013, in seguito alla tristemente nota “Operazione guru” e ai processi che ne sono seguiti, la casa editrice è stata dichiarata fallita. Sul pretesto fiscale è stata organizzata dalla Guardia di Finanza di Milano e dal Tribunale di Milano un’operazione che aveva in realtà lo scopo di annientare e distruggere quanto era sorto intorno al progetto culturale, scientifico, artistico, che va sotto il nome di secondo rinascimento. Si tratta di musei viventi, della casa editrice, di associazioni, società, un hotel cinque stelle lusso, della Villa San Carlo Borromeo, sede di congressi, d’attività e di incontri con intellettuali, artisti, scienziati di tutto il pianeta, e a questo è seguita una produzione editoriale straordinaria. “Operazione guru” è l’operazione d’annientamento e è anche il titolo di un libro in cui Armando Verdiglione racconta questa operazione. Occorre dire che c’è una strana affinità, e una sorta d’identità di spirito, fra “l’Operazione guru” e “l’operazione militare speciale” di più recente attuazione, che con il pretesto della denazificazione dell’Ucraina sta cercando di distruggerla e di annientarla.
La casa editrice Spirali è sorta formalmente nel 1980, ma ha cominciato la sua operatività nel 1978 con l’edizione della rivista “Spirali. Giornale internazionale di cultura”. L’attività redazionale era già in atto da tempo, nell’ambito dell’esperienza intellettuale della cifrematica, che è cominciata nel 1973. L’attività editoriale era già in corso, come attività redazionale, per via di collaborazioni che Armando Verdiglione aveva istituito anche con altri editori italiani e esteri. La rivista “Spirali” ha segnato effettivamente una tappa molto importante nella storia culturale sia del nostro movimento ma anche dell’Italia, perché è stata una rivista che, nel giro di pochi mesi, ha raggiunto una tiratura e una vendita in edicola e in libreria di circa cinquantamila copie, in un periodo storico in cui la cultura era ammessa sotto la sudditanza e l’egida di un’ideologia. Qui si trattava, invece, di un’impresa libera.
Il catalogo della casa editrice è un catalogo straordinario, contiene autori di vari paesi, annovera autori italiani, di provenienza internazionale, premi Nobel, dissidenti di vari paesi, russi, ebrei, musulmani, bulgari, egiziani, cinesi, americani, tedeschi, francesi. Intellettuali che in quel momento non trovavano la possibilità di essere pubblicati, né nel loro paese né in Italia, proprio perché erano dissidenti, e la dissidenza è stata e è una caratteristica costante nell’opera di Armando Verdiglione e è ciò che sta alla base della persecuzione giudiziaria nei suoi confronti. Perché di persecuzione si tratta, sia nei confronti della sua persona sia nei confronti della sua opera. La vaghezza e la insussistenza delle accuse è stata dichiarata inizialmente anche dal Tribunale di Milano che, in prima battuta, non aveva accolto la domanda di rinvio a giudizio, l’aveva respinta e poi è stata dichiarata ancora dal Procuratore generale del processo d’appello, che aveva chiesto l’archiviazione per Armando Verdiglione e gli altri imputati. Quindi, siamo dinanzi a un effettivo caso di persecuzione.
Questa sera, come è constatabile, Armando Verdiglione non è qui in sala con noi, come è stato invece nelle precedenti occasioni, in particolare nell’ultima, proprio in questa sala il 26 giugno 2018, quando presentammo altre sue opere, ma è collegato telematicamente. Questo perché il 5 settembre del 2018 si è costituito in carcere per la sentenza della Cassazione nei suoi confronti e dal 9 novembre dello stesso anno è in detenzione domiciliare, nonostante le ripetute richieste di affidamento ai servizi sociali cosa di cui ha diritto, sia per le condizioni di salute sia per l’età; ma la “pericolosità sociale” dell’imputato ha sempre suggerito ai giudici di respingere quest’istanza a tutela della società, che sarebbe messa in pericolo! E dove sta la “pericolosità sociale” dell’imputato? La pericolosità sociale dell’imputato sta nei suoi libri e nelle sue opere, nei libri che presentiamo questa sera e nei libri che ha scritto durante la sua vita sino a qui. Questo perché le sue attività artistiche, culturali, scientifiche sono state considerate attività politiche non socialmente condivisibili. A proposito di questa necessaria condivisione, come non pensare alla dichiarazione dell’altro giorno di Xi Jinping al Congresso del partito comunista cinese, che ha dichiarato che il futuro della Cina sarà di “espansione e prosperità condivise”.
Condivise, cioè senza dissidenza. Questo è il programma di ogni regime: la condivisione, cioè l’abolizione della dissidenza, in particolare, della dissidenza che è la virtù del principio della parola. Come abolire, come rinunciare alla dissidenza!
Ecco la questione e ecco perché noi confidiamo che la Corte Europea di Strasburgo riconosca i vizi dibattimentali e procedurali, con le varie lesioni dei diritti della difesa, che questi processi hanno avuto e che si giunga quindi a ben altra conclusione.
Il primo dei tre libri che abbiamo qui sul tavolo e che presentiamo è Urkommunismus. La paura della parola. È un libro in cui si scrivono l’esplorazione analitica e linguistica e la lettura dei così detti scritti fondatori delle religioni, delle ideologie, dei riti misterici delle civiltà più antiche, con il racconto delle loro riverberazioni e conseguenze nelle dottrine politiche, economiche, istituzionali, della società attuale, sia in Oriente sia in Occidente. I testi, che vengono esplorati in questo libro, sono per esempio i Rigveda, la Bhagavad Gita, le Upanishad, l’Avesta, l’Yijing, Laozi e il Daodejing, Liezi, Zhuangzi, i Veda, la Bibbia, Buddha, la Vesta, il Corano, alcune tragedie greche classiche, gli scritti di Confucio, di Mao, del Dalai Lama. È un ampio panorama, che consente di capire ciò che accomuna i regimi, gli ordinamenti, la mentalità, le credenze, le immaginazioni, le discipline, pure apparentemente differenti tra loro. Il fattore accomunante è l’idea di un luogo ideale comune, un luogo ideale utopico, che funge da riferimento al progetto di un’origine comune, pura o radicale, e al conseguente imperativo di un’unità di spirito che deve condividere tutti. Questo luogo comune è proprio ciò che istituisce la paura della parola.
Il secondo libro è Il carcere. La questione della parola. In questo libro, che comincia con il racconto e la testimonianza della sua vita, Armando Verdiglione analizza le questioni sociali e politiche del carcere, e le svolge accanto al racconto dell’ingiusta detenzione nelle carceri di Bollate, di Opera e nel reparto ospedaliero carcerario dell’ospedale San Paolo, dove è stato ricoverato in pericolo di vita nel 2018, perché incompatibile con le condizioni carcerarie. È un racconto intenso, drammatico, senza però mai un cenno di vittimismo; è anche l’analisi del modo in cui il modello penale e penitenziario sono applicati anche al di fuori del carcere e del tribunale contro l’arte, la cultura, l’impresa libera, contro la vita stessa.
Il terzo libro è Il gusto dell’onestà, che contiene l’analisi del caso dell’Italia, dell’Europa e non solo, in cui Verdiglione scrive: “Quando subisci un torto è il destino che ti viene incontro, non il tuo destino, ma il destino della vita nel suo divenire cifra, il destino dell’onestà”. Qui si scrive dell’onestà quale proprietà del narcisismo della vita, quale destino cifrale della vita. Quindi qui è narrata l’altra faccia della luna, la navigazione degli oceani e delle galassie della parola, e perciò la lettura di questo e degli altri libri, e del loro testo, è già esperienza di un’altra vita.
Ecco, allora, invito Armando Verdiglione a tenere la sua conferenza.
Armando Verdiglione Ringrazio chi è intervenuto fino a adesso, cioè Ruggero Chinaglia, voi che siete in sala e coloro che sono collegati e possono udire ciò che in breve dirò questa sera.
Il 5 febbraio prossimo sono ormai cinquant’anni rispetto al 5 febbraio 1973. Era un’altra epoca. Era l’epoca in cui c’era una sorta di apogeo dell’ideologia e quindi i movimenti c’erano, ma erano movimenti che andavano in direzione del terrorismo o in direzione della droga. Allora, il 5 febbraio, con altri amici, si enuncia una questione e una scommessa: è con questa questione e con questa scommessa, di cui adesso vi dirò, che si fondano, si costituiscono un Movimento cifrematico, l’Università internazionale del secondo rinascimento, la casa di produzione e di edizione; prima, collaborazioni con altri editori, con (Vittorio?) Feltrinelli, poi con la direzione delle collane presso Marsilio e una presso Sugarco, poi con la nascita del giornale in Italia e a Parigi “Spirali” e poi un Museo vivente.
Qual è la questione che debutta il 5 febbraio del 1973? È la questione intellettuale, è la questione che mai era posta dopo la seconda guerra mondiale, e certamente non prima, la questione della parola, della parola originaria. La parola originaria, la parola libera era bandita; ciò che vigeva era il discorso, il discorso ideale, il discorso del nulla, il discorso della morte e quindi non la parola, non la vita in atto, cioè la parola. Quindi questa è la questione. La questione: il modo del due, la traccia, la traccia stessa della vita, l’ironia della sorte, il regalo della sorte, la stessa famiglia come questione intellettuale, come mito e come traccia. La questione intellettuale è quella che, dunque, non è ironia sociale, ma ironia della sorte, quindi modo dell’apertura, da cui procede per integrazione il dispositivo del gerundio della vita secondo l’aritmetica e in direzione della qualità. Questa questione era inedita. Questa è la questione che è rimasta, e rimane per questi cinquant’anni, e rimarrà ancora, cioè: le cose non procedono dall’uno, non c’è più l’idea di uno, l’idea di unico, l’idea di unità, l’idea di relazione, l’idea di uguale, l’idea della cosa; cioè non c’è più l’arbitrio dell’idea come arbitrio dell’idea del nulla e dell’idea di padronanza, e l’arbitrio dell’idea di uguale ossia dell’idea di impero. Allora, non c’è più l’arbitrio dell’idea, ma l’idea sì, l’idea assoluta, l’idea che opera per la scrittura dell’esperienza, l’idea che procede dalla questione della parola, quindi dal modo dell’apertura. Il modo dell’apertura potete chiamarlo speranza, promessa, ma assoluta, non speranza in qualche cosa, quindi non la scelta ideale; il modo dell’apertura è l’eresia come, appunto, scelta assoluta, non ideale, dove non c’è nessuna strada obbligata.
Questa era la questione: la questione della parola. Quindi, procedendo da questa questione veniva inaugurato un dibattito planetario, congressi fin dal 1973, 1974, 1975, 1976 con tremila, cinquemila persone a Milano, oratori che venivano da ogni parte del mondo, e uditori per il settanta per cento stranieri e per il trenta per cento italiani. Era qualcosa che era seguita dalla stampa mondiale, e questo in Italia a Roma, a Venezia e in altre città ma, subito, fuori Italia, a Parigi, a Londra, a Francoforte, a Lubiana, a Barcellona, a Cordova, a Lisbona, a Caracas. Subito dopo ancora, e sempre nell’arco dal 1973 al 1985, a New York un congresso davvero planetario, ottanta giornalisti che sono venuti apposta dall’Europa, oltre ai giornalisti che stavano a New York, quindi un evento assolutamente seguito da stampa e televisioni di tutto il mondo. Come già era avvenuto a Milano. A Milano, nel congresso del 1975 Sessualità e politica e nel 1976 La follia c’erano cinque giornalisti soltanto del giornale “Le Monde”. Allora, per dodici anni, radio, televisioni e giornali ogni giorno in tutta Europa, in America, in Giappone e in altri paesi, persino in Cina, discutevano, facevano reportage, e ampi video e film intorno a questi congressi. Era un vero e proprio dibattito, cioè un dispositivo della parola.
Non c’era prima un dibattito, c’era quello che si chiama il dialogo e cioè la forma principale del monologo che, quindi, procede dall’uno, non procede dal due. Il dialogo è una logica e la logica è soltanto logica della compensazione, logica mercenaria, logica dell’omertà, logica dell’uguale, logica dell’alternanza e dell’alternativa, non c’è appunto l’aritmetica della vita; la logica porta all’algebra e alla geometria della vita, all’algoritmo algebrico e all’algoritmo geometrico, all’algoritmo penale e all’algoritmo penitenziario. L’aritmetica della vita è l’idiomatica, la particolarità, quella questione che si è chiamata questione ebraica, questione della particolarità; la particolarità, secondo cui la dissidenza, l’idiomatica, secondo cui le cose procedono è l’aritmetica, è il numero. Qual è il numero della vita. Il numero della vita è la sua dissidenza, la sua idiomatica e la sua particolarità.
Allora, questo dibattito non ha nulla a che vedere con il contradditorio logico, quello che passa attraverso la dimostrazione e la confutazione e, quindi, attraverso quella che si chiama la definizione. La definizione poggia sulla funzione di morte e sulla funzione del nulla, ma il dibattito è indipendente dall’arbitrio dell’idea, quindi indipendente dalle ipostasi del nulla, della morte, del sistema e del soggetto, cioè la vita è senza soggetto. Dicevo al congresso di New York: “Quello che voi chiamate psicanalisi come tale non esiste”.
Allora, è molto curioso che io, nella Dissidenza freudiana uno dei primi libri, dica quali sono stati gli attacchi verso l’ebreo Freud da parte di Mussolini, Gramsci, Padre Gemelli. Padre Gemelli che nel 1924, quando muore Momigliano, dice: “Ah, se morissero tutti gli ebrei della terra, sarebbe una bella soddisfazione”. Padre Gemelli fondatore dell’Università Cattolica, ispiratore delle tesi di Pio XII del 1952 contro la psicanalisi; ma tutto questo pregiudizio, che allora chiamavano contro Freud, era demonologia. La demonologia è l’ideologia della dipendenza. Questa demonologia è una reazione al rinascimento della parola e alla sua industria, è la reazione alla parola libera che c’è da cinquecento anni e si chiama Riforma cattolica attraverso Carlo Borromeo e si chiama Riforma protestante attraverso Calvino sistematizzato da Cartesio, e attraverso Lutero sistematizzato da Hegel. Quindi, ci troviamo dinanzi nient’altro che alla fenomenologia, che passa poi attraverso le così dette scienze umane: antropologia, sociologia, psicologia, quindi qualsiasi tipo di dossìa. Questo è ciò che resta e tutto ciò si chiama laicismo; non è necessario credere in Dio basta credere nel dialogo, basta che ci sia quest’idea del nulla come idea di padronanza e quest’idea dell’uguale come idea d’impero. Allora, l’idea di uguale è un’idea gerarchica, egemonica, e vale per un partito, il partito di spirito, il partito gerarchico egemonico.
Il 5 febbraio 1973 si enuncia non solo la questione della parola, ma anche c’è una scommessa. La scommessa non era soltanto “entro vent’anni non ci sarà più l’Unione Sovietica”, perché a me bastava avere letto i dissidenti, gli scritti che avvenivano in Unione Sovietica da parte di scrittori e dei dissidenti, per intendere che ormai non c’era più l’Unione Sovietica. Non c’era più chi, nemmeno nella nomenklatura, credesse nell’ideologia e allora sarebbe terminata entro vent’anni, e è avvenuto prima. Ma non era questa la scommessa. La scommessa era la scommessa intellettuale. Questi giovani che allora andavano verso la droga o verso il terrorismo, invece, stavano in Italia dove un artista ha inventato la scienza, cioè Leonardo da Vinci, e poi Machiavelli ha inventato la lingua diplomatica oltre alla politica. L’Italia non era affatto al tramonto, e così l’Europa non era al tramonto, ma era il faro della civiltà della vita. Questa è la scommessa: scommessa intellettuale, scommessa ancora una volta della parola. Ma enunciare una scommessa intellettuale mentre nelle piazze di Milano folle di giovani gridavano: “Stalin, Lenin e Mao” e “Basta! Finito! Finito!”. Questo era. Quindi ogni giorno, ogni settimana attentati, assassinii e la droga che dilagava dappertutto. Ma c’era un’inquietudine, mai c’è stato il boom dei libri come allora; cioè gli editori non sapevano cosa stampare perché c’era una curiosità enorme, un’inquietudine enorme, un’esigenza linguistica, un’esigenza di lettura, e allora, così comincia questo Movimento con pochi giovani, che subito diventano moltissimi in Italia e negli altri paesi. Allora, a un certo punto avevamo trenta sedi all’estero e in Italia, tremila collaboratori all’estero e tremila collaboratori in Italia. È vero il riferimento che faceva prima il dottor Chinaglia alla persecuzione anche su pretesto fiscale, ma noi manteniamo tuttora ottomila copyright di ottomila autori di libri; tuttora abbiamo un catalogo che è, diciamo, costituito da classici, cioè ciascun volume pubblicato da questa casa editrice è un classico. La classicità è data dal fatto che non è semplicemente qualcosa che debba sostituire il discorso, ma è una scrittura, che è la scrittura dell’esperienza. E, quindi, noi abbiamo invitato alla tribuna planetaria i testimoni della civiltà della vita, non gli oppositori. Erano testimoni della civiltà della vita in Unione Sovietica, in Cina, nell’Islam, a Cuba, ma anche rispetto all’establishment, anche alcuni medici che avevano delle proposte nuove che subivano l’ostracismo da parte appunto dell’establishment, ma dopo cinque anni prendevano il premio Nobel. Però questa era la nostra tribuna, cioè dare la tribuna per i testimoni della civiltà della vita.
Allora, il congresso, il Museo vivente, i forum, i festival erano questi i dispositivi, accanto al dispositivo editoriale, al dispositivo della comunicazione, al dispositivo dei dibattiti in diverse città italiane e estere che si costituivano; attualmente ci sono in vari paesi del mondo équipe e seminari che si riuniscono ogni giorno attorno ai miei libri che sono centoventisette e sono tradotti in moltissime lingue. Questo oggi. Quindi sono libri classici, non solo i miei, ma anche quelli della casa editrice. Chiaramente nel 1973 sarebbe stato semplice aderire all’ideologia, aderire a un partito, prendere una tessera e, allora, avere un successo facile: il successo del luogo comune. Quindi, c’è una sostanza di morte che si chiama luogo comune, e si somministra agevolmente e facilmente, e si assume agevolmente e facilmente, e ci si consuma anche, con questa sostanza di morte. Ma questa tessera non era fatta per me, non era fatta nemmeno per tutti quei giovani che erano inquieti, che non avevano l’idea d’appartenenza, cioè non avevano l’idea di uguale, non aderivano affatto all’arbitrio del canone dell’omertà e quindi al canone del conformismo sociale. Allora, librerie, centri, dibattiti. Ciascun libro era ciò che della memoria si scrive, ma era anche il pretesto per il dibattito, per altra scrittura, come i congressi erano occasione certamente d’incontro tra coloro che non s’incontravano nella loro città. Persone che venivano da New York, da Tokyo o da Pechino, che nelle loro città non s’incontravano, e s’incontravano in questi congressi e soltanto in questi congressi si trovavano a dimorare nella parola libera e quindi in un nomadismo linguistico, si trovavano sul terreno linguistico, sul terreno della lingua della loro esperienza e cioè sul terreno della lingua della scrittura della loro esperienza. Ripeto era e è un dibattito planetario, non è che basti ci sia una persecuzione perché queste cose cessino, assolutamente no, perché noi dimoriamo nel cosmo della vita, non usciamo dal cosmo della vita, nel cosmo della vita non ci perdiamo e non ci sbarriamo. La vita è la vita in atto, e l’atto è nel suo pleonasmo e nella sua anomalia; cioè, anomalia significa che nulla è uguale, che uno non è uno, anziché uno è uno, perché se uno è uno, uno muore e per diventare unità c’è l’unità del molteplice e la molteplicità dell’uno, cioè c’è l’algoritmo algebrico e l’algoritmo geometrico.
Questo per accennare alla questione del 1973 e alla scommessa. Erano gli anni settanta, quindi per l’arte c’era il concettualismo, ma questa scommessa si rivolgeva all’arte e all’invenzione, come i due aspetti essenziali dell’esperienza come struttura, senza riferimenti ideali. Nel mio villaggio, quindi molto prima del 1973, non c’erano riferimenti ideali, io non ho e non avevo un libro di riferimento, io non avevo un autore di riferimento, non li ho mai avuti e mai li avrò. Che cosa comporta questo? Che non c’è un ancoraggio al ghenòs ideale, al ghenòs familiare, al ghenòs provinciale e quindi ci sono le virtù che non sono mai del soggetto, sono virtù dell’atto, sono virtù della parola, sono virtù del principio della parola. La parola si staglia sul suo principio e sono le virtù della parola, queste virtù esigono la tolleranza, esigono che cosa? L’accettazione della vita. Ma quanti accettano la vita? Perché ognuno, e non già ciascuno, cioè quei tutti di Aristotele, della definizione di Aristotele basata sulla funzione di morte “tutti sono mortali”, ognuno non accetta la vita, ognuno parte sulla base dell’odium sui, in base a un amore ideale, ma l’altra faccia dell’amore ideale è la morte, la morte ultima. Perché non c’è dottrina misterica che non prometta di sconfiggere la morte e quindi questa morte è l’ultima, questo è l’ultimo caso che stiamo trattando, ogni caso è l’ultimo caso di morte. Eh, no. Il caso non è mai caso di morte, il caso è nella parola e è caso di qualità, cioè il caso non è preso nel trattato della divinazione come l’Yijing nell’antica Cina, come i Veda, come l’Avesta o come l’Iliade o come i vari libri fondatori delle dottrine misteriche, che sono le dottrine imperiali, sono quelle su cui si basano, oggi stesso, i regimi.
L’epoca è fatua, l’epoca è fatta dell’arbitrio dell’idea, l’epoca è fatta della superstizione, è fatta della gnosi, è fatta della conoscenza. E questa è l’epoca, ma noi non siamo nell’epoca, noi siamo nella parola e quello che importa è l’era della parola, l’era della parola è l’era intellettuale. E l’era di quello che abbiamo chiamato il secondo rinascimento rispetto a cui abbiamo fatto un manifesto, è l’era della repubblica dei cittadini, non la repubblica dei soggetti. Quando al congresso di Tokyo, nell’enorme congresso di Tokyo, io dico: “La clinica della parola è la clinica senza pazienti”, è perché tutte le discipline che fanno leva sul soggetto, sono discipline conformi alle dottrine misteriche, cioè conformi alle superstizioni, cioè alle religioni del nulla e alle religioni della morte.
La cifrematica è la vita in atto, la cifrematica è la mia vita, è la vita di ciascuno di voi. Questa è la cifrematica: la vita di ciascuno di voi nella sua particolarità, nella sua specificazione linguistica, nella sua domanda di qualità, nel suo dispositivo, nel dispositivo linguistico del gerundio della vita. Questa è la cifrematica, non è qualcosa per la quale occorre l’iniziazione, anzi è senza nessuna iniziazione, perché l’iniziazione serve a imparare che cosa? Serve per imparare a morire, serve per diventare un caso di morte, che sarà sempre l’ultimo e sarà trattato dall’altruismo come l’ultimo. L’altruismo è la forma principale di cannibalismo, cioè di assorbimento dell’Altro nell’unico, sotto il segno dell’unico. E ci sono, quindi, le dottrine sotto il segno dell’unico, voi trovate l’Islam che è sotto il segno dell’unico, la religione Ortodossa la trovate sotto il segno dell’unico, quindi che abolisce il filioque, i Veda, la più antica, seimila anni prima di Cristo, sotto il segno dell’unico, l’Yijing che viene dopo, quindi, Trattato del cambiamento e Trattato della divinazione che trovate in Cina, è sempre sotto il segno dell’unico. È sotto il segno dell’unico, cioè, che c’è una unità fra il principio primo, principio radicale, principio apocalittico e il principio iniziale, principio puro, principio messianico e questa unità principiale è l’unità divina, che si trova entro l’unità ideale, che si trova presso tutti i misteri, l’unità che si dovrebbe sempre raggiungere, che viene sempre esaltata. Qualsiasi squadra deve servire all’unità, l’unità dell’azienda. L’azienda basata sull’unità ideale è l’azienda totale, l’istituzione basata sull’unità ideale è l’istituzione totale e ovviamente il regime basato sul segno dell’unico è il regime totalitario.
Allora, la parola non si parla, e questa è l’afasia. E la parola ha la sua lingua, che è la lingua che non si parla, sta qui l’alingua, la lingua della scrittura e la lingua della scrittura dell’esperienza. C’è qualcosa pure di importante in tutto ciò, che è la procedura. La procedura, nel gerundio della vita, è la procedura per integrazione: le cose procedono dal due, quindi dall’apertura, dalla relazione assoluta e dall’inconciliabile del modo del due secondo la particolarità, secondo la dissidenza, secondo l’aritmetica, procedono per integrazione. Questa procedura per integrazione non è la procedura unitarista. La procedura unitarista è la procedura della morte, della morte come pena, della morte come fine, cioè la procedura presa nella logica dell’alternanza e dell’alternativa; dell’alternanza tra presenza e assenza, fra immanenza e trascendenza, tra possibile e impossibile, tra probabile e improbabile, fra espressione e depressione, fra esplosione e implosione, e anche dell’alternativa fra la vita e la morte, fra il vero e il falso, fra amico e nemico. Questo è lo schema demonologico su cui si basano le varie dottrine. Ma, anche il così detto discorso scientifico, anche tutto ciò che si pratica all’insegna dell’universale e dell’universitario. L’universale, cioè sempre l’algoritmo algebrico e l’universitario l’algoritmo geometrico, l’algoritmo penitenziario.
Allora, è chiaro che fare tutto ciò in dodici anni a livello planetario, senza avere pagato la dogana ideologica, senza la tessera del partito, senza nessuna compiacenza, nessuna quiescenza verso il partito di spirito della provincia Italia, è ritenuto scomodo, si emette una fatwa, questa fatwa parte già subito dal 1973, parte dai giornali e dal partito di spirito; la fatwa non è che debba essere eseguita subito, viene seguita man mano, continua a essere ripetuta, ripetuta, ripetuta, e quindi la persecuzione c’è, in Italia. Ma questa è la persecuzione della provincia Italia. La provincia Italia è stata sempre la provincia bolscevica, la provincia bolscevica c’era già anche con Dante. Arriva Federico II in Italia, arriva la cultura, l’arte, la lingua italiana che parte dalla scuola siciliana – non viene inventata a Firenze ma dalla scuola siciliana – e avviene che i bolscevichi, che sono i papisti, cioè sono quelli della comunità di spirito della luogocomunità, questi appunto sono i bolscevichi, questi bolscevichi condannano e cominciano le persecuzioni. Incominciano veramente già con Ambrogio, che vuole l’umiliazione di Teodosio e poi proseguono sopra tutto dopo il 1200. Ma non c’è soltanto la provincia, non c’è soltanto la persecuzione, perché c’è qualcosa che s’inaugura e s’inaugura assolutamente con Federico II e con l’Italia, cioè s’inaugura qualcosa per cui può intervenire Giotto; ma i bolscevichi non tollerano mai chi è scomodo. La fedina penale di Dante comportava diverse condanne a morte, lui ne ha ricevuta una, è fuggito da Firenze, ha scritto la Divina Commedia, è nato poi: “Sì come sa di sale lo pane altrui” e “scendere e ‘l salir per l’altrui scale” e quindi va da Cangrande della Scala, va a Ferrara, va a Ravenna dopo poi, come sappiamo, muore. Questa è una delle persecuzioni, ma questo non toglie che ci sia la scrittura e sopra tutto poi arriva il Rinascimento, arriva Leonardo da Vinci, arriva Niccolò Machiavelli e Ludovico Ariosto; e poi dopo man mano abbiamo Bruno, Vico e sopra tutto, a un certo punto, Giuseppe Peano. Giuseppe Peano che dice: “Lo zero non è il nulla, lo zero è numero”, Ma come qualcosa che Leonardo aveva scritto. Incomincia a dire questo, cosa che Leonardo scrive, lo scrive Peano, matematico, e diventa un grandissimo matematico, è la rivoluzione. Ma è già con Leonardo che il nulla, il nulla di cui non c’è idea, lo stagliamento stesso della parola è ciò di cui si tratta, già con Leonardo lo zero entra nella series singolare triale. È già con Leonardo che parte la procedura per integrazione, è solo allora che lui può dire che non c’è più la distinzione tra l’arte liberale e l’arte meccanica, tra il manuale e l’intellettuale, perché il manuale è intellettuale, la mano è la mano intellettuale e questa mano intellettuale è l’aritmetica, è l’aritmetica della vita: questa è la mano, quindi, sono cinque aritmetiche. Una è appunto relazionale e poi la funzionale, l’operazionale, la dimensionale…
Quindi, non è un incidente di percorso che ci sia stata la persecuzione per cinquant’anni o che la persecuzione contro Armando Verdiglione sia stata la più imponente, rispetto a cui c’è stato uno spreco di denaro pubblico, di ogni forza per potere aggredire, ma è la caratteristica di questa provincia, dove il bolscevismo, che era appunto nella provincia Italia, è diventato modello borromeo, poi modello giacobino, modello stalinista e modello penalpopulista. E io mi sono trovato con il pool, nel 1985, il pool che poi si è chiamato Mani Pulite era già lì tutto completo, si è esercitato prima sulla cultura e sull’arte. Ma come si fa a colpire la parola? La parola non è un reato, non c’è il reato della parola e allora, è per analogia, che nel ’36 in pieno nazismo in Germania viene trovato il principio d’analogia: non c’è il reato, ma per analogia, ne troviamo un altro. Il reato di plagio era stato abolito, e siccome loro credono demonologicamente nell’ideologia della dipendenza non riescono a tollerare che la vita sia indipendente, che sia libera, che la parola sia libera e che le struttura siano libere, che un investimento intellettuale sia un investimento intellettuale e un profitto intellettuale sia un profitto della vita, allora intervengono con questa ideologia della dipendenza. Ma, ripeto, non è un incidente di percorso, perché tutto ciò che fa parte di questa formula che vale da saldatura nel canone dell’omertà, io mi sono trovato mano a mano a analizzarla, quindi a inscrivere nell’esperienza tutto ciò che entrava da qualunque parte, anche con la persecuzione, perché ciò che importa è la non accettazione del ruolo di vittima.
Io non sono vittima, io non sono soggetto, io non sono penitente. Figurarsi se io ho mai avuto pazienti, quindi l’esperienza originaria, l’esperienza della parola, è l’esperienza senza soggetto. Dovunque s’introduce il soggetto, s’introduce la dottrina misterica e s’introduce anche la mistica del realismo dell’uguale. Quindi la scommessa di cui accennavo, è la scommessa per la salute e per il piacere e quindi non era una scommessa per la malattia. La malattia è considerata malattia dell’Altro e quindi malattia di morte, malattia mentale o malattia del tempo, quindi malattia mortale; la malattia porta alla morte come pena o alla morte come fine, insomma la malattia è presa nell’alternativa tra il vero e il falso, tra la vita e la morte, tra amico e nemico. In breve, la cifrematica è la vita che nessuno di noi pensa, perché la vita che “ognuno” di noi pensa è l’economia della morte. Qualsiasi pratica gnostica è la pratica che punta a fabbricare soggetti e cadaveri. Dunque, nessuna soggiacenza, nessun upokeimenon, nessuna sostanza, nel nulla, nella morte, né il sistema né il soggetto.
Ancora, la cosa essenziale è la linguistica, qual è il terreno linguistico, il terreno dell’arte e della cultura, il terreno della scrittura dell’arte e della cultura, qual è il terreno del dispositivo della parola, qual è il terreno della procedura; qual è il terreno linguistico, è questo che importa. Importa chiaramente l’humus, cioè il materiale del tempo e anche la ragione dell’Altro e importa l’humanitas, il terreno dell’Altro e quindi il diritto dell’Altro. E ci sono le virtù civili, che sono costituite dalla virtù del tempo e dalla virtù dell’Altro. Queste sono le virtù civili, sta qui la cura immunitaria, che è la cura del tempo e dell’Altro, non è la cura di spirito, non è la cura spirituale, non avviene attraverso il nutrimento spirituale; è la cura che avviene attraverso lo jus nutritionis e attraverso la ratio nutritionis, e quindi è la cura immunitaria, linguistica, civile. Non c’è cura se si aboliscono le virtù civili, se si abolisce la ragione dell’Altro e il diritto dell’Altro, cioè la ragione e i diritti della salute, e ci sono soltanto ragione e diritti della malattia, cioè se ognuno viene trattato come caso di morte. E perciò ognuno viene a essere confrontato con la Sfinge, con il suo segreto. Qual è il segreto della Sfinge? È la definizione dell’uomo e dunque il segreto di morte, è questo che dà a ognuno il destino assegnato. Ma noi non abbiamo il destino assegnato, non abbiamo il riferimento al luogo ideale, non abbiamo riferimento all’urkommunismus e non abbiamo riferimento all’idea di padronanza, quindi non abbiamo da togliere la cosa, il narcisismo della vita, per diventare eroi sotto le insegne del mimetismo o autonomi sotto le insegne dell’automaticismo.
La nostra partita è una partita linguistica, partita nomade, partita rivoluzionaria, cioè partita nella sua domanda di qualità, che è la domanda di simbolo oltre la legge della vita, la domanda di lettera oltre l’etica della vita e la domanda di cifra oltre la clinica della vita. La classicità è data dal compimento e dall’approdo, ma la classicità è di ciò che si restituisce attraverso la lettura e è il testo della civiltà della vita, è ciò che si restituisce attraverso la lezione e è il film della civiltà della vita.
La persecuzione contro di me è un aspetto dell’attualità linguistica della scrittura della memoria, ma tutto ciò s’inscrive in una guerra mondialista, quella che passa certamente attraverso la definizione, attraverso la tautologia, attraverso l’autologia, attraverso l’autofagia; quella che vede un’oligarchia mondialista, un’oligarchia militare, un’oligarchia finanziaria, alimentare, digitale, oligarchia farmaceutica, che stabilisce le forme di governo, che sono le dittature e le democrature, ma non ci sono soltanto dittature e democrature, queste hanno il loro partito di spirito di ciascuna provincia, ma non c’è soltanto la provincia, non c’è soltanto l’epoca. L’epoca è fatua, il partito di spirito è fatuo, è fragile, gli imperi sono fragili, i regimi totalitari sono fragili, tutto ciò che poggia sull’idea di uno è fragile.
Quello che importa è un’altra guerra, è una guerra che è senza nemico, noi non abbiamo nessun nemico, è la guerra della civiltà della vita, è la guerra intellettuale, è la guerra della parola. Questa è la nostra guerra, il dispositivo di questa guerra è dispositivo della lotta e della battaglia, è questa guerra che Machiavelli chiama la politica, la politica del tempo e dell’Altro. Il tempo e l’Altro dimorano nel silenzio, cioè nell’intervallo tra il sentiero della notte e il sentiero del giorno.
Noi non abbiamo quindi da partire da una volontà ideale o dall’ananke, e quindi dal fatalismo o dal rispetto misterico, non abbiamo cioè da abolire il narcisismo della vita, la cosa, la proprietà linguistica di scrittura dell’esperienza; non abbiamo da abolirla, perché se noi l’aboliamo, solo idealmente l’aboliamo, e con che cosa la sostituiamo? Con il nostro spettro. E che cosa abbiamo? Abbiamo allora una realtà spettrale soggettiva, che è conforme all’arbitrio del punto di vista. Ma il punto non è di vista, non c’è un punto di speculazione, un punto di vista e un punto di osservazione, c’è il punto, dice Leonardo da Vinci, e il contrappunto: lo specchio, lo sguardo, la voce come punto e contrappunto. Allora, lo specchio come punto di distrazione e punto di caduta, lo sguardo come punto di sottrazione e punto di fuga, la voce come punto d’astrazione e punto d’oblio. E specchio, sguardo e voce hanno le loro virtù, per esempio la solitudine, e questo è quello che si chiama il simulacro o il sembiante, cioè la condizione del dispositivo della parola cui abbiamo fatto cenno. Allora, non abbiamo più da confrontarci con lo spettro, perché nella vita familiare, nella vita quotidiana, nella vita istituzionale, universitaria, negli ospedali, non c’è altro che questo, cioè il confronto fra sé e sé, fra sé e l’Altro e fra l’Altro e sé. Il confronto con lo spettro. Cioè allo spettro si attribuiscono il positivo e il negativo, l’alternanza e l’alternativa, la vita e la morte, si attribuisce poi ogni nefandezza e allo spettro, come nel caso degli inquisitori o degli psicopompi, si dà il nome del nemico e il nome della morte; ma se io definisco lo spettro, pensando che sia il nome del mio nemico e il nome della morte, non faccio che definire me stesso. E così fanno gli inquisitori e gli psicopompi: definiscono se stessi, fanno la propria autobiografia, il proprio autoritratto.
Noi abbiamo una Carta, una Carta essenziale che abbiamo depositato nel dicembre del 1984 all’ONU, a Ginevra, una Carta che abbiamo depositato a Gerusalemme, nel dicembre del 1983, è la Carta intellettuale, è la Carta della parola. Questa Carta è impensabile, è imponderabile, nessuno può afferrarla, nessuno può toccarla. Questa è la nostra Carta, con questa Carta disponiamo di tante carte, la partita della vita, la partita in cui noi dimoriamo e anche la partita civile sta in questa Carta.
Allora, qual è il resto? Qual è il risultato? Il resto, il risultato è il capitale, ma il capitale non è ideale, non è sostanziale e mentale, non è il capitale di Marx, non è tutto ciò che si chiama il capitale. No, il capitale è la qualità, è il valore della vita, il capitale è il simbolo, è la lettera, è la cifra della combinazione fra il corpo e la scena, e cioè il corpo della parola e la scena della parola; non già il corpo senza la parola che diventa il corpo di spirito, non già la scena senza la parola che diventa la scena di spirito; la cifra è la cifra della combinazione del corpo e della scena, della series singolare triale e il servizio intellettuale, cioè la combinatoria, punta, questa è la rivoluzione, verso il resto cioè verso il capitale, verso il valore, verso la cifra.
Questo era appena per un saluto, per dire che io a Padova sono venuto tante volte, in tante sedi, la Gran Guardia, il Teatro Verdi e ho incominciato nel marzo del 1974 nell’aula magna dell’Università, e ho proseguito quasi ogni anno, quindi l’appuntamento con Padova è un appuntamento essenziale. È una città planetaria, abbiamo fatto venire a Padova scrittori, premi Nobel, artisti da tutto il mondo, così è stato finora, così sarà nei prossimi cinquant’anni. Ciò che noi siamo andati a produrre e produciamo resta e di questo si discuterà per i prossimi millenni. Vi ringrazio.
Ruggero Chinaglia Ringraziamo il professore Verdiglione, che salutiamo e l’ospiteremo presto in presenza a Padova per un’altra conferenza, e ringrazio ciascuno di voi che è stato qui con noi questa sera, con l’augurio che quanto è stato ascoltato tragga verso gli aquiloni, i voli, gli itinerari, le galassie della vita, verso qualcosa che nessuno può pensare di conseguire, ma si trova a raggiungere proprio perché osa nell’audacia e nel rischio della parola.
Armando Verdiglione Una piccola cosa, da marzo in poi sarò finalmente libero e in grado di organizzare con voi a Padova un avvenimento internazionale. Grazie.