Europa e Asia. Gli scambi commerciali, culturali, finanziari
- Chinaglia Ruggero, Colasio Andrea, Cortella Mario, Cum Aniello, Gastaldi Guerrino, Marangon Giorgio, Nardone Giorgio S. J., Pisani Giuliano, Sabatini Carlo, Volpi Vittorio
16 novembre 2011 Conferenza con dibattito di Vittorio Volpi, autore del libro Il Visitatore. Alessandro Valignano, un grande maestro italiano in Asia, ed. Spirali. Interventi di Maurizio Cerrutti, giornalista del “Gazzettino”, Ruggero Chinaglia, cifrematico, editore, Andrea Colasio, assessore alla Cultura del Comune di Padova, Mario Cortella, presidente di Padova Promex, Aniello Cum, segretario provinciale UIL, Guerrino Gastaldi, imprenditore, presidente provinciale CNA Padova, Giorgio Marangon, imprenditore, Giorgio Nardone S.J., professore emerito Istituto Aloisianum, Giuliano Pisani, presidente della Commissione Cultura del Comune di Padova, Carlo Sabatini, imprenditore, membro di giunta della CCIAA di Padova. Con il Patrocinio della Fondazione Italia Giappone
VITTORIO VOLPI
Europa e Asia. Gli scambi commerciali, culturali, finanziari
intervengono
- Maurizio Cerruti, giornalista del “Gazzettino”
- Ruggero Chinaglia, cifrematico, editore
- Andrea Colasio, assessore alla Cultura al Comune di Padova
- Mario Cortella, presidente di Padova Promex
- Aniello Cum, segretario provinciale UIL
- Guerrino Gastaldi, imprenditore, presidente provinciale CNA Padova
- Giorgio Marangon, imprenditore
- Giorgio Nardone S.J., professore emerito Istituto Aloisianum
- Giuliano Pisani, presidente della Commissione Cultura del Comune di Padova
- Carlo Sabatini, imprenditore, membro di giunta della CCIAA di Padova
Ruggero Chinaglia Buonasera. Ringrazio ciascuno di essere qui con noi questa sera e con Vittorio Volpi. Siamo felici e onorati di averlo qui con noi. Vittorio Volpi è l’autore del libro che dà il pretesto a questo nostro incontro e a questo dibattito. Così come ringrazio ciascun relatore, da Andrea Colasio, assessore alla cultura del Comune di Padova, Mario Cortella, presidente di Padova Promex, Aniello Cum, segretario provinciale della UIL, Guerrino Gastaldi, imprenditore e presidente del CNA Padova, Giorgio Marangon, imprenditore, Giorgio Nardone, gesuita e docente dell’Aloisianum, Carlo Sabatini, imprenditore e membro della Giunta della Camera di Commercio di Padova, Giuliano Pisani, che è presidente delle Commissione Cultura del Comune di Padova.
A ciascuno di loro porgo un ringraziamento, e un ringraziamento particolare al Comune di Padova che ci ospita e ha collaborato con noi all’organizzazione di questo avvenimento per me molto prezioso e indicativo per il messaggio che rilascia e per questo gesuita, Alessandro Valignano, che è il protagonista del libro che Vittorio Volpi ha scritto, ma che è anche il protagonista di una esperienza, di una avventura, di una vicenda che rilascia come messaggio e come sua profezia l’inculturazione e l’adattamento come metodo e come modo per avviare scambi finanziari, commerciali e culturali con paesi dell’Oriente, in particolare l’India, il Giappone e la Cina.
Sono questi i paesi visitati a iniziare dal 1573 da Alessandro Valignano, che parte dall’Europa e va verso l’ignoto senza paura, senza la certezza di cosa trovare, senza la certezza di potere ritornare e avvia un’esperienza che lo fa diventare uno dei grandi maestri del Rinascimento Italiano. E’ una figura poco nota, ma è una delle più importanti: lo stesso Matteo Ricci che è conosciuto come uno dei missionari più importanti nell’oriente e in Asia, è un suo allievo e fa parte di quella meravigliosa squadra di allievi che è al seguito di Alessandro Valignano.
Ora, c’è una combinazione interessante che mi ha incuriosito e mi ha spinto all’organizzazione di questo avvenimento e è che Valignano parte nel 1573, dopo essere stato anche a Padova, ma di questo ci parleranno altri relatori che illustreranno i pregi del libro. Dunque il 1573; quattrocento anni dopo, nel 1973 parte l’avventura di un’altra meravigliosa squadra, l’Equipe di Spirali che, appunto nel 1973, avvia la sua esperienza culturale e imprenditoriale con l’accoglimento di questo messaggio che è inculturazione e adattamento.
Un messaggio che noi abbiamo fatto frutto dell’esperienza, non solamente come profezia rilasciata da Valignano, nel senso che ci siamo accorti dell’esigenza di questo metodo, quando nel 1984 la Casa Editrice Spirali ha organizzato a Tokio un congresso sul Secondo Rinascimento dal titolo: La sessualità.
E quindi con più di trenta viaggi in Giappone per capire, per intendere qual era il modo di avviare l’esperienza in Giappone da parte di un’equipe europea così come abbiamo constatato in Cina quando, nel 2007, una delegazione della Casa Editrice ha inaugurato a Chongqing [città centro-meridionale della Cina, con 34 milioni di abitanti], una mostra di artisti italiani che celebrava il decimo anniversario dell’indipendenza amministrativa del distretto di Chongqing.
Una vicenda, una mostra che ha compiuto, coronato anni di interlocuzione, di collaborazione con intellettuali, con scrittori e artisti cinesi. Del metodo di Valignano noi abbiamo fatto l’esperienza e riteniamo sia molto importante coglierne i frutti anche e soprattutto per le esigenze che si pongono oggi negli aspetti imprenditoriali, economici, finanziari. E di questo Volpi è uno dei testimoni principali, ma sono testimoni di questo anche gli imprenditori che questa sera faranno il loro intervento e rilasceranno soprattutto la loro testimonianza.
Sarà una serata molto ritmica, con interventi brevi in cui si tratta soprattutto di rilasciare il frutto dell’esperienza che ciascuno dei relatori qui presenti ha tratto dalla sua vicenda in questi paesi, chi in Giappone, chi in Cina, chi in altri distretti dell’Oriente.
Ora questo è il contesto, l’ambiente in cui noi ci troviamo questa sera e per dare avvio al dibattito, invito al suo intervento Andrea Colasio, assessore alla Cultura del Comune di Padova che ancora ringrazio per la sua collaborazione.
Andrea Colasio Grazie a te. No, sono io che devo ringraziare l’amico Ruggero Chinaglia che ha pensato e ideato questa serata che è veramente curiosa. Io mi limiterò, da sociologo come da politico, a alcune considerazioni su questa meravigliosa fatica del professor Volpi, nel senso che è un libro curioso.
E’ un libro che ha il merito innanzitutto di disvelare, di riportare alla memoria collettiva, di ristabilire centralità politico – culturale a una personalità che non ha certamente avuto l’onore della cronaca che ha avuto il suo allievo Matteo Ricci.
E’ anche un atto dovuto dal punto di vista storiografico. Vi è consapevolezza, e questo nasce dalla curiosità di Vittorio Volpi che lo racconta “Nel mio lungo peregrinare, nei miei lunghi trent’anni di Asia e di Giappone mi sono imbattuto in questo personaggio e mi venne regalato Advertimentos e avisos in una edizione del 1946”, se non erro, e è lì che tu cominciasti a riflettere su come in realtà Valignano avesse prefigurato, anticipato, avesse immaginato un modus operandi non etnocentrico. Anche l’evangelizzazione! Poi, in modo affascinante, lui ci introduce in un pezzo di storia del Giappone, ce ne dà uno spaccato antropologico, storico, sociologico.
Pur non essendo lui accademico, molti accademici dovrebbero imparare a raccontare come fa Vittorio Volpi, perché è uno scrivere affascinante e intrigante che ti introduce con competenza, con quella competenza che nasce dalla sua professionalità: uomo di finanza, uomo di banca, uomo d’impresa, è in grado di decodificare, di raccontare aspetti della cultura giapponese così come farebbe Malinowski con l’osservazione partecipante come metodologia dell’antropologo.
Cioè l’antropologo deve entrare in un paese, entrare in osmosi con le istituzioni direbbe un funzionalista, sennò non lo puoi capire. E è affascinante come lui ci introduce, ci racconta l’impatto che Valignano ebbe e dice: “Per un anno stetti muto come una statua”. Perché?
Perché doveva capire, non doveva professare il verbo magari in latino, ma doveva capire! E’ fondamentale apprendere la lingua. Valignano era quasi considerato un eretico perché la sua metodologia non era ieratica, non c’è un verbo superiore, trascendentale che viene portato. No! Vi è la necessità di una integrazione culturale con la società che va a “evangelizzare”, o puoi andare a farci impresa ma devi sapere la lingua.
Il metodo Valignano vale anche giustamente per l’impresa: non puoi andare lì con la strafottenza, devi capire i rituali, i valori della comunità, i valori simbolici.
Il passaggio, quando Valignano va lì e dice: “È un mondo al rovescio”, ma perché è un mondo al rovescio? Perché i rituali di comunità, i rituali simbolici sono talmente altri rispetto alla fenomenologia della cultura occidentale e quindi ciò che era onorevole da noi era disonorevole, sgraziato, incomprensibile, poco amato nella cultura giapponese.
Se tu non conosci questi codici di comportamento simbolico, non puoi capire, cosa vai a evangelizzare? Così come non puoi fare impresa. Ecco, il codice di comunicazione simbolica è fondamentale per una dimensione dialogica interattiva.
E il professore ci inoltra nella società di allora. Ci sono delle parti bellissime quando ci racconta qual è la società che cambia: il Giappone, i signori della guerra, il paese in guerra. Era come dopo la crisi dell’impero romano, nell’alto medioevo, quando sostanzialmente la sovranità politica centralizzata non c’era più, ma avevi una polverizzazione dei poteri.
I daimyo, i signori della guerra, erano ben 260, e avevano come unico obiettivo quello di allargare i propri confini! Mancava un potere centralizzato e quello su cui Vittorio si sofferma è come questi evangelizzatori […].
Intanto va detto che Valignano fa tesoro di Francesco Saverio. Nel 1549 Saverio era stato in Giappone e i suoi scritti erano noti a Valignano e quindi c’è già un’ipotesi di lettura osmotica: non si va ad evangelizzare in modo acritico, ma si conosce il contesto, si conosce la cultura. E il grande messaggio è proprio questo, lo diceva molto bene Chinaglia, questa necessità sia in una declinazione di evangelizzazione religiosa, sia in una dinamica relazionale o imprenditoriale, il metodo è questo: non etnocentrico, entra in punta di piedi in quella cultura e quella cultura ti capirà e ti rispetterà perché capisce che fai uno sforzo dialogico e questo è il messaggio.
Poi, al di là di questo, ci sono dei passaggi molto belli in un libro che io trovo bellissimo. E’ veramente affascinante il passaggio sull’intreccio tra religione cattolica e le altre grandi trentadue o trentatré religioni, poco conta, che attraversano il Giappone. Ma è molto bella la dimensione scintoista e si sofferma con grande intelligenza e acutezza Volpi, quando ci racconta come, in realtà, il sincretismo scintoista, una sorta di panteismo greco, ma con i kami, fosse in grado di individuare dimensioni divine in oggetti naturali, in persone.
Una religione che era in grado di accogliere, una religione che lui chiama territoriale, natale, epocale (ma lui usa un altro termine che non ricordo esattamente), un sistema, una religione che poteva accogliere la dimensione cattolica del sacro. Solo che, un po’ alla volta un chiarimento, in realtà il deus trascendentale e, a un certo punto gli evangelizzatori pongono il problema dottrinale. Questo creò non pochi conflitti, fino ad arrivare ai famosi shinkoku o diritti di allontanamento degli occidentali religiosi.
C’è il secolo cristiano e poi i due secoli del “paese in catene”, di chiusura del Giappone rispetto al mondo. Questa chiusura è anche attraversata da massacri, c’è quello di Nagasaki, le prime ventisei croci e poi furono migliaia le atrocità e i martìri. Vittorio Volpi ci racconta queste storie affascinanti e ci racconta che, correlativamente alla presenza di Valignano, il Giappone si centralizza attraverso Oda di cui c’è un bellissimo dialogo con Valignano.
Dunque un Giappone che si modernizza e diventa stato in un processo di centralizzazione che si è dato in Francia e in Spagna. La sovranità politica e il monopolio legittimo della forza del potere di cui Weber ci parla, diventa la forma stato che toglie le armi, le spade ai contadini, centralizza i samurai e riduce il territorio all’interno di un’unica legislazione, giurisdizione.
E poi ci sono dei passaggi bellissimi sulle donne. In molti film abbiamo visto la figlia del contadino venduta al postribolo, la condanna a morte dell’anziano perché è braccia non più produttive. Diciamo che con grande capacità di lettura sociologica e antropologica,, Volpi ci introduce, novello Valignano, in una cultura altra, ce la fa amare, ce la fa apprezzare. Direi che il punto nodale è proprio questo: la capacità di comprendere.
C’è Organtino che dice: “Io mi sento più giapponese che italiano”, e non è un caso che il dialogo tra Valignano e Cabral, che verrà poi sostituito da Organtino. È lì il punto di caduta della rigidità di Cabral, che immaginava che i giapponesi che entravano nelle missioni venivano marginalizzati. E invece lui dice no! Se tu vuoi evangelizzarli, devi dare loro un ruolo e soprattutto è fondamentale che i nostri studino la lingua, che entrino dentro le viscere simboliche, identitarie di un territorio.
Giustamente, lo dicevano Volpi e Chinaglia, questo anticipa anche le posizioni della Chiesa Cattolica che verranno molti, molti secoli dopo, con il Concilio Vaticano II.
Valignano del resto veniva visto come un eretico e Volpi su questo spende delle bellissime pagine. È un bellissimo affresco che ci presenta in modo interessante e inedito, una chiave di lettura multidisciplinare, interdisciplinare. Ma soprattutto è un messaggio culturale e politico che va recepito con grande intelligenza. Un uomo di impresa, un banchiere, un professore che ha saputo fare tesoro di trent’anni di esperienza in situ e che ci ha fornito, ci ha restituito un personaggio in via non del tutto incidentale, che in giovane età venne a Padova, si laureò in diritto, ebbe una disavventura e si fece un anno e mezzo di carcere. Quindi c’è anche un bel passaggio padovano che meriterebbe un ulteriore scandaglio.
Professore, io la ringrazio a nome dell’amministrazione perché ci ha dato una bella opportunità di arricchimento collettivo e mi auguro anche una bella opportunità per il nostro sistema di impresa, di capire come il metodo Valignano è una risorsa strategica, relazionale, simbolica. Grazie, buona serata.
R.C. Bene. Ringraziando Andrea Colasio per il suo bel intervento, invito ciascun relatore a esercitare, accanto alla testimonianza dell’esperienza che ha incontrato nella sua vicenda in questi paesi, anche quella che è considerata la massima virtù leonardesca, la concisa brevitas, quindi l’assoluta stringatezza in modo che emerga il frutto.
Allora, all’insegna di questa concisa brevitas, noi procediamo tenendo conto che nel quadro della serata c’è certamente il libro Il Visitatore. Alessandro Valignano un grande maestro italiano in Asia che Vittorio Volpi ha scritto, ma c’è anche il titolo che noi abbiamo dato al dibattito ossia Europa e Asia: gli scambi commerciali, culturali, finanziari.
È attorno a questo in particolare che ciascun imprenditore avrà modo di dare la sua testimonianza. Ribadisco che è assolutamente essenziale oggi cogliere quale sia l’istanza che propone l’Asia. Ricordiamo solo per inciso che negli anni ’80 il Giappone, la Cina e i paesi dell’Asia erano considerati “il pericolo giallo”, e quindi veniva temuto come massima eventualità negativa l’avvento nel mercato europeo, la presenza di prodotti e abitanti di questi paesi.
Oggi l’Asia rappresenta quasi la salvezza, ma questo sempre all’insegna di quella che è una sorta di visione bipolare che la civiltà greca ha rilasciato all’Europa. Se noi teniamo conto di Valignano, della magnifica squadra di Valignano e della magnifica squadra della cifrematica, i cui frutti devono ancora entrare oggi nel mercato, nella formazione soprattutto dell’impresa e dell’imprenditore, noi possiamo cogliere le opportunità che paesi altri, nuovi, i nuovi mercati, nuove civiltà, nuove tradizioni propongono, non all’insegna della liberazione da un pericolo o da un’ipotesi negativa, ma all’insegna dell’integrazione.
Solamente se noi capiamo che le cose procedono per integrazione e si aggiungono senza che possa accadere che una nuoccia all’altra, ma, integrandosi ciascuna cosa si aggiunge, allora veramente possiamo giungere al frutto, al valore di ciascuna cosa. E questo per l’impresa è essenziale, per l’imprenditore è essenziale, per non cadere nella paura, nel pericolo che qualcosa possa finire.
Una volta, negli anni ’80, poteva finire la risorsa energetica, era all’insegna di questo problema che si cercava la salvezza. Oggi il pericolo sembra essere la fine dei soldi, la fine delle banche, la fine delle risorse finanziarie. Non è come salvezza da questa fine che ci si deve rivolgere al mercato, alla finanza, al commercio, allo scambio, ma è all’insegna invece di trovare il modo dell’integrazione.
Questo può costituire una risorsa e una via perché ciascuno giunga al valore della propria impresa. Allora, per proseguire, invito ora a intervenire padre Giorgio Nardone, professore emerito dell’Aloisianum, gesuita, quindi testimone diretto di Valignano e del suo messaggio. Prego, padre.
Giorgio Nardone Grazie.
R.C. La concisa brevitas non è, come dire, una facoltà, ma vuol dire che occorre attenersi a 5/7 minuti d’intervento. Grazie.
Giorgio Nardone Solo tre punti. Non parlo del Giappone perché non lo conosco, parlo piuttosto del libro: tre cose mi hanno colpito del libro, rapidamente. Sono tre cose che riguardano però l’Europa che pure è estremamente presente nel libro.
Primo, nel rinascimento l’Europa forse per la prima volta si affaccia a una civiltà altra e riconosciuta come civiltà. Prima si conoscevano i musulmani, avversari. Si conoscevano le Indie occidentali, ma non erano civili. Improvvisamente degli orientali compaiono. Civiltà grande, riconosciuta, lontana geograficamente, diversa. E l’Europa in qualche modo si sorprende e si rispecchia come diversa, anche come simile in fondo.
Secondo punto: penso sempre piuttosto all’insieme europeo, l’insieme politico-religioso, la enorme complessità di eventi estremamente diversi. Oggi si parla di società complessa, sì ma in fondo, anche pochi istanti fa, i punti delicati sappiamo nominarli, anche forse contarli. In quel tempo, in quell’Europa là, una nascita, un matrimonio, una carestia, una guerra vinta non si sa bene perché, un’alleanza da che cosa dipendeva, come nasceva?
L’impressione, leggendo il libro, è quella di sentire a vivo una complessità polimorfa, anche insicura, casuale un po’. Al suo confronto noi viviamo in una società fortemente pacificata, fortemente egualitaria, con molti problemi, ma dicevo nominabili.
Terzo punto e ultimo. Come gesuita confratello del Valignano, pensavo a quando Valignano ha fatto quello che nel nostro gergo si dice noviziato, i due anni di apprendimento, di inizio e c’è un mese di ritiro forte, molto duro. Lo chiamiamo gli esercizi spirituali, e c’è anche la domanda: cosa ho fatto nella mia vita e cosa farò? Un futuro che chi fa questa esperienza è anche invitato a concretizzare: che cosa tu vorresti fare?
E Valignano ha deciso di partire! Con tutto quello che significava a quel tempo. Io ho una certa età e mi ricordo ancora gli anni ’50 e ’60 e anche prima, evidentemente. I missionari partivano ancora con le navi come Valignano sia pure a vapore e non a vela. C’è una differenza piuttosto grossa e Valignano voleva fare dialogare culture e comunque un po’ esportare una cultura, comunque insomma portarla là, farla vedere.
I missionari che ho conosciuto, che conosco io, per lo più vanno a operare tra strati poveri, a livello di società estremamente diffusa, non cominciano dall’alto, ma dal basso. Insegnano a coltivare la terra, a imparare a leggere e a scrivere e cose di questo genere. Anche la fede, anche il catechismo ma a livello base, si parte dal basso.
Questo e termino: oggi, è vero, non si parte più perché c’è la globalizzazione, perché ogni viaggio sarebbe in fondo turistico. Tutte queste terre noi le conosciamo, magari da fuori, magari male, ma insomma le conosciamo. I viaggi lontani che amano fare adesso i giovani sacerdoti gesuiti, non lo so, speriamo, sono viaggi molto, molto diversi: andare con drogati, trovarli, educare i giovani, che non è più come una volta, eh no! Non è che siano cattivi, anzi sono bravi. Ma c’è qualcosa che domanda una presenza più intensa, più intelligente, più sottile, più fine. Oggi si cresce molto meno automaticamente e questo crea un nuovo territorio, una nuova zona di lavoro. Basta.
Applausi
R.C. Ringrazio Giorgio Nardone per il suo intervento, per l’apporto, il contributo. La questione del viaggio è una questione molto importante per Valignano e per ciascuno di noi che intraprende il viaggio.
La questione del turismo è da elaborare oggi. Il turismo è una questione interessante. Il turismo culturale, il turismo dell’imprenditore. Certamente il turismo di chi decide di partire come Valignano comporta questa decisione di vivere nel viaggio, esplorando soprattutto cose che non si conoscono, che non si sanno per imparare, per capire. Allora, invito adesso alla concisa brevitas Mario Cortella che è presidente di Padova Promex. Di recente è stato in Cina e ha una grande esperienza rispetto a questo caso.
Mario Cortella Per una grande esperienza bisognerebbe avere almeno cent’anni di frequentazione, per capire esattamente cosa sia quel mondo!
Buonasera a tutti voi. Intanto lasciatemi esprimere un grazie sentito perché abbiamo avuto modo di cenare con il professor Volpi e in un’ora mi ha insegnato una miriade di cose. Secondo me, Valignano è lui e quindi è stato veramente un piacere averla conosciuta.
Vittorio Volpi Grazie.
M.C. Io sono un piccolo imprenditore. Mi hanno dato l’incarico di seguire l’internazionalizzazione del nostro mondo padovano e lo sto facendo con un po’ di impegno e quindi mi trovo quotidianamente a dovere affrontare mercati diversi, mentalità diverse.
E allora qui devo spezzare una lancia a favore dell’imprenditoria: secondo me chi fa impresa oggi, deve essere come Valignano perché se non lo è, non può avere il successo che questo territorio, il nostro Veneto, sta avendo nel mondo.
Voi avrete sentito, avrete letto sicuramente nei giornali, che le nostre quotazioni stanno crescendo, stiamo conquistando sempre più mercati diversi e questo vuole dire che noi andiamo a fare i Valignano in giro per il mondo, seguendo quello che dice il professore a un certo punto del suo libro, a pag 17, (non so se sia casuale, di solito il 17 porta fortuna) e dice che “Per andare in giro per il mondo bisogna apprendere la cultura, sempre con lo spirito di rispettare le differenze”. E è qui che noi siamo stati bravi in questo. Allora lo dico con orgoglio, perché se non si fa così, non si va da nessuna parte. Oggi, per esempio, mercati difficili come quello cinese, che ormai sta distruggendo il mondo, il nostro mondo di piccole e medie imprese, ci sta veramente dando delle lezioni violente. Però noi sappiamo reagire e cominciamo anche noi a mettere in atto in Cina e a vendere quello che noi siamo bravi a fare e proporre nei mercati, quello che loro non sapranno mai fare. Noi diamo l’essenza del sapere fare le cose bene, quello che i cinesi non avranno mai o avranno forse fra cent’anni.
Allora vi racconto due piccoli episodi che penso siano sintomatici. Ci siamo battuti con l’Università di Padova. Voi sapete che esiste l’Istituto Confucio che nasce con l’obiettivo di promuovere scambi culturali. Quando abbiamo messo il naso nell’Istituto Confucio, abbiamo preteso che si portasse avanti un rapporto di collaborazione stretta tra le università cinesi e quella di Padova per creare una sinergia e dare la possibilità ai nostri giovani di capire in maniera certa che cosa siano quei mercati e ai ragazzi cinesi di venire in Italia.
Sono pochi purtroppo, a capire che cosa siamo noi. E sta venendo fuori quello che in effetti avevamo diagnosticato allora e che comunque avevamo come obiettivo. C’è un crescendo continuo di nostri giovani che si incuriosiscono a quei mercati, e c’è un crescente numero di ragazzi che studia il cinese, che lo sa parlare molto bene, ma soprattutto che sono entrati nella cultura, stanno ragionando esattamente come quei mercati impongono.
Però torniamo al Giappone; vi racconto un episodio che cito volentieri. Allora, circa una o due settimane fa, mi hanno invitato a un convegno dove si parlava di Improduction che traduco con produrre lineare.
V.V. Produzione efficiente, diciamo.
M.C. Allora questo conio, secondo gli esperti, dovrebbe essere stato frutto della genialità della Toyota. Io contesto tutto questo, perché la Toyota, attraverso l’ufficio della Getro, il loro ufficio giapponese in Italia, ricordo che dieci o undici anni fa ho incontrato il signor Toyota, il quale è venuto nel Veneto, espressamente a Padova, per capire come mai questo fenomeno della piccola impresa.
Eccolo qua Valignano, né più né meno, e sono venuti qua, sono rimasti un giorno con noi, sono usciti sconvolti e hanno capito che il nostro metodo, il nostro modo di fare è un esempio internazionale. Io mi fermo qua.
R.C. Ringrazio Mario Cortella che rilascia questo messaggio. Il Nordest è oggi latore del metodo Valignano, e occorre tenere conto di Valignano per l’avvenire del Nordest. Bene, a questo punto, all’insegna di quell’integrazione che costituisce la profezia di Valignano, che è integrazione tra scienza, arte e cultura, invito il maestro Giorgio Fioroni a un breve intermezzo musicale sulle note di quella musica che ci ha accolto entrando. Giorgio Fioroni ci farà questa sera una tessitura di brevi interpunzioni musicali, di musiche che, a partire dal 1500, raccordano oriente e occidente.
Musica al violoncello di Giorgio Fioroni
R.C. Invito adesso a intervenire Carlo Sabatini, imprenditore e membro di giunta della Camera di Commercio di Padova.
Carlo Sabatini Buonasera a tutti. Ringrazio anch’io per l’invito che ho ricevuto a partecipare a questo convegno. E’ un piacere e un onore per me. Devo dire che prima di oggi, o prima di qualche giorno fa, quando ho avuto un brevissimo incontro con il dott. Chinaglia, non conoscevo assolutamente Alessandro Valignano. Conoscevo quello che ho saputo adesso, ho imparato che era un suo allievo, Ricci anche lui padre gesuita. Mi sono letto un po’ di storia nel libro e ho visto che Ricci è stato un grande personaggio nel mondo cinese, ma non conoscevo assolutamente Valignano.
Credo che la cultura sia molto simile, molto analoga. Io sono un imprenditore che ha avuto l’avventura di dovere fare, di dovere mettere in piedi una fabbrica in Cina. Perché, mi direte voi, dovere fare una fabbrica in Cina? Perché a un certo momento della vita nel mondo lavorativo, mi sono trovato che la mia azienda lavorava e lavora tuttora moltissimo con gli Stati Uniti.
La mia è un’azienda metalmeccanica che produce articoli di componentistica per idropulitrici e mi sono trovato i miei prodotti venduti negli Stati Uniti a metà prezzo! I miei clienti mi domandavano “Ma perché fai o non fai questi prezzi?” e, a un certo momento abbiamo capito che i cinesi avevano copiato ben cinque nostri prodotti.
Gambe in spalla, io ero già stato in Cina nel 1994 o comunque qualche anno prima, perché questo accade nell’anno 2000. Partiamo per la Cina per andare a vedere cosa si può fare e cosa non si può fare, vista la situazione esaminata con una commissione fra l’altro promossa da Confindustria Padova, di cui facevo parte. Siamo andati a esaminare il mercato cinese, per vedere, per conoscere. E ho capito che se inizialmente avevo iniziato a osteggiare, a cercare di difendermi abbassando i prezzi o trincerandomi dietro quella che poteva essere la migliore qualità, che in effetti inizialmente c’era, dei nostri prodotti europei, successivamente ho capito che la Cina era come un fiume in piena che non si può fermare, non c’è niente da fare, bisogna seguire la corrente.
E così è venuta la decisione di fare la fabbrica in Cina. Non vi dico, potrei intrattenervi qui per tutta la serata, raccontando le varie peripezie e le problematiche che abbiamo dovuto affrontare. Prima di tutto si doveva individuare quella che poteva essere la località. La Cina è grossomodo grande come tutta l’Europa con poca differenza di chilometri quadrati, e quindi è stato necessario correre in lungo e in largo la Cina per andare a individuare il posto giusto per il prodotto che io facevo, trovare un capannone, avere tutti i permessi di costruzione perché ci sono delle aree in Cina dove le ditte straniere possono costruire e dove non si può costruire.
Quindi tutta una serie di complicazioni e di registrazione dei marchi e dei brevetti e quant’altro, che hanno richiesto un grandissimo impegno da parte mia e dei miei consulenti. Ma visto che ho sette minuti di tempo e non posso raccontarvi tutta la storia, però voglio dirvi una cosa che sintetizza il mio vissuto: sono andato in Cina per un periodo di circa sette anni, abbastanza intensamente e continuamente.
E devo dirvi che nell’opuscolo che ci è stato presentato qui questa sera, c’è l’essenza di quello che ho imparato e vissuto nell’ambito della mia esperienza cinese. E cito esattamente Valignano: “Perché il messaggio che noi portiamo possa essere accettato dobbiamo essere proprio noi a adattarci ai costumi e all’etichetta del paese che ci ospita, con un metodo di autentica infiltrazione spirituale e culturale, senza armi, con perseveranza, dominio della lingua e adattamento ai costumi della terra”.
Cioè, vale a dire paese che vai, usanza che trovi, ma siccome il mondo cinese è completamente diverso, come diceva prima l’assessore Colasio, è un mondo alla rovescia rispetto al nostro. Inizialmente c’è una certa fatica e anche una certa ritrosia, da parte nostra, a accettare quelli che sono i principi, gli stili di vita e i modi di fare dei cinesi e vorremmo essere noi, visto che la fabbrica è nostra, visto che siamo noi i dominus della situazione, vorremmo essere noi a pretendere che gli altri si adattino al nostro modo di fare, al nostro modo di intendere le cose.
In Cina non è assolutamente così. Per farvi un esempio, per dirvi un particolare, aziende costruite in joint venture, costruite con il 10% di capitale cinese per avere l’uomo in Cina, e il 90% di capitale straniero, chi comanda è il cinese che ha il 10% perché è lui che conosce le regole, è lui che sa le situazioni, è lui che porta avanti il sistema aziendale.
Ci sono molti altri particolari, per esempio una trattativa che io ho fatto per prendere in affitto il primo capannone e successivamente le cose, a dire la verità, sono andate positivamente e così siamo passati a un capannone molto più grande, di 9000 metri quadrati, che è quello attualmente esistente. Abbiamo fatto questa trattativa con la proprietaria, una signora. Qui vedo molte signore stasera e devo dire che veramente questa signora cinese era di una abilità, ma come tutti i cinesi, nelle trattative e, come si diceva, con perseveranza, senza armi e soprattutto senza fretta, le trattative durano.
Per discutere sul costo di affitto al metro quadro siamo andati avanti due giorni e la signora ha aspettato. Sapeva che io al terzo giorno dovevo prendere l’aereo, dovevo andare via: non abbiamo chiuso la sera precedente, ma la mattina dopo, a poche ore, a pochi minuti dall’aereo abbiamo concluso la trattativa, ma non come volevo io, come voleva lei.
Ecco quindi il modo di un cinese che, nell’ambito della discussione dice sì. Non dice sì a quello che noi abbiamo proposto, dice sì che vuole dire ho capito quello che hai detto. Allora noi ci illudiamo che lui abbia acconsentito a quello che noi volevamo, invece non è assolutamente così e dopo un’ora di discussione che credevamo di avere archiviato l’argomento, no! Si riparte! Perché loro: “Ma qui allora, come facciamo?”. Lo stesso è andare a tavola, stare a tavola con loro, i brindisi che fanno in continuazione, le bevute che non si fanno! Bisogna accettare il tutto, bisogna sapere capire e interpretare quelli che sono i modi e costumi di vita.
Ecco, questa è la mia esperienza con la Cina, esperienza senz’altro positiva, che mi ha permesso di scoprire un mondo a me sconosciuto che inizialmente nella mia… se ricordate, c’è stata per un periodo di tempo quella famosa SARS, che ha bloccato e congelato tutte le situazioni. Io mi auguravo veramente che morissero tutti i cinesi in quel momento lì, perché veramente, trovarsi un concorrente che faceva i prezzi al 50% dei miei!
Poi la SARS è stata debellata e ho dovuto ritornare in Cina, correre e mettere in piedi un’attività di cui adesso sono contento. E ora penso di chiudere con questi aneddoti.
R.C. Grazie a Carlo Sabatini del suo intervento e anche della sua menzione dell’humilitas, dell’umiltà come virtù dell’imprenditore che, quando arriva da qualche parte, non può pretendere di imporre la sua volontà, legge o desiderio ma deve cogliere il modo della trattativa, il modo della combinatoria.
Certamente con tenacia, con perseveranza ma soprattutto con umiltà, senza cedere al primo no, senza illudersi al primo sì, per proseguire. La questione che pone l’Asia è quella di trovare sempre il modo di proseguire. Ci parlerà di questo il maestro Pisani, che invito al suo intervento.
Giuliano Pisani Grazie. Farò l’intervento rimanendo nella concisa brevitas e lo farò da letterato, dopo avare ricordato, dopo avere sottolineato come sia già stato detto autorevolmente, quello che è lo spirito di questo libro affascinante e cioè di porre l’attenzione nostra su un metodo di incontro con le culture che non sono la nostra cultura.
E’ già stato detto autorevolmente, è già stato scritto meravigliosamente e questo non lo dirò. Ma dirò invece di un altro particolare che mi pare affascinante in questo libro. Cioè questa straordinaria epopea che ci riporta nel pieno della seconda metà del XVI secolo quando delle persone di un coraggio senza limiti e animate da una fede che noi abbiamo totalmente dimenticato – ci sarebbe proprio da fare un ragionamento sulla fede che noi abbiamo totalmente dimenticato – si mettevano per mare.
E vi faccio un esempio: tre mesi, ci mettevano tre mesi a arrivare dal Portogallo a Goa, con tutti i rischi che possiamo immaginare, pensate al famoso Capo di Buona Speranza, tre mesi di mare completo. Arrivavano in Mozambico e poi dal Mozambico dovevano fare il salto a Goa.
E ci sono dei nomi bellissimi, alcuni sono già stati ricordati: Francesco Saverio, ma io vorrei anche ricordare un personaggio di cui mi sono occupato casualmente e cioè padre, beato dalla fine dell’800, Rodolfo Acquaviva che era, non a caso, nipote del preposito generale dei gesuiti, Claudio Acquaviva d’Aragona. Personaggio anche questo straordinario che va nelle Indie Orientali con una legazione dove c’è anche un grande gesuita spagnolo, padre Antoni de Montserrat e un altro gesuita, sempre della stessa legazione, Francisco Enriquez e vanno alla corte di Akbar e quindi l’allargamento del rapporto con le Indie orientali con la civiltà Moghul, un mondo affascinante.
Mi è capitato di leggere, e credo di essere in Italia tra i pochissimi, il Mongolii legationis commentarius, scritto proprio da Antoni de Montserrat in latino per 100 pagine. Vedo che un signore di cui non ricordo il nome, sta facendo cenni d’assenso. La grandissima, straordinaria storia di Daniello Bartoli, un altro gesuita degli inizi del ‘600, 1614, quando narra questa storia.
Ecco, questa straordinaria epopea, dove vediamo questi personaggi, animati da una grandiosa fede e che con estrema umiltà, non vanno a predicare il Vangelo, ma vanno intanto a conoscere la realtà che incontrano. La necessità assoluta, in questi lunghissimi viaggi, di studiare il persiano, l’arabo, il giapponese, il cinese, per potere dialogare, ecco l’altra parola che mi pare fondamentale, questo dialogo, per potere dialogare.
E qui è ancora la fede, la cultura che aprono le strade a tutto quello che sarà l’economia. Chiudo dicendo: è vero o non è vero che dai tempi dell’antica Roma, erano prima i mercanti portatori di una cultura che penetravano nel territorio, non gli eserciti. Gli eserciti sarebbero arrivati dopo. Prima bisognava conoscere, anche per conquistare.
Ecco, mi pare che questo sia uno dei grandi pregi di questo libro che se non avete letto, vi consiglio di leggere. Grazie.
R.C. E è importante quello che Pisani sottolineava quanto alla fede che non è da intendere solo nell’accezione religiosa. La fede per l’imprenditore è assolutamente qualcosa d’imprescindibile perché è fede nella riuscita e non è fede che può volgersi in superstizione, fede come speranza che vada bene, è fede nella riuscita. Se c’è questa fede allora ciascuna difficoltà è affrontata e attraversata. Altrimenti si cade nel fatalismo e alla prima difficoltà capita che ci si arrende. Invito adesso al suo intervento Guerrino Gastaldi che è presidente provinciale.