La Cina e l’Europa. L’arte e la scrittura
- Chun Dong, Dali Shen, Monica Balbinot, Segato Giorgio
19 luglio 2006 Conferenza con dibattito degli scrittori cinesi Shen Dali e Dong Chun. Interventi di Monica Balbinot, assessore alla cultura del Comune di Padova, Ruggero Chinaglia, psicanalista, Giorgio Segato, critico d’arte. Sala degli Anziani di Palazzo Moroni, Padova. Con il Patrocinio del Comune di Padova.
SHEN DALI E DONG CHUN
La Cina e l’Europa. L’arte e la scrittura
intervengono
- Monica Balbinot, assessore alla cultura del Comune di Padova
- Ruggero Chinaglia, medico, psicanalista, cifrematico
- Giorgio Segato, critico d’arte, poeta
Ruggero Chinaglia Buonasera. Benvenuti. Ringrazio l’assessorato alla cultura del Comune di Padova che ci ospita in questa bella sala e l’assessore stesso che arriverà nel corso della serata per formulare il saluto della città di Padova ai nostri ospiti, Shen Dali, scrittore cinese, Dong Chun, scrittrice e giornalista, anche lei cinese, Giorgio Segato, critico d’arte e poeta e Alessandra Mattei Gentili che ci assiste per la traduzione.
L’occasione di questo incontro è data dalla pubblicazione, da parte della casa editrice Spirali, di alcuni libri di Shen Dali e Dong Chun.
La collaborazione con Shen Dali e la casa editrice Spirali è cominciata nel 1986 – quindi ricorrono vent’anni proprio in questi giorni – con la pubblicazione del primo libro I bambini di Yan’an, un romanzo, il primo di una trilogia di cui Gli amanti del lago, che presentiamo questa sera, è il terzo. La trilogia comprende anche un secondo volume che è stato pubblicato in Cina e in Francia e che sarà pubblicato prossimamente in Italia. Questi libri sono sia la testimonianza della scrittura, della narrativa di Shen Dali sia un’audace lettura critica, esplicita, della situazione culturale e sociale cinese a partire dagli anni della rivoluzione cinese e via via lungo la rivoluzione culturale, il governo di Mao, fino ai giorni attuali. Quindi, oltre a essere un romanzo di grande bellezza per la trama, per l’insieme delle caratterizzazioni che i vari protagonisti offrono, è anche di grande interesse quale testimonianza della situazione cinese nel corso degli anni.
Accanto a queste due opere letterarie, ci sono anche quattro volumi della collana L’arca. Pittura e scrittura. Collana molto particolare che ha cominciato le sue pubblicazioni anni fa accogliendo il messaggio di Leonardo che, appunto, la pittura è un modo della scrittura, e che sollecita intellettuali di vari paesi, di varie scuole, scrittori, poeti, a leggere le opere di artisti di epoche e paesi differenti; ne sorge una preziosa combinatoria: la lettura dell’arte da parte di non “addetti ai lavori”, che offrono un altro modo di leggere e di restituire queste opere d’arte con la loro scrittura. E qui c’è una restituzione che arriva molto spesso alla poesia, per cui dà modo di cogliere l’integrazione tra le varie arti e tra le varie esperienze in differenti paesi e angoli del pianeta.
Questa sera, come dice il titolo dell’incontro, La Cina e l’Europa. L’arte e la scrittura, si tratta proprio dell’integrazione di due culture, di due civiltà tra loro molto lontane, ma che presentano un’istanza di cultura, di arte e di scienza che le avvicina molto, in realtà, e che le rende oggi protagoniste quanto all’economia, all’arte, alla cultura e alla scrittura. A darci un’eco di questa produzione letteraria e poetica, invito al suo intervento Giorgio Segato.
Giorgio Segato Buonasera, vi ringrazio di essere qua. Devo dire che mi ero preparato un testo scritto, che non riesco a trovare, perché la situazione era molto interessante per me da sviluppare. È diventata ancora più interessante e più complicata quando sono arrivato e ho scoperto che Shen Dali e Dong Chun sono marito e moglie. Io credevo che fossero due uomini. Avevo letto tutto in questo senso, invece così diventa molto imbarazzante, intrigante si dice oggi, specialmente il romanzo.
Il romanzo di Shen Dali ha due titoli come si vede: Gli amanti del lago. Punto. Il che vuol dire che non è la continuazione del titolo, e poi Sotto il sole di Mao. Allora, gli amanti del lago sono una coppia di innamorati, lei francese, lui cinese, tutti e due francesisti, tutti e due esperti di letteratura francese. Lei parla anche il cinese e ha una conoscenza della letteratura antica cinese. L’altro aspetto, oltre alla storia d’amore tra questi due personaggi, è il tempo in cui questa storia si svolge, che è quello della rivoluzione culturale, dalla fine degli anni cinquanta, poi avanti fino agli anni ottanta con i cambiamenti epocali che la Cina sta vivendo in questo momento, cambiamenti epocali che toccano soprattutto l’economia.
Io sono stato in Cina, due anni fa, a Pechino, Shanghai e in altre città, e ho visto che ai cambiamenti di carattere economico, anche strutturale delle città, non corrispondono adeguati cambiamenti di tipo culturale, se non a certi livelli dove è possibile spostarsi a livello internazionale. Si sa che da qualche anno la Cina, come d’altra parte l’India, favorisce le specializzazioni all’estero. Ora, voi potete pensare alla possibilità di selezione d’intelligenza che c’è in un miliardo e mezzo di abitanti rispetto ai sessanta milioni di italiani: la quantità di capacità intellettuale che la Cina sta esprimendo è veramente straordinaria. Però, resta una domanda molto interessante che è nella copertina del libro e che mi ha sorpreso proprio per il significato che ha dal punto di vista culturale e generale: un cinese lascia davvero la Cina quando si trasferisce all’estero?
Questa è una domanda importantissima, perché tantissimi cinesi, appunto, sono venuti via soprattutto per questioni di lavoro pratico, manuale, e adesso, invece, arrivano per il lavoro intellettuale. È una domanda che diventa importante in quanto la storia raccontata negli Amanti del lago è una storia tra un cinese e una francese.
È interessante anche il fatto che sia una storia tra un cinese e una francese. Sono convinto che la storia sarebbe completamente diversa se si trattasse di una cinese e di un francese, per tante ragioni. Gli amanti del lago, ecco, è un legare l’amore all’acqua. L’acqua è sempre presente in quasi ogni pagina del libro.
Diceva Ruggero Chinaglia che c’è una lettura, come diceva Leonardo. Un quadro, una scultura sono una forma di lettura, vedere un quadro, capire un quadro, guardare un quadro. Una sequenza di quadri diventa un romanzo, una sequenza di sculture diventa un romanzo sull’uomo, e questo si sente come legame soprattutto nella poesia.
Ogni due o tre pagine c’è una citazione o di Confucio o di Lao Tze o di poeti cinesi antichi. In queste citazioni quasi sempre c’è l’acqua come elemento fluido che rappresenta la vita, che rappresenta la varietà, che rappresenta anche il cielo, perché l’acqua specchia il cielo sia di giorno sia di notte, è l’elemento fluido che testimonia la costante metamorfosi della vita.
Di fronte a questa continua citazione dell’acqua, della fluidità, del cambiamento, anche del continuo cambiamento politico in Cina, dalle prime esperienze della rivoluzione culturale, fatta proprio per modificare una società che era bloccata, che non si riusciva a smuovere e che rendeva necessario una sorta di rieducazione, ecco perché diventa una rivoluzione culturale, che ha avuto delle esagerazioni spaventose, perché, quando si lasciano le riforme, le trasformazioni in mano agli apparati burocratici, questi si rafforzano sempre di più e stabiliscono dei sistemi di giudizio che sono auto difensivi, quindi tutto ciò che tende, in realtà, a cambiare, diventa nemico, anche le cose minime.
È la storia di questo personaggio, Yi Mong, che, per niente, fa prima tre anni di prigione, poi cinque anni di lavori forzati, in tutto quasi dieci anni di schiavizzazione, con il terrore, una forma di terrorismo culturale. Insegnava francese all’Università di Pechino, lì incontra Sabine, lei s’innamora di lui. È lui che resiste, proprio in maniera evidente, alle avances, alle proposte della ragazza, perché lui è radicato alla vecchia cultura cinese.
Ha paura. Il matrimonio tra un cinese e un’europea era vissuto come un tradimento culturale. E però, Sabine, che è innamorata, lo aspetta. Poi si ritrovano a Parigi, ristabiliscono un contatto che sembra felice, apparentemente, e poi sulle cose minime, a esempio il modo di sorbire una zuppa, si crea una dissociazione. La ragazza lo invita a stare attento a come mangia, ma lui mangiava come aveva sempre mangiato in vita sua, ma per la prima volta Sabine si accorge del suo modo rumoroso di mangiare e se ne vergogna. C’è una consapevolezza, da francese, diversa da quella che aveva prima, e da questo s’innesca il meccanismo dell’abbandono. Però non esiste abbandono: spariscono!
I due personaggi qualcuno dice di averli visti su una spiaggia, forse sono annegati insieme per amore, ma non si sa niente di quello che è accaduto, e la storia viene raccontata da altri. Così si chiude questo romanzo, sulle difficoltà enormi di rapporto tra un cinese e una francese.
Io ho molti amici cinesi che hanno sposato delle italiane, anche qui a Padova. C’è un bravissimo pittore cinese, un ritrattista notevole, che ha sposato un’italiana, un’insegnante d’inglese e non avevo mai avvertito problematiche così forti. Adesso, dopo avere letto questo libro, capisco tante cose anche del loro rapporto, anche se è un rapporto felice, straordinario. Altri, credo sia presente in sala, una signora cinese che ha sposato un italiano, sono contento che sia venuta perché è proprio un fatto di cultura e poi potrà dirci anche qualche cosa in questo senso.
Cosa dire ancora della scrittura di Shen Dali? Molto dipende anche dalle traduzioni. La traduzione mi sembra fatta bene, però un po’ troppo da traduttrice, pochi cedimenti al linguaggio letterario, al linguaggio duro, e si ha la sensazione proprio che la scrittura, e Shen Dali ce lo dirà, sia proprio fatta a ritmo battuto, senza cedere a sentimentalismi, a quelle che noi chiamiamo le ombre, le penombre dei sentimenti, alle pieghe. Qua è tutto sempre molto dichiarato, immediatamente dichiarato, come un linguaggio esplicito. Dove diventa misterioso, sempre, e è il bello, è nella citazione poetica.
Le citazioni sono veramente interessanti, sia la tipologia della citazione, ma soprattutto per la ricchezza dei significati che ha quella citazione, cioè non è mai una citazione univoca ma è sempre una citazione molto più che ambigua, ricca di risonanze, di riferimenti e soprattutto ricca di riferimento alla natura, cioè riporta l’uomo alla natura e in particolare all’acqua, al cielo, alla montagna, che sono gli elementi anche figurativi dell’arte cinese, in fondo.
L’arte tradizionale cinese ripete sempre le stesse cose in maniera sempre più perfetta. Come la calligrafia cinese scrive sempre le stesse cose ma in maniera sempre diversa, in maniera sempre più poetica. Andare in Cina vuol dire trovare i calligrafi per strada e la gente che si ferma, dieci, venti, trenta persone a vedere come scrivono certe cose, e scrivono sempre lo stesso verso, la stessa parola.
Mi pare che ci sia il più grande museo della scrittura in Cina, dove tutti i personaggi più importanti, Mao Zedong e altri, hanno scritto in maniera personale un verso, qualche cosa di originale. Questo perché la calligrafia è il segno, la scrittura è il segno della cultura, del percorso culturale della persona, è il segno del suo raffinamento.
Questo è il romanzo quindi, scritto in questa maniera e che si legge facilmente, ma che diventa interessantissimo, perché ci dà una spiegazione abbastanza obiettiva, basata sull’esperienza fisica della persona, della rivoluzione culturale, degli errori che sono stati fatti. Ormai si parla sempre male della rivoluzione culturale, purtroppo si parla male anche del sessantotto, che aveva certe affinità.
All’inizio, ma forse molto prima del sessantotto, Padova era una delle città che venivano chiamate le città filocinesi, dove circolavano migliaia di libretti rossi di Mao, i distintivi, tutte le pubblicazioni, la lettera dalla Cina. Erano i primi anni sessanta, ancora il sessantotto era lontano. E il sessantotto per noi ha un significato molto diverso, e non ha avuto quelle deprecabilissime deformazioni che ha avuto la rivoluzione culturale cinese, però bisogna sempre pensare che si tratta di una grande società, estremamente complessa, molto diversa da regione a regione, anche linguisticamente oltre che culturalmente. I problemi della Cina sono sempre stati molto grandi e molto diversi da quelli di Pechino, così come quelli di Pechino sono molto diversi da quelli di Shanghai.
L’altro aspetto è quest’idea di Spirali, molto importante secondo me dal punto di vista della critica d’arte e della letteratura sull’arte, questa lettura di autori diversi. Come il romanzo è una lettura di contrappunto dei contrasti tra culture, così anche questi libri, in questo caso l’ultimo pubblicato, che è Andrej Rublev e Ferdinando Ambrosino, presentano artisti completamente diversi: da una parte il più grande autore di icone nello stile russo bizantino, di cui è stata trovata l’altro giorno la tomba a Mosca, una cosa eccezionale, e da quest’altra un pittore completamente diverso che ha lo spirito dell’icona ma in modo molto moderno, contemporaneo, con soluzioni formali completamente differenti.
Come dicevo, anche l’icona si ripete sempre, l’importante dell’icona è ripetere sempre la stessa immagine, perché il significato non cambia. Quello che conta non è tanto la qualità o la tipologia dell’icona, ma la sua qualità rispetto al significato, quindi viene sempre più approfondita non tanto la diversità dell’icona e l’originalità dell’icona, quanto il significato profondo dell’icona stessa. Quindi, la ripetizione dell’immagine è fondamentale per tutta la cultura delle icone.
Poi, in un altro volume, Grigorij Zejtlin, sempre russo, con Pierre-Auguste Renoir, dove c’è un problema sulla luce-colore, problema questo che torna spesso nella letteratura di Shen Dali. Un terzo è Marc Chagall e Antonio Vangelli, altri due artisti completamente differenti, che vengono posti a confronto e visti, come si diceva prima, non tanto dal punto di vista della storia dell’arte, ma come storia dell’oggetto dell’opera d’arte.
Oramai si sta cambiando completamente in questi libri, e questa collana è una testimonianza importantissima. Non è importante culturalmente l’opera in sé, perché se l’opera in sé non mi dice niente, non vale niente, anche se dicono che vale milioni, miliardi, perché quello è il mercato. Quello che conta è lo sguardo con cui si guarda, è quello che c’è nel mio occhio, quello che il mio occhio vede nell’immagine e che diventa importante per l’immagine.
Il quadro diventa importante quanto più io vedo, e tanto più so dire di quello che vedo: se non so dire niente, vuol dire che non vedo niente. Quindi, diventa importantissima la parte concettuale: quest’opera mi dà questa informazione, vedo questo, ci ragiono sopra, ecc. Lo stesso con Henri Matisse, il problema del colore affrontato in maniera completamente diversa da Alfonso Frasnedi. Quindi, questo continuo contrappunto, fatto poi a due mani, a quattro mani, come si vuole, da Shen Dali e Dong Chun, che viene cucito continuamente. Ecco la cosa bella di cui si parlava con la poesia. La poesia, le poesie diventano il filo non conduttore, ma il filo che cuce, che in qualche modo fa sentire o, meglio, fa risuonare in modo particolare e interiore, emotivo, sentimentale, concettuale e mentale, quello che si vede.
Quindi è una lettura estremamente intelligente. Ecco mi viene da dire, che Spirali ha promosso e continua, arrivati al ventesimo numero, un modo altamente didattico, nel vero senso della parola, perché aiuta a capire, guardando. Cioè, guardando vuol dire vedendo; a volte si vede senza guardare, a volte si guarda senza vedere, l’importante è vedere, guardare e capire. Il momento importante è il senso che noi diamo al nostro sguardo. Questo è quello che credo che Shen Dali e Dong Chun abbiano capito e ripetono con grande capacità di lettura in questi quattro libri, che avevamo già presentato in altre occasioni, a Arte Fiera, qui, a Padova.
La cosa interessante è che c’è questo contrasto tra la cultura cinese e italiana. Come dicevo prima, un cinese resta cinese anche al di fuori della Cina e il problema del libro, che non risolve in nessun modo la situazione, è che, un cinese, fuori dalla Cina, resta soprattutto cinese. E questo lo abbiamo sperimentato un po’ tutti. In America i cinesi restano cinesi, è difficilissimo trovare un cinese che negli Stati Uniti si occupi di politica, eppure da quattro secoli vivono nelle più grandi città americane.
Nell’Italia stessa c’è poca volontà di partecipare. Già oltre dieci anni fa avevo tentato di fare la festa pubblica del capodanno cinese, perché ha dei significati molto interessanti, ma è stato difficilissimo, e soltanto due ristoranti hanno accettato di farlo. Adesso, cominciano altri, ma soprattutto a scopo pubblicitario, non per intervenire nella cultura della città e creare uno scambio.
È molto difficile. La natura cinese ha una sua arroganza, ha una sua presunzione che nasce dalla sua antichità, dalle sue radici, ci trattano come se fossimo dei bambini. Se vi ricordate, negli anni cinquanta, l’atteggiamento che avevamo noi nei confronti degli americani, è più o meno la stessa cosa, sia qua in Italia sia andando in Cina. Ci guardano e sorridono come se fossimo dei bambinoni ingenui, questo è un fatto, che i cinesi hanno una consapevolezza, una forza culturale straordinaria, molto profonda, stimolata dalla difficoltà della lingua, della scrittura, che stimola la percezione in un certo modo, la capacità di inserirsi senza integrarsi.
Ecco, una parola che veniva usata all’inizio, integrazione: non esiste! Vi assicuro che per la mia esperienza, l’integrazione dei cinesi in Francia, in America non esiste. Esiste la vita insieme ma non c’è la rinuncia alla propria identità, alla propria cultura. Grazie.
R. C. Ringrazio il professor Segato per la ricchezza del suo intervento, e colgo l’occasione per precisare altri due o tre elementi attorno a questa collana, che in effetti è unica nel panorama editoriale. È una collana che è in tre lingue, in italiano, francese e inglese, si presta quindi alla lettura di un pubblico internazionale, e rispetto all’entusiasmo con cui è stata accolta la proposta di collaborare da parte di Shen Dali e Dong Chun, questo afferma una volta di più qualcosa di cui spesso non ci rendiamo conto, e cioè, che nel pianeta, ma in Cina in modo particolare, c’è il mito dell’arte italiana, il mito del rinascimento, del rinascimento italiano, del rinascimento europeo, in particolare dell’arte italiana.
Da Marco Polo in poi, attraverso l’opera dei missionari, attraverso l’opera di alcuni scienziati e intellettuali italiani che si sono recati in Cina, si è affermata in Cina un’immagine dell’Italia come paese dell’arte, della scienza e della cultura. E allora è anche rispetto a questo che la casa editrice ha interpellato alcuni esponenti della cultura cinese, proprio per cogliere questa cosa che non è gridata, ma è una cosa che è assolutamente presente, è assolutamente qualcosa che percorre, anche poi le relazioni economiche e politiche.
G. S. C’è una ragione storica precisa e di filtro che ha fatto il realismo sociale sovietico, che ha imposto come mito il rinascimento. Nasce molto da quello, non è così lontano nel tempo. La cultura, la passione dei cinesi per il rinascimento nasce attraverso il realismo sovietico che ha inciso tantissimo e che ha imposto tutto un modo di vedere. La Cina ha guardato solo quello. Io vi faccio un esempio proprio con un artista cinese che vive attualmente a Roma, che ho portato per la prima volta a Venezia. Non era mai stato a Venezia e gli ho proposto di andare, ma: “Devi chiudere gli occhi e quando ti dico apri gli occhi, aprili, perché è uno spettacolo diverso dal solito”. E allora, arriviamo alla stazione, vicino al ponte, io lo accompagno, lui ha gli occhi chiusi, gli dico: “Adesso puoi aprire gli occhi”, lui vede il ponte, la stazione, due gondole, alcuni motoscafi, e fa una faccia stranissima di chi è rimasto deluso.
Gli chiedo: “Cosa c’è? Non ti piace?”.
“Mi aspettavo tutto diverso”.
“Come ti aspettavi tutto diverso se non hai mai visto Venezia!”.
“Sì – dice – però l’avevo vista al cinema”.
“E che cosa avevi visto al cinema?”.
“Il Fornaretto di Venezia”.
Un film degli anni trenta, fatto tutto con scenografie di cartone che rappresentava Venezia come città rinascimentale. Per lui era quello il riferimento, una città di cartone non una città vera; è rimasto male a vedere una città vera.
R. C. Quindi, già si aggiunge materia al dibattito, rispetto alla provenienza in Cina del rinascimento e dell’arte italiana. Io ritengo, avendo anche sentito il pensiero di Shen Dali e Dong Chun, abbia provenienze più antiche, proprio da Marco Polo, Matteo Ricci, Giuseppe Castiglione, tutta una serie di esponenti dell’arte, della cultura e della scienza italiana che sono passati per la Cina e che, con la loro testimonianza, hanno lasciato una traccia.
Non è a caso che, proprio in questi mesi, si inaugurerà in una città della Cina, una piazza dedicata a Matteo Ricci, proprio per la sua opera condotta lungo vent’anni trascorsi in Cina, per esempio. Ma questi sono elementi che si aggiungono, e prima di lasciare la parola ai nostri amici cinesi per la loro relazione e testimonianza, dato che abbiamo il piacere di avere qui con noi l’assessore alla cultura del Comune di Padova, dottoressa Monica Balbinot, le cedo un momento il microfono per un saluto.
Monica Balbinot Accetto volentieri l’opportunità che mi dà Ruggero Chinaglia di portarvi il saluto dell’amministrazione, ma in realtà sono venuta qua con lo stesso interesse che ha portato voi, per partecipare a questo incontro che ritengo un’opportunità importante, per cui sono a testimoniarvi la soddisfazione con cui l’amministrazione ha accolto questa proposta e ha messo a disposizione questa sala. E ho avuto l’opportunità, anche se sono arrivata con qualche minuto di ritardo, di ascoltare l’interessantissima relazione del professor Segato, che ringrazio come sempre, e non è mai abbastanza, per la disponibilità. Io mi fermo qui, lascio andare avanti il dibattito e chiudo con un ringraziamento a Ruggero Chinaglia, sia per la sua veste di instancabile promotore di incontri culturali sia per l’attività editoriale, che come ben è stato illustrato questa sera, produce volumi davvero di grande interesse, che mette a nostra disposizione opportunità di conoscenza importante. Grazie.
R. C. Allora ringrazio ancora l’assessore e proseguiamo, e passo senza indugi la parola a Shen Dali per il suo intervento.
Shen Dali Bene, parlo innanzitutto della mia opera Gli amanti del lago, che è una storia vera, un’esperienza che ho vissuto personalmente. Nel 1957 ero un giovane studente a Pechino, avevo un amico che era studente all’Università di Pechino, e che vive ancora in Cina, attualmente. Un giorno sono andato in canoa sul lago di Palepeté con lui e con la sua fidanzata, una persona molto bella e anche lui era un bel ragazzo. Venti anni dopo l’ho incontrato a Pechino senza la sua fidanzata, che aveva sposato un altro. Durante la rivoluzione culturale io stesso ero un contadino e, alla fine della rivoluzione culturale, sono andato a lavorare alla sede dell’Unesco, a Parigi.
Nel 1980 ho passato le mie vacanze a Pechino, in un condominio a 6 piani, e io ero al quinto piano. Una sera bussarono alla mia porta: vado a aprire e vedo un vecchio coi capelli bianchi. Non sono riuscito a riconoscere il mio amico, dopo vent’anni. Lui mi ha detto il suo nome ma c’era qualche differenza perché, vent’anni prima, era un ragazzo molto, molto bello, e ora, davanti a me, c’era un vegliardo dai capelli bianchi!
Aveva appena passato i quaranta, non era molto vecchio. L’ho fatto accomodare e lui mi disse: “Ora sono stato riabilitato dal partito”, cioè il partito al potere. Disse: “Io sono qui, ora, perché durante la rivoluzione culturale ero un intoccabile, ma tu sei venuto a trovarmi, tu mi hai incoraggiato a sopravvivere. Ora vengo qui per ringraziarti”. Gli ho chiesto: “Sei sposato?”, e lui mi ha detto: “Guardami, quale ragazza mi sposerebbe, ora?”.
Mao ha nascosto la sua giovinezza, la giovinezza di tutta una generazione. Nel 1957 era studente all’Università di Pechino e Mao ha lanciato una campagna contro i “destrorsi”, cioè gli studenti che avevano affisso dei manifesti per criticare la burocrazia. E abbiamo, in conclusione, avuto l’etichetta di “destrorso” che, in Cina, è il nemico del popolo, è il controrivoluzionario. Il mio amico non aveva affisso manifesti, non aveva fatto nulla. Un giorno, nella sua classe, leggeva un romanzo francese, perché leggeva in francese, e sono andati a chiedergli dei soldi per una colletta ma lui aveva solo un centesimo. Una sua pubblicazione era stata considerata controrivoluzionaria, e proprio per questo gli avevano attaccato l’etichetta di destrorso.
Ci sono stati venti milioni di morti durante la grande fame, e lui fu mandato ai lavori forzati, lavorava come allevatore di maiali. E, un giorno, una bambina, figlia di contadini, affamata, venne a chiedergli il pastone per i maiali, il mais. La bambina aveva preso l’abitudine di andargli a domandare il pastone per i maiali. Questa cosa è stata scoperta dalla direzione della comunità popolare e lui è stato accusato di abuso del bene pubblico ed è stato condannato a 5 anni di prigione.
Quando è stato etichettato come destrorso ho rivisto la sua fidanzata e lei voleva aspettarlo. Dopo che era stato condannato, per ragioni economiche, a cinque anni di prigione, la sua fidanzata non voleva più aspettarlo: un nemico del popolo con un abuso di bene pubblico, quale sarebbe stato l’avvenire dell’amata? Lei è stata obbligata a sposare un ragazzo che le faceva la corte, un uomo che lei non amava. Nel corso della rivoluzione culturale era in prigione fra i cattivi, perché disse che un giorno aveva visto una macchia nera nel sole. Voi sapete che è un dato scientifico, naturale, ma in Cina il sole è Mao, allora era in prigione fra i cattivi.
Alla fine della rivoluzione culturale è stato riabilitato, è venuto a trovarmi e era già divenuto un vecchio, prematuramente vecchio. All’epoca, all’università di lingue straniere di Pechino, c’era un gruppo di giovani insegnanti di francese, tra cui una francese. La francese era la sua innamorata. Poi, quando la Cina è stata aperta all’occidente, il ragazzo è andato a Parigi per raggiungere la ragazza francese, e sono andati in canoa sul lago di Purgerot, in Francia. Era innamorato del lago perché c’erano due laghi: il lago di Palepeté in Cina, e il lago di Purgerot in Francia.
Si pensava che ci sarebbe stato un matrimonio tra i due innamorati, non fu così, perché ho detto che lui è un pesce d’acqua dolce in acqua di mare, quindi quando torna libero in Occidente, in Europa, in Francia, è un ragazzo che è stato condizionato. Non può perché è un pesce d’acqua dolce, ma è nel mare, quindi l’acqua è salata. Questo può forse aiutarvi a comprendere i cinesi e la Cina.
In Cina lo stato del mio amico è tipico: è una generazione che sta sparendo, la mia generazione sta sparendo. In vent’anni questa generazione sparirà. Ora si pensa alla Cina, nei paesi europei, per mandare molto denaro per salvare delle specie animali, i panda, i coccodrilli, le tigri… Ma in Cina è chi pensa a cambiare le cose a essere minacciato di sparizione.
Parliamo ora del lavoro che ho fatto con mia moglie Dong Chun: perché abbiamo fatto questo lavoro? Per il dramma che è al centro del mio romanzo: nonostante lui fosse perseguitato, non poteva vivere in un altro mondo, perché è stato condizionato. Il suo dramma è che gli è difficile comprendere l’Altro, comprendere l’altro mondo. E il lavoro che io e mia moglie facciamo è proprio per questo, per vivere in un altro mondo. Ora, lascio la parola a mia moglie che vi spiegherà perché noi abbiamo fatto questo lavoro.
Dong Chun Mio marito vi ha appena raccontato la storia del romanzo. La storia di questa coppia non è un’eccezione, molti cinesi hanno vissuto questo genere di dramma ma c’è, in questa storia d’amore, un altro dramma, cioè l’incontro non ha avuto luogo. Noi pensiamo che il nostro tempo sia il tempo dell’incontro, noi abbiamo bisogno di incontrarci. La gente, i cinesi soprattutto, sono rimasti chiusi per troppo tempo.
Il personaggio principale del romanzo, Yi Mong, alla fine della rivoluzione culturale è potuto uscire dal paese, è potuto venire in Francia, ma non ha potuto vivere normalmente in Occidente. Come noi diciamo, “ha ottenuto il cielo”, è potuto venire all’estero, ha ottenuto, infatti, la libertà di volare come un uccello, ma ha perduto la terra in cui è cresciuto, e ha perduto i suoi valori. Lui è cresciuto in terra cinese, ha tutte le sue abitudini, ha i suoi modi di pensare, tutti i valori fondamentali. Nel confronto con l’Europa, con l’altro mondo, si sente perduto. Non sa più come vivere.
Molto spesso, nei paesi occidentali si rimprovera ai cinesi di vivere in comunità chiuse: “Perché non venite a vivere con noi, come noi?”, ma per molta gente è molto difficile uscire da questo guscio, talmente è forte la forza dell’abitudine, la forza dei valori fondamentali.
Per i giovani, per la gioventù questo sembra naturale, ma quei giovani non sono più dei cinesi nel vero senso della parola, hanno accettato dei valori occidentali. Da qui il confronto nella famiglia, tra le generazioni. Credo che noi abbiamo la chance, la fortuna di vivere un altro tempo, un tempo nuovo per noi cinesi, perché abbiamo, ora, sempre più possibilità, libertà di conoscere l’altro mondo.
Non abbiamo tutto, abbiamo ancora molte cose da fare, ma si comincia già. E per l’Occidente, io credo, è la seconda scoperta della Cina. Perché parlo di seconda scoperta? Suppongo che molti fra voi conoscano il lavoro che hanno fatto molti missionari europei.
Già nel quattordicesimo secolo, poi nel sedicesimo, diciassettesimo, diciannovesimo fino al ventesimo secolo i missionari spagnoli, portoghesi poi rimpiazzati da missionari francesi, italiani sono venuti in Cina e gli italiani erano numerosi. Molti, molti italiani sono venuti in Cina e, grazie al loro lavoro riuscito, l’Occidente ha scoperto la Cina.
Il nostro amico Ruggero Chinaglia ha parlato di Matteo Ricci, che tutti conoscono e che tutti i cinesi conoscono con il suo nome cinese, perché Matteo Ricci si chiama Li Ma To.
Poi, c’è un altro missionario italiano molto grande, che era diventato il pittore della corte imperiale cinese, che si chiama, qui da voi, Giuseppe Castiglione, ma in Cina si chiama Lang Shìning. I nomi di Lang Shìning e Li Ma To sono conosciuti da tutti i cinesi. Quest’anno è l’anno dell’Italia, in Cina, si fanno molte manifestazioni per ringraziarli. Matteo Ricci ci ha vissuto all’incirca 50 anni e ha consacrato la sua esistenza agli scambi tra i due popoli. Lui era un religioso, lavorava per Dio, ma per il suo lavoro e per il suo spirito di tolleranza, è riuscito a unire i due popoli, a far passare le scienze occidentali in Cina e a fare conoscere la Cina antica che viveva nella grazia, quindi, fu la prima scoperta.
Anche Voltaire, in Francia, ha parlato della Cina, ha ripreso un libro conosciuto in Cina, L’orfano della famiglia Zhao. In effetti la storia esiste in Cina e lui ne ha fatto l’adattamento con la sua versione. È così che si è scoperto, in Occidente, che la Cina non era un paese di barbari, ma era un paese molto raffinato, aveva la porcellana, aveva la seta e si è cominciato a avere il desiderio di andare a vederlo. Io credo, dunque, che oggi viviamo nuovamente questa epoca. Con lo sviluppo economico della Cina il mondo la riscopre, ma non bisogna limitarsi a questo lato economico.
Allora, io dico che se l’incontro fra la Cina e l’Europa è riuscito durante un certo periodo storico, grazie a questi missionari, è perché questi missionari hanno compreso chiaramente. Matteo Ricci e Giuseppe Castiglione hanno vissuto a tutti gli effetti come dei cinesi, vestivano come dei cinesi, hanno imparato il cinese e, cosa veramente molto importante, hanno compreso che, per far passare la teoria di Dio, bisogna prima di tutto rispettare l’altro. Loro non hanno detto: “Il nostro dio è migliore”, perché i cinesi hanno il loro dio, che è il cielo, per noi è il cielo. Allora, loro, hanno scelto d’andare molto dolcemente, in una maniera molto intelligente, imparando il cinese, imparando a comprendere i cinesi, prima di cominciare il loro lavoro. È così che Matteo Ricci, per esempio, ha vissuto 20 anni in una città nel sud della Cina. Questa città ha deciso di consacrargli una piazza proprio quest’anno, la piazza Matteo Ricci, per ringraziarlo.
Dicevo che il nostro tempo è il tempo degli incontri. In passato, in questa storia, certi missionari sono riusciti a comprendere la Cina, a fare comprendere la Cina e la Cina ha compreso l’Europa. La Cina ha avuto molto rispetto, sin dall’inizio, perché, durante il loro lavoro, questi missionari sono diventati mandarini cinesi. L’imperatore li ha fatti venire a corte, a Pechino, ha donato loro della terra per costruire delle chiese, delle chiese europee. È cosi che oggi, a Pechino, a Shanghai, a Canton, in molte grandi città e anche nella campagna, ci sono delle chiese europee, grazie a quei missionari. È nel loro rispetto e nello spirito di tolleranza che si è riusciti a comprendersi, a rispettarsi, a arricchire, ciascuno dalla propria parte, il proprio patrimonio, la propria civilizzazione. Sfortunatamente, verso la fine di questo felice incontro, che per un certo periodo è riuscito, è successo che in Europa, in Francia per la precisione, a causa di lotte interne fra i gesuiti e i missionari, c’è stato “il processo dei riti”.
La gente diceva alla chiesa cattolica che i cinesi non veneravano dio nella stessa maniera dei francesi, degli italiani: “È un tradimento: non va bene che i cinesi venerino il cielo invece di venerare dio all’occidentale”. È così che questi missionari sono stati richiamati in Europa, e è stata la fine. Quelli che rimasero in Cina hanno detto all’imperatore cinese: “Il vostro dio non va bene, bisogna accettare il nostro. I vostri valori sono falsi, bisogna accettare i valori cattolici”. L’imperatore cinese si è, ovviamente, risentito e ha detto: “Dato che non apprezzate la nostra nazione, poiché volete mobilitare il mio popolo contro di me, allora, tornate a casa vostra”. È stata una modalità molto pacifica, ma in certi luoghi ci sono state lotte e dei missionari sono stati uccisi. C’è stata, successivamente, un’infelice rottura. È il famoso “processo dei riti”. Nella storia tra l’Europa e la Cina c’è stato questo processo che si chiama “processo dei riti”, che in Francia è stato particolarmente violento.
Oggi è la seconda scoperta della Cina per l’Occidente. Alcuni credono che il “pericolo giallo” ritorni, perché la Cina è divenuta più potente sul piano economico. “La Cina ci mangerà?”. Ci sono molte cose all’avvio. Ci sono altri che dicono che in Cina ci sono, dappertutto, problemi per i diritti dell’uomo, problemi della democrazia, non si rispetta questo, non si rispetta quello. Io non sono una politica, io sono cinese, io vivo in Europa. Vi posso dare una risposta? Non credo. Sono questioni personali, ma credo che l’Occidente non deve avere paura della Cina, la Cina è per forza confuciana, cioè come dice il nostro grande saggio Confucio, il più grande saggio, il nostro profeta, lui dice che è per la “grande comunità”.
In questa grande comunità, in questa casa dell’umanità, in quest’arca di Noè tutti si considerano come fratelli. Credo che il nostro dovere sia di comprendere una cosa: la Cina è un altro mondo, la Cina non appartiene al mondo occidentale, è certo: sono due mondi e rimangono differenti. La Cina è la Cina e l’Europa è l’Europa. Dov’è l’uscita, dov’è la soluzione?
Bisogna pensare al passato, bisogna pensare alla lezione dei missionari. Come fare? La sola soluzione è incontrarsi, guardarsi, parlare, discutere, cercare di comprendere l’altro. È la ragione per cui mio marito e io abbiamo accettato di lavorare con il signor Verdiglione, per la Fondazione, di fare questi album che parlano dei pittori, certo, ma commentando, studiando, spiegando con il nostro sguardo, coi nostri occhi di orientali, vi diciamo che per noi, è così. Voi siete d’accordo? “No, non siamo d’accordo”. Voi siete d’accordo? “Sì, siamo d’accordo”. Si può sempre parlare, si può sempre discutere. È un modo per incontrarsi. A mio avviso, l’uscita si trova nell’incontro.
Vi posso portare un solo esempio. Quando parliamo della pittura, noi abbiamo la pittura tradizionale cinese, voi avete i quadri, i quadri a olio. Voi dipingete con gli olii, noi dipingiamo con l’acqua, i colori. C’è una grande differenza: i cinesi sono abituati a guardare un bel quadro tradizionale con molto vuoto. In un quadro, potete vedere un paesaggio, un personaggio, tutto piccolo, perché l’uomo è piccolo davanti il cielo e nella natura. A fianco avete molto bianco, nient’altro che bianco. Da voi, invece, guardate i vostri quadri, tutto è pieno: voi mettete del colore dappertutto, dappertutto, bisogna che sia pieno. Questa è una grande differenza per ammirare un quadro. Per noi è tutto pieno, ma perché? Non ci lascia respirare. E per voi, voi dite che è della carta bianca, ma perché? Ma, molto semplicemente, è perché noi cinesi siamo per forza influenzati dal taoismo. Nel taoismo si dà un posto molto importante al vuoto. Quello che è vuoto, per noi non è vuoto. Quello che è vuoto è il contrario del vuoto, cioè il vuoto riempie.
Questo può apparire un po’ paradossale, ma è questo vuoto che dà l’occasione, la possibilità di meditare. Voi riflettete, voi meditate e ci si sente grandi, ci si sente in relazione con il cielo, con la natura. Il grande scultore francese Maillol, il cui museo si trova a Pechino, il Museo Maillol, fece dei vasi, cercò per molto tempo e disse: “Ho cercato per lungo tempo di dare uno spirito, di dare un’anima alla mia opera”. Un giorno ha detto: “Che meraviglia il taoismo”, perché nel libro del taoismo, Lao Tze, che è il fondatore del taoismo, dice che il vuoto del vaso è il centro dell’opera, è il vuoto che dona una vita a quell’opera. Maillol ha scoperto questo e ha detto: “Ho capito”. Questo non è che un esempio, questo per dirvi che questo incontro tra Oriente e Occidente non è facile, non è per nulla facile e, facendo questo lavoro, noi abbiamo fatto quattro volumi, la mia difficoltà è stato il confronto.
Molte difficoltà a confrontare, all’inizio, perché? Per esempio, nella raccolta che abbiamo ora terminato e che riguarda l’opera di Ambrosino, questo quadro si chiama Alba a Cuma. Cuma è il nome del suo paese natale. Per lui questa è l’alba, è l’aurora, il levarsi del sole. Per un asiatico questo non viene inteso così. Per noi, l’alba è, che cosa?
Il grande poeta Li Po, parlando del levarsi del sole, ha detto: Ho passato la notte nel tempio della cima – la cima di una delle grandi montagne in Cina – ho alzato la mano per accarezzare le stelle e in silenzio ascolto il dialogo degli abitanti del cielo per non disturbarli. Allora è questo, perché i cinesi amano salire sulla montagna e assistere al levarsi del sole. Così, in questo modo, tutto è calmo, non c’è nulla, mentre dall’altra parte è tutto pieno, c’è molto colore.
Posso dire che questo non è un bel quadro? No, io cerco di comprendere perché Ambrosino con molto, molto colore messo insieme ha creato un’emozione. Quella emozione l’ha espressa nel suo quadro. Allora, questo è il suo modo di vedere le cose mentre il mio modo di vedere le cose è un altro. Credo che sia molto arricchente per le persone di due civiltà incontrarsi.
R. C. Già da questi interventi di Shen Dali e Dong Chun, siamo in grado di capire qualcosa della complessità di questo tentativo di leggere l’arte, la cultura occidentale senza contrapporla a quella orientale, anche senza assimilarla, quindi senza dovere decidere quale stia sopra e quale stia sotto, senza doverne fare una graduatoria, senza doverne fare, quindi, una sorta di classifica per decidere quale sia la migliore.
Ora, è in questo senso, che prima dicevo, si tratta di un tentativo d’integrazione, non già per rendere omogenee le due culture o le varie sfumature, le molteplicità e le differenze dell’arte e della cultura cinese, orientale con quella europea ma, integrazione, cioè lasciando e cogliendo le caratteristiche, le particolarità, le specificità di ciascuna, cercando proprio di capire, d’intendere queste differenze, queste complessità, che è proprio il modo con cui possono venire apprezzate.
E la lettura di questi libri è un capitale prezioso proprio in questa direzione perché, attraverso il loro sforzo di lettura, Dong Chun e Shen Dali ci restituiscono sia le opere che vengono presentate ma anche il modo, i termini della cultura da cui questa lettura proviene, e ci danno moltissimi elementi della poesia, della letteratura, dell’arte cinese, insieme a elementi dell’arte, della letteratura, della scrittura dell’Europa.
Questo è un esempio molto interessante d’integrazione, dove, cioè, non c’è alternativa fra una cosa e l’altra, ma le varie cose si combinano senza escludere nulla, cioè un’integrazione che non abolisce il contrasto né abolisce la differenza.
Se voi riflettete anche su questa esigenza del vuoto, del vuoto che è ciò da cui procede il respiro, ebbene, la questione della parola originaria, contrariamente a quella del discorso, è proprio che esiste un punto vuoto, una funzione vuota che nulla è in grado di riempire, e che è proprio da questo che procede l’effetto di verità, parlando.
Questo ci dicono a loro modo anche questi amici cinesi, di questa esigenza dell’Altro, dell’altro modo, della differenza assoluta, perché è solo con questo Altro che noi giungiamo a cogliere qualcosa di nuovo, qualcosa che ci dà la caratteristica di quello che abbiamo davanti e che rende impossibile assimilare una cosa a un’altra.
Questo è un contributo importantissimo, che invita alla lettura di questi volumi. Ma, giusto per concludere, io chiederei a Shen Dali di darci una cifra, una sua conclusione di questo incontro, dicendoci quale è stata per lui, abbiamo sentito prima Dong Chun, ma sarebbe interessante sentire anche da parte sua, per un verso la difficoltà di questo lavoro di lettura e di integrazione e, per un altro verso, il bello. Quale è stata la difficoltà, per un aspetto, e per un altro aspetto il bello di questo suo lavoro di lettura dell’arte, delle opere di artisti europei.
S. D. Questo incontro è molto interessante perché l’Europa per un cinese è l’esotismo, è un sogno. È l’estetica del diverso, perché il diverso fa la ricchezza del mondo, il diverso ci permette di comprendere l’altro e di comprendere noi stessi. Ora, con la globalizzazione, con questa apparizione del villaggio planetario, il diverso sta sparendo e, quando non c’è più il diverso, non c’è più bellezza.
Studiando i quadri di alcuni pittori, da Matisse a Ambrosino, abbiamo capito meglio l’oracolo di I Ching che è un classico del taoismo cinese, che dice La superficie del lago è tranquilla, ma la sua profondità è piena di vita. Attorno al lago, gli amici si siedono e discutono e le loro conversazioni sembrano superficiali, ma la comunicazione è, in realtà, profonda. Grazie.
R. C. Ringrazio Giorgio Segato per il suo contributo a questo nostro incontro, ringrazio Shen Dali e Dong Chun che, veramente, ci hanno offerto questa sera una testimonianza di grande interesse che ritengo costituisca un invito a proseguire la lettura, l’esplorazione di questo loro lavoro, un lavoro che contrasta in qualche modo con quella omogeneizzazione che, dice Shen Dali, viene dalla globalizzazione.
Allora noi diciamo che c’è un’altra globalizzazione che percorre il pianeta e che investe l’arte, la cultura e la scienza e si chiama Secondo rinascimento. Una globalizzazione che invita, dunque, all’esplorazione della differenza assoluta che c’è nelle esperienze di ciascuno, da dove provenga, nel testo che ciascun autore si trova a scrivere e a proporre.
All’insegna dunque di questo secondo rinascimento, invito ciascuno all’acquisto di questi libri che Shen Dali e Dong Chun saranno lieti di firmare, dedicandoli a ciascuno di voi.
G. S. Posso aggiungere una cosa? Mi piace molto di più questa conclusione del secondo rinascimento perché il rinascimento è l’esaltazione dell’individuo e della diversità. Secondo rinascimento, legandolo anche a quanto dice Confucio, è sì l’incontro, ma l’incontro del diverso, l’incontro e il rispetto del diverso, e quanto maggiore è la quantità di diversità e tanto maggiore è la possibilità di armonia. L’obiettivo, orientale e anche occidentale, è l’armonia della vita.
R. C. Molto bene, allora il dibattito prosegue, leggendo questi libri nelle vostre case, e ci diamo appuntamento alla prossima occasione non dimenticando di ringraziare anche Alessandra Mattei Gentili che è stata con noi questa sera e ci ha aiutati nella traduzione. Grazie e arrivederci.