Gli archivi segreti di Mosca
- Bukovskij Vladimir, Cerruti Maurizio, Chinaglia Ruggero
22 marzo 1999 Conferenza dal titolo, Gli archivi segreti di Mosca, di Vladimir Bukovskij autore del libro Gli archivi segreti di Mosca, edito da Spirali, con la partecipazione al pubblico dibattito di Maurizio Cerruti, giornalista de “Il Gazzettino”, Ruggero Chinaglia, editore, Massimo Meschini, psicanalista, presso la Sala Galileo dell’Hotel Plaza a Padova.
VLADIMIR BUKOVSKIJ
Gli archivi segreti di Mosca
intervengono
- Maurizio Cerruti, giornalista
- Ruggero Chinaglia, editore
- Massimo Meschini, psicanalista
Ruggero Chinaglia Cominciamo l’incontro di questa sera con Vladimir Bukovskij. L’occasione ci è fornita dall’uscita in libreria in questi giorni del suo ultimo libro, Gli archivi segreti di Mosca, un’opera imponente, un libro impegnativo, che ha richiesto anni di lavoro, mesi di traduzione, e che ha incontrato anche qualche vicissitudine, perché questa italiana è l’unica edizione integrale tra quelle sin qui uscite in Francia, in Germania, in Polonia e la stessa edizione inglese sta incontrando notevoli difficoltà.
Questo per dire che si tratta di un libro che non chiunque è stato disposto a pubblicare perché contiene un messaggio forte, non generico, un messaggio non facile. In prima istanza questo libro dice che la parola non può essere mai confiscata, che la parola è libera, libera di divenire qualità, libera di incontrare il suo destino di libertà e di qualità, non per inerzia, bensì a condizione che ciascuno lotti per questo, a condizione che ciascuno conduca la sua battaglia per questo, che è battaglia eminentemente intellettuale.
Questo forse spiega perché a pubblicarlo in Italia è stata la casa editrice Spirali, una casa editrice che pubblica libri non per tutti, non bestseller, ma libri che inducano a pensare. È per questa ragione che anche in precedenza la casa editrice aveva pubblicato, sempre di Bukovskij, un libro che, quando è uscito, nel 1991, indicava qualcosa che nessun giornale era disposto a pubblicare, e cioè che l’URSS era destinata a passare dall’utopia al disastro, non già al benessere, non già a un futuro florido, ma a un disastro, perché la mentalità, a fronte di una trasformazione che si andava annunciando, rimaneva la stessa.
E così è in Europa, dove ciascuno è disposto a scommettere sull’importanza della costituzione dell’unione dell’Europa, ma nessuno si occupa di verificare se l’idea, il pensiero attorno a cui sorge questo progetto dell’Europa sia un progetto che introduce elementi di novità, o piuttosto non si attesti su luoghi comuni, su idee già presenti, quindi su luoghi comuni che hanno fatto il loro tempo e che non sono forieri di quella trasformazione intellettuale che la circostanza esige.
In precedenza era stato pubblicato un altro libro di Bukovskij, un libro di racconti, Il convoglio d’oro, che racchiude i contributi di altri autori russi e, prima ancora, una testimonianza di alcuni dissidenti, tra cui Vladimir Maksimov e Aleksandr Zinov’ev. Per Armando Verdiglione, nel momento in cui fu istituito un processo alle idee di un intellettuale, di un’associazione, di un movimento che era nettamente in contrasto con l’ideologia dell’epoca, Bukovskij, sicuramente più esperto delle procedure che ogni regime attua verso idee non conformi e non uniformi, indicò già allora quali erano i metodi che un regime oppone a un progetto culturale che non sia allineato.
Questo per dire la statura intellettuale del nostro ospite di oggi, che io sono fiero e onorato di avere qui a Padova con noi, e che prosegue la tradizione di ospitalità della nostra associazione nei confronti di intellettuali, scrittori, artisti russi. Molti di voi ricorderanno che qualche mese fa abbiamo avuto ospite Aleksandr Zinov’ev, quando è uscito il suo libro L’umanaio globale, e che già era venuto dieci anni fa, nel 1988, con Vladimir Maksimov, un altro esponente della dissidenza russa, allora in esilio a Parigi. Tra gli altri esponenti del pensiero russo, abbiamo avuto a Padova Yurij Naghibin, autore di romanzi, autore di sceneggiature di film famosissimi, vincitore anche di un Oscar per la sceneggiatura del film Dersu Uzala, e ancora artisti come Alekseij Lazykin e Michail Anikushin.
È quindi per noi un motivo di gioia proseguire negli incontri con esponenti della cultura, del pensiero, dell’arte della Russia, e in particolare quegli esponenti che si sono distinti per una mozione di libertà, di indipendenza per il loro pensiero e per la loro vita. Però noi non siamo qui oggi per fare l’elogio di Vladimir Bukovskij, perché non ne ha bisogno. Ci sono scelte nella vita di ciascuno che si fanno non per convenienza, ma perché risultano un’esigenza di vita, e quindi non siamo qui per giudicare, ma per ascoltare, per ascoltare la testimonianza di chi ha vissuto da protagonista una battaglia per la libertà, la libertà delle idee, la libertà della parola, la libertà del pensiero.
È anche per questo che, non stupisca, a ospitarlo e a invitarlo è un’associazione psicanalitica, perché non sono molte né le associazioni né i settori culturali che oggi si distinguono per propugnare questa istanza, ossia la libertà della parola. Questo è un libro che ciascuno dovrebbe leggere, perché è un libro non di denuncia ma di informazione, è un libro di messaggio per le generazioni attuali e per le generazioni che verranno, un libro per la memoria, perché la memoria non si cancelli, perché è indispensabile che di ciò che accade ciascun dettaglio entri nella memoria, in modo che non si riproduca il luogo comune, non si riproduca l’ideologia uniformante e conformante.
Soprattutto non si riproducano i regimi e non vengano accettati supinamente. Molte sono le domande che sorgono leggendo questo libro e avremo modo durante l’incontro di rivolgerne alcune a Vladimir Bukovskij. C’è con noi questa sera anche Maurizio Cerruti, capo dei Servizi Esteri de “Il Gazzettino”, che ha fatto un’attenta lettura del libro e che è qui per darci una testimonianza della sua lettura e per rivolgere domande a Vladimir Bukovskij.
Maurizio Cerruti È un piacere avere quest’occasione di intervistare pubblicamente un personaggio che in qualche modo è stato profetico, perché quando trenta-quarant’anni fa diceva determinate cose, lo rinchiusero in un ospedale psichiatrico, cercarono di fargli cambiare idea a colpi di psicofarmaci, ma non ci riuscirono, e alla lunga direi che ha avuto pienamente ragione.
Adesso questo libro fornisce una gran quantità di spunti, perché analizza attraverso i documenti degli archivi ufficiali del Partito Comunista Sovietico, un po’ tutta la storia dell’Unione Sovietica degli ultimi trent’anni, proiettandosi anche sulla storia attuale della Russia e, poiché l’Unione Sovietica è stata una delle due superpotenze che hanno dominato il pianeta per l’arco di tutto il dopoguerra, evidentemente in quelle segrete stanze in cui venivano decise le sorti del pianeta sono passati tutti i grandi avvenimenti della storia.
Leggendo, ho avuto anche la sensazione, d’altronde mi pare che lo stesso autore ne faccia cenno, che molte cose, sono state probabilmente dette a microfoni spenti, quindi in qualche modo già questi documenti ufficiali sono un’immagine edulcorata di quello che in realtà avveniva in quelle segrete stanze del comitato centrale del Politburo.
Io partirei con le mie domande da un personaggio che mi sembra abbastanza centrale in questo grande dramma-tragedia dell’Unione Sovietica, un personaggio che è passato e presente, perché è ancora sulla scena ed è Michail Gorbacev. Gorbacev, circa un mese e mezzo fa, è venuto in Italia, accolto con tutti gli onori, come un premio Nobel per la pace, ha partecipato alla trasmissione televisiva più seguita in tutta Italia, e, probabilmente, la trasmissione televisiva italiana più seguita nel mondo, che è il Festival di Sanremo, ed è stato presentato come un monumento vivente alla libertà, alla democrazia, al cambiamento, al rinnovamento; è venuto a dirci anche delle cose un po’ generiche ma sostanzialmente per rivendicare questo suo ruolo di guidare il mondo verso migliori destini, criticando il modo in cui si comportano gli americani, si comporta l’occidente, si comportano gli attuali dirigenti russi. Io vorrei cominciare a chiedere all’autore di questo libro, che in qualche modo quel vecchio sistema lo ha conosciuto molto bene, chi è in realtà Michail Gorbacev.
Vladimir Bukovskij Per noi in Russia è un personaggio che è stato inquadrato molto bene, è qui in occidente che di Gorbacev si ha un’opinione diversa. Gorbacev è una figura per nulla amata all’interno del paese. Nel 1996 presentò la sua candidatura alla presidenza del paese. Non dimentichiamo che gli è stato dato lo zero virgola qualcosa dei consensi, dei voti, non di più. Se dovessimo porre la figura di Gorbacev in un contesto politico e se io mi chiedessi quale delle figure storiche del passato è quella che più gli si avvicina, e con la quale lui possa essere identificato, io allora parlerei di Luigi XVI. L’unica differenza è che, allora, i tempi erano onesti e Luigi XVI è stato decapitato, invece a Gorbacev hanno dato il premio Nobel.
Entrambi hanno cercato di salvare il proprio regime, e hanno sollevato in modo inaspettato per loro stessi una rivoluzione: però Gorbacev per questa rivoluzione viene esaltato da tutti e gli vengono attribuite tutte le qualità e anche l’intenzione di fare del bene, invece la rivoluzione di Francia non viene attribuita a Luigi XVI. In realtà Gorbacev è una figura abbastanza pietosa, mediocre, grigia. L’hanno tradotto – parlo del suo linguaggio – in modo molto migliore di quanto non suoni la sua lingua in Russia.
Io ricordo un episodio avvenuto nel 1985 a Parigi, quando lui era appena assurto al potere, e io ricordo che la televisione francese trasmise il suo discorso con i sottotitoli; una quindicina di noi, riuniti nella casa di Maksimov, a Parigi, lo stavamo ascoltando ed eravamo tutti stupiti da quanto la traduzione abbellisse la sua lingua. Parlava a vanvera, senza capo né coda, e invece nella traduzione gli attribuivano un profondo significato filosofico. Ma la sua particolarità consisteva nel fatto che lui sapeva dare e proporre di sé un’immagine di uomo sottile, di uomo preparato, di uomo colto.
Si trattava di una specie di aura, di atmosfera che lo circondava e che era così difficile da definire e da afferrare; comunque, una sera, c’era un famoso regista teatrale russo, del teatro Taganka di Mosca. Dal momento che è un regista teatrale, ha un occhio speciale per le figure, per le espressioni, per il carattere di un uomo, e lui ha dato di Gorbacev, al suo primo apparire in occidente, una splendida definizione, dicendo: “Ma questo è un Cecikov fatto e finito!” (Cecikov è il protagonista delle Anime morte, di Gogol, n.d.t.), un uomo piacevole sotto tutti gli aspetti. Ovviamente, il successo che Gorbacev ha ottenuto in occidente non ha nulla a che fare con lui personalmente.
Il programma della glasnost’ e della perestrojka era stato elaborato prima di lui, la stampa occidentale aveva svolto un programma colossale di propaganda in suo favore, addirittura prima della sua prima apparizione in occidente; prima ancora che comparisse, già la stampa parlava di lui come di un energico, giovane, intelligente innovatore e riformatore, e che aveva addirittura una moglie filosofo, quando in realtà la moglie insegnava marxismo-leninismo. In pratica, l’occidente ha poca voglia di riconoscere di essere stato fatto fesso, ora come ora, e sebbene risulti chiaro ormai che lui non è assolutamente la figura che è stata presentata allora all’occidente, continuano a invitarlo all’apertura di mostre, ai festival, alle conferenze, eccetera, il che ormai appare comico, buffo: da noi in Russia fa addirittura la rèclame della Pizzafast.
Maurizio Cerruti Si può dire che Gorbacev, in un certo senso, è il prodotto di esportazione russo di maggior successo, in questo momento. Tornando un po’ indietro, mi ha colpito il fatto che gran parte delle decisioni prese negli anni di Breznev e poi successivamente, erano prese dai vari organi dirigenti dell’Unione Sovietica all’unanimità. In sostanza discutevano tutti quanti con una stessa finalità, mentre l’impressione che poi si aveva in occidente di quello che avveniva dietro le quinte era di una lotta feroce tra colombe e falchi, tra riformatori e conservatori. In realtà cos’era? Un gioco delle parti che nasceva dall’interno, oppure un’errata visione che avevamo noi occidentali della situazione?
Vladimir Bukovskij Innanzitutto, da parte dell’occidente c’è sempre stata la tendenza di trovare un riflesso, negli altri paesi, di quelle che erano le proprie convinzioni, di quello in cui loro volevano credere. Dal momento che in occidente c’erano le forze di sinistra e quelle di destra, anche in Russia dovevano esserci delle forze di sinistra e delle forze di destra, e dal momento che i falchi e le colombe esistono in occidente, i fautori e i contrari alla guerra, anche in Russia doveva essere lo stesso. Di questo, esattamente, si è servito il regime sovietico, e, a un certo punto, ha cominciato veramente a inscenare esattamente questa lotta, cioè questo tipo di illusione, esattamente secondo gli schemi dell’occidente.
Svolgevano intenzionalmente, per così dire, il ruolo di quello che avviene in un romanzo poliziesco, ovvero il ruolo dell’eroe buono e dell’eroe cattivo: da una parte il cattivo che si vuole assolutamente cacciare dentro, dall’altro invece, il buono, quello che si vuol salvare, quello che fa la parte dell’eroe positivo. Ricordo benissimo come fu in occidente, all’apice della distensione i saggi locali dicevano che assolutamente bisognava appoggiare le colombe del Cremlino. Ricordo di aver avuto con loro molti dibattiti, anche televisivi, e la mia domanda preferita era quella di chiedere loro di farmi un elenco dei presunti falchi e delle presunte colombe: non me li hanno mai dati, perché il giorno successivo gli elenchi si sarebbero potuti capovolgere e il falco sarebbe diventato colomba e viceversa.
Nell’era di Gorbacev tutto questo si è trasformato in una colossale operazione di disinformazione. Era incredibilmente conveniente: da un lato Gorbacev diventava il leader del paese e dall’altra parte leader dell’opposizione. In pratica, ha finito per concentrare in sé il potere esattamente come nell’epoca di Stalin, e tutto il mondo gli stava dietro, aveva compassione per lui e faceva il possibile per non danneggiarlo, con il risultato che lui, si ritrovò libero di fare tutto quello che voleva.
Nel 1989, su suo diretto e preciso incarico, le truppe sovietiche hanno sedato e represso una dimostrazione pacifica a Tiblisi, in Georgia, uno spaventoso bagno di sangue, aperto e sfacciato. Che cosa disse l’occidente allora? Che i conservatori avevano battuto i riformatori al Cremlino, e che Gorbacev, poverino, non era riuscito a cavarsela, e così un caso dopo l’altro, per salvare il povero Gorbacev in difficoltà dagli attacchi dei conservatori, l’occidente si è dimostrato disposto a tutti i compromessi, a tutti gli aiuti, agli appoggi di ogni tipo, pur di salvare il suo amato Gorbacev.
Ho calcolato che, dal 1991 al 1999, l’occidente, per salvare Gorbacev, aveva versato nelle casse dell’Unione Sovietica 45 miliardi di dollari. Questa situazione è stupefacente perché illustra nel modo più compiuto quella che è la nostra doppia morale. Il mio collegio di Cambridge, il King’s college, una settimana fa ha invitato Gorbacev per tenere una conferenza. Mi sono arrabbiato moltissimo e ho scritto una lettera indignata al rettore del mio college: “Che cosa succede? – chiesi – Pinochet sembra che debba finire in prigione, e voi invitate Gorbacev a tenere un corso di conferenze, quando, tenete presente, Gorbacev è riuscito, in sette anni di potere, a uccidere più uomini di quanto non sia riuscito a fare Pinochet in tutti i suoi anni di potere!”.
Così propongo a loro uno scambio: non sarebbe il caso di invitare Pinochet a tenere conferenze nel nostro college e di inviare Gorbacev in prigione? I miei colleghi del college erano tutti indignati dal mio intervento: come è possibile fare un confronto tra Gorbacev e Pinochet? Questo dimostra una volta per tutte che da noi c’è una moda intellettuale, ormai precisa e fissa nel mondo, grazie alla quale solo quelli di destra commettono dei delitti, non li commettono invece quelli di sinistra.
Maurizio Cerruti Tornando indietro ai personaggi della storia sovietica, la mia impressione, leggendo il libro, è che, in qualche modo, forse il più onesto tra i leader dell’URSS sia stato – a parte Stalin, che era un personaggio a parte – Chruscev, il quale ha tentato le riforme però senza mascherarsi dietro un’immagine di liberale. In fondo lui credeva sinceramente a quello che faceva. Dopo Chruscev che cosa è successo? Come mai c’è stata questa involuzione, questo crollo verticale, soprattutto dal punto di vista economico?
Vladimir Bukovskij È un’espressione molto forte, io non mi sentirei di definire Chruscev un uomo onesto: era un cretino, e mentre gli altri parlavano di lotte di classe, lui rispondeva: “Noi vi sotterreremo”. Probabilmente lui, con le sue parole, rifaceva il motto marxista che diceva che il proletariato è la tomba del capitalismo, lo ripeteva a modo suo. Per quanto riguarda la sua onestà, ho trovato molti documenti, al tempo in cui per esempio, lui andava proclamando una pacifica vita insieme all’occidente, stava preparando uno speciale reparto nel K.G.B. per organizzare il terrorismo in occidente, e parlava di coesistenza pacifica.
Ovvero, si trattava di un programma che prevedeva di assassinare e preparare gli assassini degli esponenti politici migliori e più energici dell’occidente. Persino nella situazione in cui, più o meno, il suo comportamento può definirsi retto, ovvero nella riabilitazione dei detenuti politici staliniani, si è comportato in modo estremamente immorale, così come risulta dai documenti che compaiono nel libro. Per esempio, non si poteva dire ai parenti che i loro familiari erano stati fucilati, bisognava solo dire che erano morti in detenzione. In una cosa lei ha ragione: Chruscev era un uomo imprevedibile, non si sapeva che cosa avrebbe fatto, un uomo impulsivo.
Ha sempre cercato, in qualche modo, di correggere il sistema, era convinto onestamente che si sarebbe dovuto correggere in modo da farlo funzionare, e in tutti questi suoi tentativi a vuoto, svelava ancora di più l’incapacità congenita di quello che era il sistema sovietico, la debolezza interna. Finiva per dividere o disintegrare i comitati regionali per poi riunirli nuovamente, era andato in America e ha visto quanto bene cresceva il grano laggiù e ha deciso di piantarlo al Polo Nord. Aveva una massa enorme di idee, però il sistema era ormai talmente stabilizzato che solo pensare di realizzare le idee di Chruscev e portarle nella realtà, suscitava solo e semplicemente il riso, pareva comunque assurdo.
Io ritengo che Chruscev sia stato l’ultimo leader sovietico che, in qualche modo, credeva nel socialismo o in qualche forma di socialismo, e pertanto cercava di introdurre testardamente, di fare qualcosa, e con questo ha mandato in malora il sistema. Poi, invece, sono venuti degli uomini che, viceversa, non volevano toccare il sistema in nessun modo, lo volevano conservare esattamente com’era senza cambiare nulla all’interno di esso, per cui si è avuta l’impressione che dopo Chruscev il sistema in qualche modo è peggiorato, io invece sono stato in prigione all’epoca di Chruscev. Nell’epoca di Chruscev c’erano quasi cinque volte più prigionieri politici che in altri periodi.
Maurizio Cerruti Quindi già funzionava la politica dell’immagine, che poi è stata riscoperta da Gorbacev. Una cosa che mi ha colpito del libro è un passaggio in cui accenna al fatto che, in fondo, il sistema sovietico è come un nazismo che non ha subito il processo di Norimberga, che è andato avanti protetto dietro al suo schermo di bombe atomiche. Può dirci qualcosa su questo argomento?
Vladimir Bukovskij Prima di tutto vorrei dire che questo libro è nato proprio dal mio desiderio di riuscire a fare, in Unione Sovietica, un processo sul genere del processo di Norimberga. Nell’agosto del 1991 a Mosca successe il golpe, e io per combinazione,mi trovavo in tasca un visto di entrata per il 25 agosto. Mi sono accorto, già al secondo giorno, quando ero ancora in Inghilterra, che il putch non avrebbe avuto esito alcuno, e dopo poco, mi recai a Mosca di persona.
Il mio scopo immediato era, partendo da Londra e arrivando a Mosca, quello di mettere le mani sugli archivi. Approfittando della confusione, della rincorsa al potere, della gente in conflitto gli uni contro gli altri, io avrei messo le mani sugli archivi, perché sapevo bene che quel mostro lo si sarebbe potuto distruggere solo mettendo le mani sui suoi segreti. Arrivai quindi a Mosca, conoscevo un personaggio dell’entourage di Eltsin, sono andato da lui e gli proposi l’idea di istituire un processo.
Comunque, con loro era un po’ difficile fare un discorso filosofico, quindi preferii far loro un discorso molto più semplice e chiaro. Invece di parlare di una lotta contro i mali universali dissi: “Guardate, bisogna ferire l’animale ferito finché è ferito perché, se gli consentiamo di sopravvivere, quello continuerà a svolgere il suo lavoro. Adesso approfittiamo del fatto che i golpisti sono tutti in prigione, cerchiamo di istruire un processo contro di loro, trasformiamolo in un processo contro il partito – e sarebbe stato molto semplice abbinare le due cose, perché loro erano contemporaneamente sia leader del partito sia dello Stato – e facciamo in modo che si tratti di un processo pubblico, come succedono, per esempio, i processi nelle commissioni al Congresso americano, e pubblicamente, davanti agli occhi di tutti, apriamo un volume d’archivio dopo l’altro, e discutiamoci sopra”.
La cosa strana è che riuscii a convincere quasi tutti, a parte Eltsin. Eltsin capì subito che quella non era cosa che gli sarebbe convenuta, ha capito subito che avrebbero cominciato dai golpisti e avrebbero finito con lui, per cui si rifiutò categoricamente e oppose un netto rifiuto, quindi me ne tornai a casa, mi misi il cuore in pace, e ormai sulla Russia avevo messo una croce sopra, ero convinto che non ci sarei più tornato; ma nella primavera del 1992 successe esattamente quello che io prevedevo: i comunisti si sono svegliati di botto, e non solo si sono svegliati ma addirittura hanno mosso all’attacco e hanno chiamato in causa Eltsin presso la Corte Costituzionale, per discutere la decisione di Eltsin di mettere fuori legge il partito e di deciderne più o meno la legalità e la costituzionalità. A questo punto, tutto l’entourage di Eltsin si spaventò, perché si rese conto che avrebbero potuto benissimo perdere il processo.
Allora uno dei più stretti collaboratori di Eltsin mi telefonò a Cambridge invitandomi ad andare a Mosca, chiedendomi aiuto, esprimendomi la paura che, essendo la gran parte del collegio dei giudici a favore del partito, ci sarebbe stata la probabilità di perdere il processo, e, quindi, chiedendo il mio aiuto e il mio appoggio. Io acconsentii, però a una condizione, dissi: “Verrò, solo qualora voi apriate gli archivi”. Acconsentirono ad aprire gli archivi, però a condizione di tenerli aperti solo ai fini processuali e nel periodo della celebrazione del processo.
Crearono quindi una speciale commissione presidenziale, al fine di poter togliere il sigillo del segreto agli archivi e aprirli per un tempo limitato, corrispondentemente alle necessità processuali, e io venni designato esperto presso la Corte Costituzionale. In tal modo mi diedero la possibilità di richiedere determinati documenti d’archivio, la commissione avrebbe sostenuto la mia richiesta, e avrei ottenuto le carte necessarie. Ma dal momento che io conosco bene i miei ex compatrioti, sapendo benissimo che nessuno mi avrebbe dato la possibilità di fare delle fotocopie, decisi di provvedere per conto mio. Avrebbero opposto le scuse più strane ad esempio che la fotocopiatrice si è rotta, che manca la carta, che il documento non c’è, quindi non avrei potuto copiare nulla.
Quindi decisi di comprarmi un computer portatile, con uno scanner, anch’esso portatile. Uno scanner portatile, da abbinare a un computer portatile era, a quel tempo, una novità anche per l’occidente, e tanto più in Russia, e quindi immaginai che non avrebbero assolutamente capito quello che stavo andando a fare. Così infatti avvenne. Mi trovavo nella sede della Corte Costituzionale, il processo si svolgeva: da un lato gli ex membri del comitato centrale del Politburo, sull’altra sponda i membri e i ministri dell’entourage di Eltsin, e io nel mezzo, seduto tra di loro, tranquillamente passavo allo scanner 48 volumi di documenti.
Naturalmente il mio computer suscitava molta curiosità; durante gli intervalli mi si raggruppavano alle spalle, mi guardavano da dietro le spalle e l’unico argomento che li interessasse era il valore: “Quanto costa uno strumento come questo?”, “Costa, costa”. Solo alla fine, mentre stavo copiando il quarantottesimo volume, a uno di loro si accese una lampadina e gridò: “Ma quello, li sta copiando!” e si fece un silenzio di tomba. Io finsi che la cosa non mi riguardasse per nulla e continuai tranquillo a copiare, ma quello non si diede per vinto e disse: “Ma quello farà pubblicare tutto ‘di là’!”, ovvero in occidente.
Chiusi il mio computer, ordinai i miei fogli e mi avviai verso la porta, e, con la coda dell’occhio, vidi la scena del mutismo, pari alla scena conclusiva dell’Ispettore generale di Gogol. Da lì andai all’aeroporto e tornai a Cambridge. Sulla base di quei documenti è nato questo libro, e ora tutti i documenti copiati hanno un sito internet, anche se purtroppo è uscito un errore tipografico nell’indirizzo, comunque sono tutti a disposizione e possono essere consultati grazie all’aiuto dei miei amici americani.
Maurizio Cerruti Praticamente non è sfuggito niente? È riuscito a fare tutti e quarantotto i volumi o…
Vladimir Bukovskij Anche qualcosa di più, perché poi ne richiedevo espressamente di altri. Non dimentichiamo che l’Italia e la Russia sono un po’ un “casino”, quando tu chiedi una cosa te ne arriva un’altra. Per esempio, una commissione arriva con un grosso fascicolo, e mi dice: “Guarda, qui dentro ci sono tutti i segreti di stato. Sono tutti coperti dal segreto. Questi non te li mostreremo mai!”, poi intanto c’è l’intervallo del pranzo, il funzionario mi appoggia questo fascicolo sul tavolo e se ne va a mangiare.
Ovviamente io sono curioso di vedere che razza di segreti stanno lì dentro, apro quindi il fascicolo e copio tutto quello che è successo. Un altro modo è quello, per esempio, di instaurare rapporti personali con gli archivisti: con qualcuno hai qualche rapporto privilegiato, gli chiedi qualche documento specifico, lui ti fa il favore, quindi te ne arrivano di altri: “Siamo russi tutti e due, quindi cerchiamo di trovare un accordo…”, un po’ di cioccolata per le signore, per esempio, un po’ di cognac per gli uomini. Il capo della commissione era allora il ministro per la stampa e la comunicazione, amico carissimo di Eltsin, e spesso, nella sua dacia, di sera, a un tavolo, finivamo per bere un mucchio di vodka insieme, per cui, come en passant, gli dicevo, dopo la seconda bottiglia di vodka: “Guarda, ti ho ordinato 500 documenti domani, sono tutti segreti: per favore, fammeli consegnare”, e lui, ubriaco, rispondeva: “Quanti, 500? Va bene. Dai, beviamoci sopra”. Questa è la Russia, e la disciplina non c’è.
Maurizio Cerruti Questo clima che si è creato, questa finestra che si è aperta, adesso si è richiusa oppure ancora adesso lei può andare ancora abbastanza liberamente e magari preparare qualche volume per il futuro?
Vladimir Bukovskij Almeno alla fine del processo tutto è stato richiuso e inoltre è passata una nuova legge che ha sottoposto tutti gli archivi contenenti i documenti dell’ultimo trentennio a un regime di segretezza, però non solo questo periodo è stato sottoposto al segreto, addirittura i documenti riguardanti gli inizi del potere sovietico adesso sono sotto regime di segretezza. Solo documenti poco interessanti possono emergere di qua e di là, in realtà tutti gli archivi sono chiusi. La cosa paradossale, ora come ora, è che i documenti che ora voi potete leggere, che compaiono in questo libro, sono diventati segreti di nuovo, sono sottoposti a regime di segretezza. Li potete vedere in internet, ma non più in originale. Andando invece nella sede degli archivi, diranno che non è possibile averli perché sono secretati.
Maurizio Cerruti Torniamo al momento del famoso golpe, che mi sembra un passaggio chiave. Apparentemente, in occidente, sembrò che un gruppo di vecchi dirigenti, legati al passato, tentarono di rovesciare Gorbacev per tornare indietro e quindi sconfiggere il riformismo, però l’impressione, a leggere il libro, è tutt’altra. Può essere dettagliato su quest’aspetto, cioè, il ruolo di Gorbacev e il ruolo di Eltsin in questo passaggio?
Vladimir Bukovskij Purtroppo non ho avuto in mano questi documenti, perché si trattava di fascicoli separati che riguardavano il periodo di inquisizione sul putch. Il periodo istruttorio non era ancora concluso, però il procuratore generale, al processo, ha portato con sé questi volumi dei documenti di materiale istruttorio. Non ho potuto purtroppo né copiare nulla né prendere qualcuno di questi volumi con me, però sono riuscito a sbirciare.
L’istruttoria ha stabilito che Gorbacev era al corrente del putch e che il putch non era diretto contro di lui. È stato invece il tentativo di proclamare la legge marziale nel paese, tentativo che si stava preparando già nell’89. Era stata elaborata addirittura una serie di leggi relative alla proclamazione della legge marziale. Addirittura si può dire che, nel gennaio del 1991, loro misero in atto un piccolo putch nei paesi baltici. Chi ricorda gli avvenimenti baltici di allora trova una straordinaria coincidenza nello schema e nella procedura con il putch di Mosca dell’agosto del ’91.
Il sistema sovietico, prima di attuare alla grande un esperimento, ha sempre condotto un test, un saggio a livello minore. Quindi avvenne l’esperimento nei paesi baltici, però la reazione a tale “esperimento” fu talmente grave che Gorbacev si è spaventato. Nei loro piani, in base ai documenti che ho visto, si sarebbe dovuto introdurre la legge marziale alla fine di marzo-inizio aprile 1991, però, all’epoca il paese era ormai incontrollabile; si verificavano colossali dimostrazioni nel paese, una addirittura a Mosca alla quale partecipò mezzo milione di persone, e milioni di minatori scioperavano nel paese.
In aprile la tensione era diventata talmente bollente che venne proclamato uno sciopero generale di un giorno. Più di 50 milioni di persone aderirono allo sciopero generale. A quel punto a Gorbacev fu chiaro che se avesse introdotto la legge marziale nel paese, la resistenza sarebbe stata colossale e decise di posticipare la cosa. D’altro canto gli faceva molto comodo avere l’immagine del liberale in occidente e non voleva figurare come capo di coloro che introducevano la legge marziale. Era necessario quindi trovare il modo di proclamare sì la legge marziale, ma in qualche modo senza il suo diretto intervento.
Così nacque l’agosto. Lui se ne andò in Crimea e disse ai colleghi di agire. Una volta fatto, lui sarebbe tornato. Però tutto prese a non funzionare: l’esercito si rifiutò di obbedire, per il semplice fatto che i capi militari avevano il timore di fare qualsiasi cosa senza l’approvazione diretta di Gorbacev; capivano perfettamente che sarebbero stati in un primo tempo utilizzati e poi fucilati. Si rifiutarono dicendo: “Dov’è il comandante generale? – nella fattispecie Gorbacev – Dia l’ordine e noi ubbidiremo”.
Come si può immaginare che quelli che hanno ordito il complotto vadano a consultare la loro vittima designata? Quello che io mi immagino è che loro si siano recati da Gorbacev a ricevere aiuto. “Ci dia una mano, Michail Sergeij” hanno detto. Questo è successo. Nel 1993 era stata decisa l’amnistia nei confronti di tutti i partecipanti al putch. Uno solo si rifiutò di accettare l’amnistia, era il generale Varishnikov: “Non voglio l’amnistia: io voglio essere processato”. Lo processarono e gli diedero ragione, per il semplice fatto che aveva agito su incarico di Gorbacev. Però la cosa stupefacente è che io ho trovato un solo giornale in occidente che ha riportato questa notizia, piccolissima, due righe, ed è finita lì. Questi sono i nostri putch.
Maurizio Cerruti A questo punto farei un’ultima domanda e poi passerei al pubblico. Volevo chiedere in particolare: perché l’inganno dell’occidente? È veramente un inganno oppure è un gioco delle parti, per cui a un certo punto all’occidente ha fatto comodo presentare Gorbacev come il liberatore? Mi sto chiedendo se sia stato il vecchio regime sovietico che ha ingannato l’occidente, oppure è stato un gioco delle parti per…
Vladimir Bukovskij È una domanda buona ma molto lunga. Dobbiamo tenere presente che l’occidente non è omogeneo. Le forze occidentali di sinistra volevano coscientemente andare alla ricerca di un inganno, volevano essere ingannati. Ho trovato un documento magnifico del 1991, ed è un rapporto della sezione internazionale del comitato centrale, pochi mesi prima che cadesse il regime. In questo rapporto si dice che i partiti socialisti, socialdemocratici occidentali sono molto preoccupati di un’eventuale caduta del regime per il semplice fatto che un crollo dell’idea in oriente avrebbe portato a una crisi dell’idea in occidente, per cui, spontaneamente, da parte dei leaders di maggior prestigio dell’occidente, come Mitterand e Gonzales, si propone al regime l’aiuto per sostenerlo e impedirgli il crollo.
Addirittura concretamente Pierre Leroi, ex ministro di Francia, si offre di andare a Mosca personalmente per discutere i modi e i tempi per risolvere il problema: semplicemente stupefacente. Se di questo scrivono nel 1991, vuol dire che il problema li affliggeva da tanto, il che significa che alle forze occidentali di sinistra sin dall’inizio non conveniva il crollo del regime, e quindi da qui il sostegno cosciente di Gorbacev. Lui infatti cercava di salvare il socialismo, il che era perfettamente compreso in occidente. Ecco quindi che gli creano l’immagine del lottatore per la democrazia e del fautore di una vita migliore, infatti lo appoggiano fino all’ultimo istante.
Ora, guardando quel che succede nel mondo, dobbiamo dire che loro ce l’hanno fatta, che hanno avuto partita vinta. In Russia sono rimasti al potere gli ex comunisti e al potere in occidente abbiamo ora o gli ex o i neo comunisti, chiamateli come volete, o i socialisti o i socialdemocratici. Tutta l’Europa al giorno d’oggi è socialista, con la sola esclusione della Spagna. Come la mettiamo con i conservatori? A questo proposito posso dare una risposta molto frammentaria, non una risposta generale: vi posso portare l’esempio di Margaret Thatcher, sicuramente una delle figure più significative, più chiaramente anticomuniste e conservatrici dell’Europa occidentale e tuttavia una delle prime che ha accolto generosamente Gorbacev e che lo ha appoggiato.
Devo dire che la conosco dal 1986 e posso dire che abbiamo fatto amicizia. Abbiamo discusso per sette lunghi anni cercando inutilmente di dimostrarle che Gorbacev voleva esattamente l’inverso di quello che voleva lei e mi rendevo conto che non voleva assolutamente capirmi. Nei confronti di Gorbacev aveva una specie di istinto materno, era quasi un suo figlioletto, era quasi come una sua creatura. Bisogna dire che mi ha veramente fatto infuriare, finché alla fine sono riuscito a trovare i documenti che volevo, riguardanti gli scioperi dei minatori inglesi avvenuti nel 1984, uno sciopero estremamente importante per lei, perché se i minatori avessero avuto successo il suo regime sarebbe caduto, lei sarebbe caduta.
Nel momento culminante dello sciopero, quando più ne avevano bisogno, l’Unione Sovietica inviò un milione di dollari a sostegno dei minatori inglesi, e chi è stato colui che ha firmato la risoluzione a proposito di questo trasferimento di denaro? Gorbacev. Le ho portato il documento, messo sotto il naso, ho messo il dito sulla firma e ho detto: “Eccolo qui il tuo Misha!”. Lei è impallidita, e mi chiese: “Quando l’ha firmata?”. Le trovai la data. “È ancora peggio – dice – perché esattamente in quest’epoca io gli ho posto una domanda diretta e lui mi ha detto che non sapeva nulla in proposito”; io mi sono letteralmente fregato le mani, e le ho detto: “Vedi, questo significa fare affari con il comunismo. La loro abitudine è quella di guardarti negli occhi e di mentire”. Lei ha taciuto e poi ha commentato: “Non sono un’ingenua”. A mio avviso era molto ingenua.
Ruggero Chinaglia In alcune pagine del suo libro si occupa ampiamente della questione Italia, in particolare dell’attualità italiana che va sotto il nome, negli ultimi anni, di “mani pulite”, emblema, per alcuni, della trasformazione civile, politica, morale. Quali sono, a suo parere, le radici di questa operazione detta “mani pulite”?
Vladimir Bukovskij Ne scrivo abbastanza compiutamente nel libro. Tenete presente che io queste cose le ho scritte nel 1992-93. Allora dissi che si trattava di un’operazione del partito comunista per arrivare al potere. Ora, a distanza di cinque, sei anni, si può dire che avevo ragione. Ovviamente non avevo documenti in proposito, perché stavano ben al di fuori dei confini dei documenti a cui io avevo avuto accesso; avevo tuttavia a disposizione molti documenti a proposito dei rapporti finanziari tra Mosca e il partito comunista italiano, e alcuni di questi compaiono nel libro.
Bisogna anche dire che, non appena li trovai, mi affrettai a spedirli in Italia ai miei amici. Alcuni documenti uscirono su alcuni giornali: vennero fatte delle mozioni in Parlamento a proposito dell’illegalità di questi finanziamenti al partito comunista, ed è a questo punto che è iniziata l’operazione “mani pulite”, cosa che di per sé mi suscita sospetto. Prima cosa: se noi combattiamo contro la corruzione, dobbiamo combatterla dovunque essa sia, quindi, la lotta contro la corruzione, se concentrata sui partiti minori…
C’era sicuramente, però, per qualche strana ragione, si è bloccata di fronte agli immensi, sicuramente illegali finanziamenti che riguardavano uno dei partiti maggiori, e non c’è stata alcuna indagine sul loro conto. Io ho mandato questi documenti a tutti, li ho inviati alla stampa, ai giornalisti, ai politici, alle personalità pubbliche, e tuttavia non è mai stata iniziata una seria istruttoria da parte della magistratura italiana nei confronti di questo tipo di finanziamenti. I miei amici italiani mi hanno detto che da tempo la magistratura italiana era infiltrata da gente del partito comunista, per cui per me, all’epoca, sentendo questo tipo di spiegazioni, fare due più due uguale quattro, è stato abbastanza semplice, e riuscire anche a capire dove sarebbe andata a parare un’operazione come questa. Non mi sono sbagliato ed è successo quello che ho previsto.
Ruggero Chinaglia Recentemente è stata approvata una legge che riguarda il “consenso informato”, in base alla quale ogni cittadino, a meno che non lo neghi espressamente, dona i propri organi. Cosa le sembra?
Vladimir Bukovskij Nessuno vuole i miei organi perché fumo troppo, però dal punto di vista giuridico la questione è molto discutibile, cioè, come si può effettivamente realizzare? In Inghilterra avviene l’inverso, è necessario dare disposizione specifica perché possano prelevarli, e senza questa autorizzazione personale non si possono toccare. Direi che nel vostro paese è avvenuta una dilatazione, in questo senso, che non corrisponde a quella che è la pratica a livello mondiale.
Ruggero Chinaglia Non le sembra che questa formula, che dà per scontato un assenso, possa configurarsi in direzione di un indicatore della credenza nel suddito e di conseguenza nel plagio?
Vladimir Bukovskij Va detto che un concetto come questo era abbastanza tipico dell’Unione Sovietica, nel senso che tutto quello che non veniva espressamente consentito, era vietato. Era necessario, ovvero, affermare espressamente un diritto, in modo che esso funzionasse, quando invece, dal punto di vista della prassi internazionale, avveniva l’inverso. Io direi che, da questo punto di vista, il fatto che sia comparso questo modo di pensare è un segno abbastanza negativo. Ho l’impressione che, se si dovesse continuare su questo esempio, interverrebbero molte limitazioni della libertà degli uomini, quindi molte opposizioni ad esse. Dal punto di vista di un uomo che si è sempre occupato di diritti umani, direi che una cosa del genere va intesa come pericolosa.
Ruggero Chinaglia Negli ultimi vent’anni almeno, una delle conquiste dell’occidente è stata considerata la libertà sessuale. In termini intellettuali, considera questa una conquista della libertà?
Vladimir Bukovskij Esaminiamo il mondo attuale, cercando di individuare quali sono le sue tendenze, in quale direzione si muove il suo sviluppo. Dovremmo dire che il modello propostoci da Orwell, che è servito da spauracchio nella prima metà di questo secolo, ormai non è più tale, e ci siamo arrivati molto vicini però non ci siamo arrivati del tutto; in questo senso il 1984 si può dire non sia mai arrivato. C’è stata però, nel nostro secolo, un’altra grande anti-utopia, di cui gli uomini sembrano essersi dimenticati: io intendo Aldus Huxley, “The brave new world”. Io invito tutti coloro che hanno letto il libro tempo fa o che non l’hanno ancora letto, a leggerlo, perché è un libro veramente profetico, che merita di essere letto.
È esattamente il modello propostoci da Huxley in questo libro che ora si sta realizzando: è una specie di modello di dittatura più raffinato, costruito sul principio che tutti gli uomini devono essere necessariamente felici, che non devono avere problemi di sorta, e, se questi dovessero sorgere, bisogna ingoiare una pillola. La pillola di Huxley si chiama soma, noi abbiamo il Prozac, per esempio, molto vicino al soma; tra una ventina d’anni lo perfezioneranno e diventerà il soma di Huxley. In questa anti-utopia, in questo libro, nel mondo non esiste più la famiglia, la libertà sessuale è assoluta e si cambia partner ogni giorno.
Huxley lo spiega in un modo splendido, e lo scrive in modo splendido: “Quando diminuisce la libertà intellettuale, il dittatore saggio aumenta la libertà sessuale”. Accendo la televisione, oggi come oggi – e sono, vi assicuro, tutt’altro che un puritano – e non vedo altro che sesso. Allora mi chiedo perché, chi può avere deciso una cosa come questa, e ricordo Huxley. Tutti siamo in grado di capire che il sesso è un bellissimo sostituto di quella che è la libertà reale.
Dal pubblico Vorrei sapere la sua opinione su Eltsin e sul popolo russo.
Vladimir Bukovskij Per quanto riguarda Eltsin, è una figura molto contraddittoria e a suo modo tragica. Ha effettivamente avuto un impulso verso il meglio, e ha desiderato di migliorare la situazione del paese, ma, si è rivelato inadatto al ruolo a cui la storia lo ha designato, e il suo apice, il suo momento migliore è stato durante il putch di agosto, il suo momento magico è stato quando, durante il putch, si è arrampicato sul carro armato e ha chiamato il popolo russo a opporsi al comunismo, ma purtroppo gli è bastato scendere da quel carro armato per cominciare a fare errori.
Non si è rivelato un uomo forte, e gli è mancato il coraggio di istituire il processo al comunismo. Si è purtroppo di fronte alle forze comuniste che continuamente si riproponevano, e lui ha sempre dimostrato di cedere. Purtroppo ha ceduto, tranquillamente ha consegnato al nemico almeno quattro o cinque gruppi di suoi stretti collaboratori, e quindi ha finito per ritrovarsi loro ostaggio. Oggi come oggi si differenzia poco dal Breznev e dal Cernienko degli ultimi tempi, non si capisce bene se sia vivo o morto. Le decisioni non le prende lui ma il suo entourage, e lui fa addirittura fatica a firmare i decreti emessi da lui stesso. Io non so cosa succede a voi, ma quando lo vedo alla televisione provo pietà per lui, e mi capita di pensare: se tu fossi morto due o tre anni fa saresti stato una grande figura della storia. Questo è quello che provo per lui.
Massimo Meschini Dal dibattito molto interessante di questa sera, e anche da ciò che emergeva in un dibattito che ho avuto la fortuna di seguire a Roma, veniva posta da Bukovskij la questione che la mancata elaborazione della questione comunista in occidente è andata di pari passo alla presa del potere da parte della sinistra in Europa. Alla luce di quello che stiamo dicendo questa sera, può dire qualcosa di più intorno alla “mancata elaborazione della questione comunista”?
È mancata l’elaborazione della possibilità di controllare le masse, secondo un regime utopico, e in questo senso ciò coinvolgerebbe tanto la sinistra quanto la destra? La connivenza rispetto al sistema sovietico, è forse dovuta alla mancata elaborazione della novità della politica, anche in occidente, e quindi al fatto che anche l’occidente si piegasse agli stessi pregiudizi, in parte, dell’Unione Sovietica?
Vladimir Bukovskij Il fatto, purtroppo, che l’umanità si sia dimostrata incapace di elaborare, di arrivare al livello intellettuale necessario per raggiungere la comprensione della questione comunista, è estremamente doloroso e va preso in considerazione. Questo è per me doppiamente triste, come uomo rappresentante di un paese che a causa di un regime ha visto perdere e perire decine di milioni di persone. Sarebbe già una giustificazione se, dopo tutte queste vittime e tutti questi strazi che hanno afflitto il mio paese, l’umanità fosse diventata di una sola virgola più intelligente di prima, e il fatto che ciò non sia avvenuto è un’offesa nei confronti della memoria di tutti quei milioni di persone.
Rende senza senso sia la loro morte che la mia vita. La loro morte non si differenzia dalle vittime prodotte da un terremoto. Se alla fine del nazismo l’uomo ha trovato dentro di sé la necessità e la capacità di riconoscere e assumere la responsabilità di fronte a questo, questo sarebbe già un fattore positivo. Questo non è avvenuto alla fine del processo comunista. Non si tratta nemmeno del fatto che tutto ciò suoni come offesa alla memoria delle vittime. Questo significa ancora che tutti gli errori commessi lungo il secolo ventesimo continueranno puntualmente a ripetersi, e, si stanno ripetendo mentre noi siamo qui seduti a chiacchierare in questa sala, e al posto di una sola utopia, appaiono una miriade di altre utopie che vanno a occupare il posto lasciato da quella.
È stato poco l’esempio di quel terribile mostro che era l’Unione Sovietica, che grazie al cielo ci ha lasciato la pelle. Non è bastato l’immagine di questo mostro, perché gli occidentali, l’Europa occidentale è pronta a ricreare per sé un altro mostro simile. Inoltre, con incredibile precisione, stanno rimettendo in piedi tutte le sue strutture; per esempio, in connessione adesso con le dimissioni della Commissione Europea, è emerso che dal punto di vista giuridico nessuno avrebbe potuto desautorarla, che nessuno l’ha eletta e che i membri di essa si eleggono tra di loro, reciprocamente. Spiegatemi allora la differenza fra questa commissione e il Politburo.
Forse ci sono stati troppo pochi esperimenti nell’Unione Sovietica per arrivare all’amicizia fra i popoli, alla fine dei quali il risultato è stato quello di vedere che tutti i popoli dell’Unione Sovietica hanno cominciato a odiarsi gli uni gli altri. Indipendentemente da tutto quanto è successo e dimenticando questi esempi, vogliono creare una specie di casa comune europea, ripetendo puntualmente tutti gli errori fatti, che porterà le stesse conseguenze e creerà odio. Sembra che siano stati pochi i tentativi, nell’ambito di 73 anni, di istituire un’uguaglianza generalizzata, valida per tutti; come risultato questo tentativo ha dato il paese più privo di uguaglianza esistente sulla faccia della terra. Non sono bastati questi 73 anni di tentativi perché, adesso, l’Europa sta cercando di nuovo di proporre, di istituire questa eguaglianza fra gli stati, in nome della socialdemocrazia.
Tutte le utopie condividono qualche cosa, e io speravo che alla fine di questo nostro secolo gli uomini arrivassero per lo meno a delle deduzioni elementari e non fossero più lì a rompersi la testa con queste utopie morte, mentre sembra invece che questo non debba succedere. Quando sentiamo parlare di pulizie etniche si sveglia la memoria di quello che ci ha ricordato il processo di Norimberga. Invece non abbiamo nulla da obiettare quando ci parlano di eguaglianza sociale forzata. Le utopie hanno in comune l’incapacità di riconoscere la sovranità della personalità dell’uomo in sé.
Tutte le utopie hanno condiviso la stessa credenza nella possibilità di perfezionare la natura umana con l’aiuto delle condizioni esterne. Per questi utopisti l’uomo rappresenta una tabula rasa, un recipiente vuoto. Se mai c’è stato un desiderio che ho voluto affermare in tutta la mia vita, è stato quello di far vedere che io non sono una tabula rasa, io non sono una cosa che si può spostare di qua e di là: io porto in me la capacità di decidere di quello che sono e di quello che voglio essere, e, di conseguenza, anche la responsabilità di quello che faccio.
Guardate invece attorno quello che succede: oggi sono tutti vittime e nessuno ha responsabilità alcuna. Io guardo con spavento quello che succede in Inghilterra: le donne sono tutte oppresse e gli oppressori sono gli uomini. Tutte le nostre minoranze etniche sono represse, soffrono e sono vittime; altrettanto dicasi degli invalidi, e nessuno ha responsabilità, e io con stupore guardo quanto avviene intorno a me e mi dico: io ho passato 12 anni nei lager sovietici, e tuttavia non mi sento vittima per averlo fatto.
Ruggero Chinaglia Bukovskij ha risposto adesso alla domanda che gli avevo posto intorno al plagio, in quanto mi pare molto preciso che ogni ideologia, ogni idea del vittimismo è l’altra faccia della credenza nel plagio.
Dal pubblico Volevo chiederle un suo giudizio sulla situazione ebraica durante il regime sovietico, poi un giudizio sulla situazione politica attuale in Italia e da quando le risulta sia iniziato il sovvenzionamento da parte del partito comunista sovietico al partito comunista italiano e se attualmente è finito o le risulta che continui ancora.
Vladimir Bukovskij Per quanto riguarda la situazione degli ebrei la questione è molto lunga. È una cosa che risale al secolo scorso, quando c’erano molti comunisti ebrei. Fra gli ebrei c’erano molti comunisti, i quali molto in fretta sono rimasti delusi. Stalin ha provveduto a fucilarli. Dalla mia epoca, quando io crescevo, mi ricordo che ero ragazzino di otto, nove anni, quando è cominciato il famoso processo dei medici avvelenatori. In pratica tutto si riduceva al fatto che si trattava di dimostrare che tutti questi medici avvelenatori erano ebrei.
Io non ho visto i documenti, ma è risaputo che l’intenzione di Stalin era quella di far deportare in blocco tutti gli ebrei in Siberia. In pratica gli ebrei sono stati salvati dalla morte di Stalin: è stata solo la sua morte che ha impedito che questo si avverasse. Nel periodo successivo, negli anni ’60, il regime sovietico ha assunto una finalità fortemente antisemitica, a causa della sua politica nel vicino oriente, nel senso che i paesi arabi erano alleati dell’Unione Sovietica, di conseguenza Israele era nemico. Ufficialmente non si definivano antisemiti ma antisionisti, però era sempre la stessa cosa, e molto spesso testi di chiara fattura antisemitica venivano pubblicati sulla stampa con l’etichetta di antisionisti.
Questo ha comportato l’ondata di emigrazione in Israele degli anni ’70. Questo è durato pressappoco fino alla fine del regime. Con Gorbacev grossomodo si è risolto. A dispetto di quanto si pensi in occidente, il regime sovietico è stato antisemita per la maggior parte del tempo. Potevano dare una formulazione diversa, ma in sostanza si trattava di antisemitismo. A quanto mi risulta, i finanziamenti al partito comunista italiano da parte del partito comunista sovietico ci sono sempre stati, in pratica dalla prima creazione, dalla divisione dei comunisti dal partito socialista, cioè dai tempi del Comintern, già sono cominciati i finanziamenti, dopodiché, dopo il Comintern si sono realizzati attraverso la sezione internazionale del Comitato Centrale.
Per darle un’idea dell’ammontare di questi finanziamenti, nel 1967, nei primi sei mesi dell’anno, Mosca ha passato al partito comunista italiano 3 milioni e mezzo di dollari, e solo per sei mesi. All’inizio degli anni ’70 sono passati a forme più raffinate di finanziamento, attraverso ditte cosiddette “degli amici”, che facevano in fondo da mascheratura. Si creavano delle ditte fittizie che erano controllate dal partito comunista italiano. Ufficialmente si davano al commercio con il Ministero del Commercio Estero sovietico e in questo modo venivano “pompati”, ho trovato alcuni documenti interessanti in proposito.
Nel 1983, grazie a una decisione del Politburo, il partito comunista guadagnò 4 miliardi di dollari attraverso un’operazione compiuta con una ditta chiamata Inter-Export, appartenente al partito comunista, con un certo signor Remigio suo rappresentante, che consisteva nel dare un credito a questa ditta, nell’abbassare il prezzo del petrolio e di dilazionare la restituzione del debito, e questo avveniva quasi ogni anno, non era l’unico caso questo, ovviamente, e c’erano molte di queste ditte e i soldi circolavano attraverso di esse.
Dal pubblico E attualmente c’è ancora qualcosa?
Vladimir Bukovskij La Russia non ha soldi, adesso, non possono. Hanno troncato i finanziamenti per mancanza di fondi, però hanno continuato i finanziamenti fino al ’91 compreso, cioè fino all’ultimo istante, sotto Gorbacev, ovviamente. L’occidente dava i soldi a Gorbacev e lui li distribuiva ai comunisti.
Maurizio Cerruti Abbiamo fatto un po’ una trivellazione nel pianeta Unione Sovietica, di questo enorme paese, il più grande del mondo, che è stato in fondo l’ultimo grande impero che ha resistito fino quasi alle soglie del 2000 prima di collassare, nel senso che i vari imperi sono crollati uno dopo l’altro con la prima guerra mondiale, e poi invece la Germania ha tentato di ricrearne uno senza riuscirci.
Il parallelo che Bukovskij ha fatto con l’Europa un po’ mi preoccupa, anche se è un parallelo non proprio diretto ma un richiamo a questo tentativo di riunire l’Europa sotto una nuova forma, in una forma democratica che secondo lui non prospetta niente di buono. Io, con l’ottimismo della speranza, mi auguro che la forza dell’economia, della moneta, del benessere che in qualche modo accomuna quasi tutti questi paesi che aderiscono all’unione in qualche modo aiuti a evitare gli errori del passato e a ricadere nella tendenza totalitaria che nasce sempre quando il potere è troppo concentrato ed è troppo forte e racchiuso in poche mani. Il fatto che la commissione europea abbia dato le dimissioni spontaneamente, o per lo meno senza alcun intervento esterno, diretto, è un segno.
Diciamo che nel Politburo una cosa del genere non era mai successa, quindi l’augurio è che in qualche modo si cerchi di costruire qualcosa di diverso rispetto alle brutte esperienze del passato. Io vorrei chiedere, per concludere, come vede il futuro della Russia. La Russia è un paese che è andato avanti praticamente senza subire sconfitte, dai tempi di Napoleone ha vinto tutte le guerre, è sempre stata dalla parte giusta, però è sempre ricaduta dalla parte dei perdenti, in qualche modo si è sempre auto-sconfitta. È successo in tempi recenti, è successo in passato. Ecco, secondo Bukovskij, qual è il futuro della Russia, come vede il dopo 2000 per la Russia? Da qualche speranza oppure vede ancora nero… o rosso?
Vladimir Bukovskij Per prima cosa vorrei dirle che non sono un pessimista. Lei sa, naturalmente, in che cosa si differenzia un pessimista dall’ottimista: il pessimista è un ottimista ben informato, per cui io so bene che la natura umana è uguale, in occidente come in oriente. Con tutte le vostre migliori intenzioni di vivere tranquillamente in pace, nel vostro “appartamento in comune” (si riferisce agli appartamenti in comune comunisti n.d.t.), io temo che questo non vi riuscirà. Io non ho dubbi che l’Unione Europea non sarà altrettanto sanguinosa di quella che è stata l’Unione Sovietica, ma non sarà meno stupida e devastante dal punto di vista economico, per il semplice fatto che questa è la natura umana, e non vi è alcun mezzo per rendere gli uomini nemici migliori gli uni contro gli altri che quello di costringerli a vivere sotto lo stesso tetto.
Per quanto riguarda la sua affermazione relativa al fatto che l’Unione Sovietica è stato l’ultimo impero, mi consenta una piccola precisazione: c’è anche la Cina, che forse può definirsi come ultimo impero. Io vorrei che non vi dimenticaste della Cina, perché pian pianino, nell’ambito di cinque, sei, sette anni la Cina diventerà il vostro Grande Fratello, e voi di colpo vi renderete conto che al suo interno ci sono moltissime nazionalità, che per esempio gli Uguri e i Mongoli non si considerano cinesi, per non parlare dei tibetani, però ritorniamo alla Russia e alla sua domanda di base.
Penso di non essere pessimista, ma semplicemente rivendico la mia conoscenza della materia; mi chiedono in che modo sono stato in grado di prevedere con tanta precisione il futuro. Io ho parlato del fallimento del comunismo 15 anni fa. Già nel 1983 avevo previsto che il gruppo di Eltsin non sarebbe riuscito a svolgere i suoi compiti, a portarli a termine, e nessuno voleva credermi all’epoca. Non sono un profeta, ma non sono segreti le cose di cui mi servo: sono solo un’analista, sono uno scienziato per istruzione, per educazione, sono un analitico per carattere.
Perché la vostra analisi sia giusta, dovete tenere lontane tutte le emozioni, ovvero, l’analisi è buona laddove non c’è speranza, non si mischia con la speranza: una cosa è l’analisi, una cosa è la speranza. L’analisi deve essere fredda, obbiettivo, e questa dev’essere la sua sostanza. Una semplice analisi della situazione attuale della Russia mi dice che il periodo critico è solo cominciato ed è ben lontano dall’essere concluso, che i crolli e i disastri sono vicini, e crisi economiche come è successo nell’agosto dello scorso anno succederanno sempre più spesso e regolarmente, e dal momento che l’estrazione, il ricavo dei pozzi petroliferi continua a scendere progressivamente, e non dimentichiamo che il greggio è il prodotto principale di esportazione, è inevitabile che la crisi diventi sempre più profonda, e dal momento che mancano le forze politiche in grado di tenere unito il paese, quello che io prevedo è un processo di progressivo disfacimento, frammentazione, sfaldamento del paese.
Possiamo assistere, per esempio, al nascere di repubbliche in estremo oriente, oppure di un piccolo regno della Siberia occidentale. Non vedo impossibile anche la suddivisione della federazione russa in principati, così com’era nel periodo medioevale. È difficile prevedere in dettaglio quello che succederà, però pressappoco penso che questa sia la direzione che prenderà la situazione, e dal punto di vista storico c’è una certa logica. Questo è un paese che nel corso di tutta la sua storia non è mai stato costruito dalla base, è stato costruito dal tetto, quindi manca ancora e continuamente un centro di potere decentralizzato, regionale, periferico.
Finché non comparirà non c’è possibilità di salvezza per il paese. Oppure potremo assistere in un primo tempo a una frammentazione, a un instaurarsi di piccoli centri autonomi periferici, poi di nuovo a tentativi di integrazione, di riunificazione, non è per nulla escluso. È bene? È male? Sia l’una sia l’altra cosa. Da un lato tutto ciò è inevitabile e, in qualche modo, va superato e va vissuto, e d’altro lato ancora non sappiamo come saranno diretti, comandati questi pezzettini di Russia: da parlamenti regolarmente eletti o piuttosto da dittatori? Vivranno insieme fra di loro oppure si combatteranno a vicenda? E quali saranno le armi, nel caso si combattessero a vicenda?
Inoltre noi ci rendiamo conto che i poteri periferici della Russia, qualora si frammentassero così, non sarebbero capaci di reggere il peso di infrastrutture nazionali, e quindi di nuovo si pone il problema di chi si occupa degli impianti chimici, chi si occupa delle centrali elettriche, chi paga per questo? Nessuno. E si tratta di una trentina di potenziali Chernobyl. È un processo molto doloroso e molto pericoloso, ma questo, al giorno d’oggi, è lo scenario più probabile.
Ruggero Chinaglia Nel congedarci, vorrei che tenessimo conto, ciascuno di noi, delle belle parole di Bukovskij quando dice che si tratta di fare l’analisi di ciò che accade: non la sintesi, ma l’analisi. Occorre che ciascuno faccia l’analisi delle cose che accadono. Un mezzo, un modo, uno strumento, perché solo facendo l’analisi, considerando quindi ciascun dettaglio nella sua logica c’è modo di dissipare la creduloneria, il candore, le credenze, che in molti casi non consentono di intendere quello che accade. Il miglior modo di ringraziare Bukovskij per la sua generosità, per aver scritto questo libro, per aver indagato e per continuare a indagare sulle cose d’Europa, di Russia e anche d’Italia, sulle cose che sono quindi di ciascuno, ritengo che sia quello di leggere questa sua testimonianza. È un libro d’informazione, è un libro anche per l’educazione, per l’educazione all’analisi, per l’educazione all’indagine, per l’educazione quindi all’intellettualità.