La mentalità comunista
- Arslan Antonia, Bukovskij Vladimir, Chinaglia Ruggero, Corti Elena, Favaro Adriano, Kalpakcian Vardui, Pisani Giuliano, Suvorov Viktor
14 novembre 2000 Conferenza con dibattito dal titolo La mentalità comunista, con la partecipazione di Viktor Suvorov, dissidente, storico russo, scrittore, autore del libro Stalin, Hitler. La rivoluzione bolscevica mondiale (Spirali), e interventi di Antonia Arslan, scrittrice, Vladimir Bukovskij, dissidente russo, Ruggero Chinaglia, editore, Elena Corti, traduttrice e Adriano Favaro, giornalista de “Il Gazzettino”, a Padova nella Sala dei Giganti del Liviano, con il patrocinio della Regione del Veneto e del Comune di Padova
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VIKTOR SUVOROV
La mentalità comunista
intervengono
- Antonia Arslan, scrittrice
- Vladimir Bukovskij, dissidente russo
- Ruggero Chinaglia, editore
- Elena Corti, traduttrice
- Adriano Favaro, giornalista de “Il Gazzettino”
Ruggero Chinaglia Ci troviamo questa sera in questa bellissima sala per festeggiare l’uscita di un nuovo libro, un libro di Viktor Suvorov, Stalin, Hitler. La rivoluzione bolscevica mondiale, con un dibattito che ha per titolo La mentalità comunista. Insieme a Suvorov, abbiamo ospite anche Vladimir Bukovskij che la città di Padova ha avuto modo di incontrare l’anno scorso in occasione del dibattito attorno al suo ultimo libro Gli archivi segreti di Mosca. Si tratta di due testimoni effettivi della lotta per la libertà e della ricerca incessante che questa lotta esige; è una lotta che non si esaurisce una volta per tutte, è una lotta che richiede giorno per giorno la costanza e l’audacia di proseguire, e quindi è un esempio, oltre che un messaggio, che ci perviene oggi sia con il loro intervento sia con questo libro.
È un libro che ha incontrato molte difficoltà per uscire in Italia. I grandi editori avevano posto un veto alla sua pubblicazione, perché è un libro che contrasta con le tesi più accreditate degli storici attorno all’andamento e alle cause che hanno determinato la seconda guerra mondiale. È chiaro che non è a caso che questo sia avvenuto, perché ciò che è seguito alla seconda guerra mondiale, l’impostazione, le mitologie, i pregiudizi, le ideologie che si sono sostenute e affermate dopo il conflitto mondiale, ancora ha un’incidenza sulla scena politica civile internazionale, e quindi è un libro che era indispensabile pubblicare e occorre dare atto a Spirali di avere avuto l’audacia di farlo. Quindi ringraziamo anche la casa editrice per questo ulteriore gesto di libertà intellettuale.
Giuliano Pisani Devo dire che, come assessore alla cultura, sono stato particolarmente lieto di poter dare il patrocinio del comune e dell’assessorato a un’iniziativa come questa, iniziativa molto importante dal punto di vista della stimolazione a una riflessione sulla storia del nostro secolo, che è assolutamente indispensabile. Noi sappiamo bene che la storia si deve valutare, si può valutare o, se vogliamo, si può fare storia solo quando sono trascorsi anni congrui rispetto agli eventi di cui ci si occupa. Sappiamo, per esempio, che gli archivi non si aprono, e poi non tutti si aprono, se non dopo cinquant’anni dal trascorrere degli eventi a cui ci si può riferire.
Ma perché questa iniziativa è particolarmente stimolante e interessante? Perché questo secolo, che è stato un secolo tragico, tragico di orrori, tragico non solo per le guerre, tragico per i genocidi che sono stati perpetrati, tragico per la pianificazione scientifica, sistematica con cui sono stati compiuti questi orrori, questo secolo deve essere attentamente conosciuto, specialmente dai giovani, per evitare di ricadere, in quegli errori drammatici. Si sono scontrati fondamentalmente, ma non esclusivamente, due grandi sistemi, entrambi totalitari, che giacciono entrambi sotto la condanna di tutte le persone che hanno buon senso.
Quindi, evitare di ripetere quegli errori vuol dire innanzitutto conoscerli bene nelle loro cause, nelle loro motivazioni, anche lontane, perché sono regimi che sono nati non in modo estemporaneo, ma sono nati da lontano. Come assessorato alla cultura abbiamo avuto veramente la soddisfazione immediata di dare il nostro patrocinio perché ci stiamo anche noi muovendo per portare all’attenzione di tutti, ma in particolare delle generazioni più giovani, temi come questi. In questa sala si aprirà il convegno su I giusti del ventesimo secolo, dedicato quest’anno a due genocidi: il genocidio degli armeni del 1915 e il genocidio degli ebrei, la drammatica, tragica shoa compiutasi negli anni che ben conoscete.
L’intento è quello di porre all’attenzione delle giovani generazioni le figure dei giusti, cioè di coloro che hanno saputo fare una scelta e dire di no, pur trovandosi dalla parte degli oppressori per appartenenza, dire di no al male. In questo senso anche la presentazione di questo libro e gli autorevoli personaggi che sono qui con noi questa sera, ci possono offrire un ulteriore spunto di riflessione storica, dal punto di vista di un taglio che si identifica in particolare sulla presenza sulla scena mondiale di un dittatore come Stalin, e quindi una riflessione sul tema della mentalità comunista quale si è storicamente prodotta.
Vardui Kalpakcian Chi come me è cresciuto in Unione Sovietica, ricorda bene che una volta, alla domanda rivoltaci magari da uno straniero: “Avete idea di come sarà fra qualche tempo il vostro futuro?”, la risposta più ovvia era: “Non abbiamo idea di come sarà fra qualche tempo il nostro passato”. La nostra storia è stata come tutto quanto il resto, proprietà dello stato, ed i requisiti storici come le date, i nomi e i fatti cambiavano spesso collocazione, significato e valore. Ma nella storia dell’URSS c’era da sempre un capitolo particolare, quello del 1941-45. La sconfitta del nazismo era un fatto fermo. L’impresa eroica del nostro popolo a beneficio dell’umanità, dell’umanità intera, pagata a così caro prezzo, non permise che in URSS sparisse dal linguaggio comune il termine “patria”.
Il fatto che il mondo oggi non è più così nettamente diviso in due, obbliga a scrivere finalmente la vera storia del passato che ci riguarda direttamente: è la nostra chance di orientarci nel futuro, poiché la storia è opera soprattutto dell’uomo. Si sa che la scienza storica non tollera il tempo condizionale, come è anche evidente che nel passato non si può cambiare niente. Resterà per sempre che Hitler ha invaso l’URSS e Stalin è entrato a Berlino da vincitore. È possibile però analizzare i fatti spogliandoli dell’abituale confezione ideologica. Per farlo, essendo sovietici come Viktor Suvorov, essendo militari di carriera e figli di un eroe di quella guerra, soltanto il coraggio forse non sarebbe bastato: ci voleva la ferma convinzione d’essere scelti dal destino.
Cito: “Perdonatemi, io ho osato su quanto di più sacro avesse il nostro popolo. L’unica cosa sacra che ha il popolo è rimasta. Perdonatemi. Portare dentro di me questo libro era al di sopra della mia sopportazione”. Esso doveva essere scritto in lingua russa. Le conseguenze della seconda guerra mondiale hanno determinato, in maggiore o minore misura, la storia personale di tutti noi qui presenti. Viktor Suvorov è l’uomo dal destino particolare: la sua missione gli è venuta incontro. Ha captato il marciume come l’Amleto nel regno della Danimarca. Ha scoperto non solo scheletri, ma anche cadaveri nell’armadio.
Le prime domande, nate all’epoca della scuola militare, hanno determinato poi la fuga del brillante ufficiale dei servizi segreti sovietici nel 1978. Nel 1985 vede la luce il suo primo articolo ed oggi, a distanza di 15 anni, i 5 saggi fondamentali di Suvorov sono tradotti in 20 lingue ed hanno superato le decine di edizioni. Leggerli è estremamente interessante. Militare di professione, l’autore carica il testo di fatti come caricherebbe una mitragliatrice di proiettili, di cui non c’è uno a salve e tutti quanti c’entrano l’obiettivo. L’analista dei servizi segreti. L’autore prende i fatti da sempre conosciuti, pubblicati sotto l’occhio vigile della censura sovietica, e li colloca in cronologie stereometriche, a scacchiera. E finalmente giunge, a più di 50 anni di distanza, alla spiegazione logica delle catastrofiche sconfitte dell’Armata Rossa nel ’41; di quell’armata per costruire la quale il popolo del paese più vasto del mondo e ricchissimo, in soli 20 anni è stato ridotto al cannibalismo.
Uno storico americano, parlando di Suvorov, ha detto: “La storia è una scienza straordinariamente semplice come le parole crociate, in essa tutto coincide”. E quando tutto comincia a coincidere, aggiungiamo noi, la storia diventa una scienza straordinariamente interessante. Il libro di Suvorov è un libro aperto in tutti i sensi, perché tutto il materiale con cui opera l’autore è sugli scaffali, è accessibile e verificabile. L’epigrafe al metodo con cui opera Suvorov potrebbe essere “elementare, Watson”. È una lettura coinvolgente, anche solo con questo materiale, perché per Suvorov tuttora rimane chiuso l’intero l’archivio della Wehrmacht, che era trofeo di guerra ed è tuttora custodito gelosamente dalle autorità russe nel deposito di Badolsk. Qualcuno, per vari motivi, prima di tutto per capovolgere le teorie di Suvorov, ne ha avuto l’accesso, ma finora non si è realizzato nemmeno un tentativo di dare un quadro storico diverso da quello costruito da Suvorov.
Egli lascia il proprio intuito in piena libertà nella serie dei romanzi di fiction vera e propria, ambientati nella Russia degli anni ’30. I particolari della vita quotidiana calcolati da lui come analista non sono ovviamente i fatti storici, ma possono suggerire molte cose su quell’epoca. Prima ancora, Suvorov ha descritto in due libri la propria esperienza sia da militare, nel libro Il liberatore, sia la sua esperienza da agente di servizi segreti sovietici, nel libro L’acquario. Chi legge in qualsiasi lingua che non sia italiana, anche in coreano o norvegese, li può leggere perché sono tradotti in tutte le lingue. Le pubblicazioni di Suvorov hanno dato vita ad un fenomeno straordinario: da decenni lui riceve un numero astronomico di lettere da tutto il mondo, scritte dai partecipanti alla seconda guerra mondiale, nonché dai loro figli e nipoti, le lettere che aggiungono dettagli e particolari alla scacchiera storica ricostruita da Suvorov. È un’enciclopedia, un contributo enorme e prezioso alla storia del nostro secolo, e speriamo che la ferma volontà per Suvorov di pubblicare queste lettere possa trovare una degna realizzazione.
In Russia dicono che, quando accade finalmente qualcosa che si aspetta ed urge da tempo, da qualche parte nel bosco muore un orso. Se fosse vero, con questa uscita del primo libro di Suvorov in italiano, se ne sarà andato un esemplare grosso e feroce. Suppongo che al prossimo toccherà quando in Russia sarà finalmente trasmesso in TV il documentario in 18 puntate basato sui libri di Suvorov dal titolo L’ultimo mito. C’è un proverbio russo: “Un soldato non fa l’esercito”. Vladimir Bukovskij, nella sua prefazione alla prima edizione russa del Rompighiaccio di Suvorov, chiama questo libro “il monumento alla cecità umana”. Tutti noi conoscevamo quei fatti, li avevamo studiati a scuola, avevamo operato con essi e nessuno ha tentato di dare ascolto ai propri dubbi a riguardo, tranne uno: anche da solo, il primo soldato che scende in campo vale sì un esercito intero.
Vladimir Bukovskij Essendo una persona che ha scritto ben sette libri, mi rendo conto che il destino dei libri rappresenta in qualche modo il proseguimento di essi stessi, e forse, sulle circostanze che hanno suggerito il libro e sulle sue conseguenze sarebbe possibile scrivere un altro libro ancora. Il libro di cui parliamo questa sera, il libro di Suvorov sulla seconda guerra mondiale, ha attualmente una straordinaria diffusione, estremamente popolare in Russia. Il libro è uscito per la prima volta nel 1992 e ha avuto immediatamente tirature di svariati milioni di copie una prima volta e anche dopo. Il paese in pratica si è diviso, si è spaccato discutendo su questo libro. Le discussioni sono talmente feroci che non si è ancora arrivati ad uccidere, però sicuramente alle mani sì.
Recentemente è stato girato un documentario, basato su questo libro, in 18 episodi. Addirittura, in alcuni istituti scolastici, i bambini e gli stessi ragazzi hanno chiesto di studiare la storia sulla base del libro di Suvorov. Un successo relativamente notevole è ottenuto dal libro anche in Polonia, dove la tiratura raggiunge i due milioni di esemplari. Il libro è uscito in due edizioni anche in Germania, tuttavia in Germania e anche in Francia, dove il libro è altresì uscito, la reazione da parte della stampa è stata molto relativa, e per esempio il libro non è mai uscito negli Stati Uniti. Esaminando semplicemente dal punto di vista geografico lo schema e la progressione del successo di questo libro, già sulla base di questo si possono trarre interessanti deduzioni. Le cose si son messe in modo tale che io, volente o nolente, son diventato la prima vittima di questo libro.
La conoscenza fra me e Viktor risale a oltre vent’anni fa, in occasione dell’uscita del suo libro di racconti sulla sua esperienza di soldato a Praga, dal titolo Il liberatore. Risultò che io, in pratica, fui l’unico a scrivere sul Times una recensione positiva su questo libro. Siccome io sono risultato quasi l’unico che di questo libro si è accorto e che ne ha scritto una buona recensione, è successo che Viktor ha manifestato il desiderio di conoscermi. A Viktor ci sono voluti alcuni mesi per riuscire a realizzare questo suo desiderio, perché a quel tempo lui si trovava sotto lo stretto controllo dei servizi segreti britannici per questioni di sicurezza, e quindi ci ha messo alcuni mesi per riuscire a superare tutti i vari ostacoli burocratici.
All’inizio si trovava in un tale regime di segretezza che gli era impedito addirittura di nominare e di dire il suo stesso nome. E quando finalmente questo incontro è riuscito a realizzarsi, in una specie di lugubre ufficio mezzo vuoto e circondato comunque da tipi sospetti in borghese, la prima cosa che ha fatto è stata quella di parlare del suo libro. Mi ha letteralmente subissato e inondato impartendomi lezioni di tecnica, di conoscenze specifiche, di carri armati, di armamenti da farmi scoppiare la testa. Quando, finalmente, in mezzo a questo mare di dati e di informazioni tecniche sono riuscito in qualche modo a farmi un’idea del messaggio che lui cercava di trasmettermi, allora la situazione mi è diventata più o meno chiara.
Sono finalmente riuscito a farmi un’idea chiara, perché io ho scoperto che tanti tasselli separati di un mosaico che nessuno di noi era riuscito a comporre e a mettere insieme, erano riusciti ad acquistare una configurazione che finalmente aveva un senso. Diciamo che è come la costruzione di un puzzle: finché tu non metti i pezzetti a loro posto, non si riesce ad avere un quadro compiuto d’insieme che abbia un significato. Tutto il modo con cui ci veniva somministrato l’insegnamento della storia, sia dalla scuola, sia da parte della propaganda, era sicuramente un sistema d’insegnamento che lasciava in noi profonde incertezze e luoghi oscuri e poco chiari. Era, per esempio, impossibile da credersi la teoria secondo cui Stalin, un individuo che non credeva nemmeno alla propria ombra, un individuo che solo tre anni prima, sulla base di un semplice sospetto, aveva fatto ammazzare il vertice del suo esercito, ebbene quest’uomo, così come ci veniva spiegato, sarebbe stato tanto cieco e tanto incapace da non accorgersi della guerra in arrivo.
Ovviamente, anche quando ci vengono a dire che Stalin non era preparato alla guerra, non è possibile che considerazioni di questo genere, anche per gente che ha studiato il periodo prebellico e la guerra stessa, non suscitino delle perplessità, perché tutto il periodo prebellico nella storia sovietica, è stato ininterrottamente un periodo di preparazione alla guerra. Per riuscire ad essere pronti a questa guerra sono stati uccisi milioni, decine di milioni di contadini. Proprio in nome di questo essere pronti alla guerra è stata introdotta una industrializzazione spaventosa e forzata all’interno del paese. Qualsiasi specialista e qualsiasi esperto non potrà dirvi altro che tutti i piani quinquennali e il fine della politica staliniana avevano un unico scopo, quello del potenziamento dell’apparato bellico del paese.
Inoltre, molto prima della ascesa al potere di Hitler e sulla base di inconfutabili fonti, noi sappiamo benissimo che Stalin aveva acconsentito ad aprire l’Unione Sovietica agli addestramenti dei quadri militari tedeschi e alla preparazione, addirittura alla fabbricazione, di armi in territorio sovietico per la Germania. La Germania, che in seguito alla pace di Versailles non poteva produrre sottomarini, non poteva produrre carri armati, non poteva avere armi pesanti di nessun genere, ha avuto la possibilità di realizzare tutto questo nel territorio dell’Unione Sovietica. Sono tantissime le fonti storiche alle quali riferirci a dimostrazione del fatto che, senza il volere di Stalin, Hitler non sarebbe mai arrivato al potere.
Infatti nel 1932, l’unica possibilità data ai fascisti fu quella dell’imposizione, in pratica arrivata da Stalin e data ai comunisti, di non votare più in un blocco unito con i socialdemocratici, e quindi di fare blocco di sinistra contro i fascisti: è stata la defezione dei comunisti che in quel caso ha consentito l’ascesa al potere di Hitler. E ovviamente, siamo tutti perfettamente al corrente di quanto è avvenuto con il patto Molotov-Ribbentrop, il quale ha sanzionato effettivamente la divisione del mondo in due blocchi. Sappiamo con esattezza fino al dettaglio come da parte dell’N.K.V.D. si addestravano i quadri delle S.S., della Gestapo. E, pur avendo sott’occhio tutti questi tasselli, evidentemente nessuno ha trovato in sé né il tempo né la motivazione né la spinta per dare loro un significato, per comporli insieme in un unico quadro.
In questo sta appunto la grandezza di Viktor Suvorov, come l’oratrice che mi ha preceduto ha già avuto modo di dire: “elementare, Watson“. In realtà, questa capacità di cogliere l’elementarità dandole organicità è il grande merito di Viktor Suvorov. Io ricordo quando Viktor portò a completamento la prima variante, la prima edizione di questo libro. Le varianti sono state molte. Questa sua prima versione venne inviata da Viktor a Solzenicyn: ha ricevuto da Solzenicyn una lettera entusiasta, piena di complimenti nei confronti della sua opera. Se ricordo bene, nella lettera di Solzenicyn si diceva pressappoco questo: “È semplicemente incredibile, tutti noi siamo stati testimoni, abbiamo vissuto tutti questi fatti, tutti questi avvenimenti, eppure sembra che siamo passati loro accanto senza riuscire a capirli, senza dare loro la spiegazione”.
Lo stesso Viktor di questo straordinario avvenimento dà una spiegazione molto semplice e fortuita; per pura combinazione, quando frequentava l’accademia militare, le lezioni di strategia e quelle di storia erano successive l’una all’altra. L’insegnante di storia, spiegando la seconda guerra mondiale, affermava che Stalin aveva commesso un errore madornale concentrando direttamente sui confini la maggior parte delle forze sovietiche e gli aeroporti. E nella lezione successiva di strategia, ai giovani allievi dell’accademia veniva insegnato che, nel caso in cui il nemico minacci di invadere il tuo paese, la prima mossa che devi fare è quella di concentrare tutte le truppe verso i confini e di spostare verso i confini anche gli aeroporti.
Il giovane allievo Viktor avvertiva lo stridore fra queste due tesi: da una parte si dava una spiegazione storica che non combaciava assolutamente con le spiegazioni di ordine tattico e strategico, quindi qui qualcosa non funzionava. E da quel momento in poi lui continuò a ricercare affannosamente nuove dimostrazioni, a leggere altri libri per riuscire a scoprire il filone, le ragioni e i motivi che arrivassero a confermare quella che era stata la sua intuizione iniziale. E quanto più continuava a leggere, quanto più radunava materiali, quanto più li analizzava tanto maggiori erano le prove a dimostrazione che la sua intuizione e la sua tesi erano effettivamente esatte.
Per lui questa scoperta fu uno shock. Non dimentichiamo i suoi dati biografici: lui era nato in una famiglia di militari, suo padre aveva combattuto al fronte, aveva combattuto fino all’ultimo giorno di guerra. La sua, come la mia generazione, era cresciuta nell’atmosfera e nello spirito della seconda guerra mondiale. Questa terribile verità era un peso troppo grande per la sua coscienza, non poteva tenerlo dentro solo per sé, aveva bisogno di liberarsi di questo peso. Fu semplicemente il peso troppo grosso sulla coscienza a portare il mondo alla scoperta di questa verità. Questo fu sicuramente il motivo, questa necessità estrema di rendere gli altri partecipi della verità da lui scoperta, per abbandonare i servizi segreti e riparare, trovare rifugio con la sua famiglia in territori più sicuri.
Aveva l’assoluta certezza che con questo suo atto non avrebbe più rivisto i suoi genitori. Sapeva con certezza che con questa sua scelta non avrebbe più rimesso piede nella terra che gli aveva dato i natali; sapeva perfettamente che, da allora in poi, sarebbe vissuto con il marchio del traditore, eppure sapeva che lui doveva raccontare questa sua verità anche a voi. Le reazioni delle varie parti del mondo sono state ben diverse. L’onore che lui ha ricevuto dal suo paese è stato quello della pena di morte. Purtroppo l’occidente gli ha riservato l’onore del silenzio e della indifferenza, per cui oggi, come egli ama dire, lui si trova in bilico, per così dire, sospeso fra la condanna a morte e l’esecuzione di essa, e, spiritualmente, fra oriente e occidente.
Antonia Arslan Ringrazio molto gli amici che mi hanno invitato oggi, perché mi permettono di dare un’opinione, che non è un’opinione ovviamente di storico, io non sono uno storico, è puramente un’opinione di lettrice appassionata, di persona interessata da sempre a tutto quello che succede ed è successo nel secolo ventesimo, a tutte le tragedie, a tutti i tentativi, a tutta l’epopea dei giusti. Questo libro si legge con estrema velocità. È curioso per un libro massiccio, infarcito di dati, infarcito di nozioni, che ti fa balzare l’idea e la persuasione dall’ammasso dei dati. Non c’è nulla di fantastico in questo libro, eppure viene fuori una storia che sembra fantascienza; non c’è nulla di non documentato, eppure non si ricorre in questo libro agli archivi segreti, si ricorre semplicemente a quelli che sono i dati ufficiali della nomenclatura sovietica, dello stato sovietico, dei giornali, delle riunioni del governo, alle cose che Stalin ha esplicitamente detto, che Lenin ha esplicitamente detto, cioè non un libro, come siamo abituati qualche volta a sentire, di scoperta di cose che vengono da archivi segreti: è un libro tutto basato su cose documentate e già note. Eppure, tutto questo ammasso, tutti questi tasselli di informazione, uno vicino all’altro, uno dietro l’altro, ci portano a una visione dello scoppio della seconda mondiale assolutamente sconvolgente, che cambia la nostra visione assodata, capovolge in sostanza quella che è l’opinione, non solo che noi abbiamo personalmente, ma che abbiamo infinite volte letto, che abbiamo studiato nei libri di scuola, che abbiamo in pratica tramandato e quasi quasi acquisito, perché voi sapete che la storia del ‘900, anche grazie ai recenti obiettivi ministeriali, è diventata un po’ il fulcro di ciò che si studia e di come si studia la storia in Italia. E, fra le due guerre mondiali, a questo punto è chiaro che negli ultimi anni è soprattutto la seconda, con la sua realtà, le sue premesse e le sue conseguenze che è stata sempre al centro dell’attenzione degli storici. Oserei dire che questo che compie Suvorov qui, addirittura non è un revisionismo, è proprio un capovolgimento: la vulgata della storia di quegli anni, come noi l’abbiamo appresa, ne viene radicalmente ristrutturata. E qui io credo che, se, come ci si dice, anche i tentativi di contestare, di modificare, di non accettare le opinioni di Suvorov stanno fallendo, ci dobbiamo proprio chiedere com’è che questo libro o libri di questo tipo non sono conosciuti e divulgati molto più presto, molto più velocemente nei paesi occidentali. Mi riferisco al dato che ho sentito prima che la data originale dell’opera è il ’92. Nel risvolto, però, c’è il titolo originale, ma non c’è la data; io credo che invece vada messa, perché è importante che la data dell’opera originale si sappia, perché, in fondo, anche il lettore italiano comprenda con quale ritardo spesso gli vengono forniti dei dati essenziali e come viene tradotto immediatamente, praticamente in tempo reale qualsiasi romanzetto o best-seller che lascia il tempo che trova, e come invece libri fondamentali, anche per discuterli o per respingerli, non ci vengono messi a disposizione. Una domanda mi viene subito. Cosa significa il titolo originale?
Viktor Suvorov Il titolo del libro suona Ledokol, cioè Il rompighiaccio. Il senso di questo titolo consiste nel fatto che Stalin aveva riservato questa definizione a Hitler. Come dichiarazione programmatica di Lenin, Stalin e Trotskij era necessario liberare l’Europa attraverso un intervento armato; era solo militare il mezzo con cui si poteva pensare alla liberazione dell’Europa. Questa è la linea di Trotskij. Stalin, invece, aveva tutt’altri piani e tutt’altra strategia. La concezione di Stalin era tutt’altra, completamente diversa; a suo modo di vedere, era necessario che qualcuno per loro, ovvero per l’Unione Sovietica, riducesse l’Europa in un cumulo di macerie, appiccasse il fuoco, distruggesse i governi, i partiti, le economie, e allora l’Unione Sovietica sarebbe intervenuta a liberare l’Europa. Esattamente a questo scopo, quindi, Stalin aprì le porte dell’Unione Sovietica alla preparazione dei quadri degli specialisti tedeschi. Noi sappiamo che i quadri venivano addestrati a Saratov, che i sottomarini tedeschi venivano costruiti a Leningrado, che c’era una fabbrica che progettava e realizzava i carri armati, che i chimici, i futuri chimici ideatori delle camere a gas, studiavano e si specializzavano a Saratov, e questo con un fine estremamente preciso. La prima domanda che mi posi, una volta resomi conto di tutti questi particolari, fu: a quale scopo Stalin sta facendo tutto questo? Mi pareva chiaro che non poteva addestrare e mettere in piedi un esercito che avrebbe attaccato lui stesso, non poteva aiutare un esercito che poi lo avrebbe rovinato. Esattamente questo è il senso quindi della parola “rompighiaccio”, inteso come il rompighiaccio della rivoluzione.
Antonia Arslan Questo tema percorre tutto il libro. Hitler come rompighiaccio, preparatore della rivoluzione che avrebbe, su un’Europa ridotta allo stremo, potuto dilagare in modo completo. Tutto questo è dimostrato nel libro attraverso una serie di capitoli brevi, tutti con un titolo, che si incatenano come un romanzo giallo, che ti fanno cercare di proseguire per capire meglio, per capire di più, per andare a fondo.
Vi faccio una piccola lettura che mi pare molto importante. Per preparare un formidabile esercito che era pronto nel ’41 alle frontiere, proprio per questa invasione dell’Europa da operarsi dopo che Hitler avesse invaso l’Inghilterra, e ricordiamoci che un esempio di quella che poteva essere la veloce conquista di un’isola è la conquista di Creta, l’isola greca, e l’Inghilterra sarebbe venuta dopo, Stalin aveva convertito a una preparazione militare eccezionalmente vasta e potente cinque armate sul fronte occidentale, tutta la potenza immensa della Russia. Ci sono pagine, ci sono dati che sono impressionanti.
Per esempio, questo è una cosa che non è strettamente militare, ma che mi ha fatto un’enorme impressione. Dice un commissario del popolo alle finanze: “All’inizio del 1941, il numero di capi di bestiame bovino non aveva ancora raggiunto il livello del 1916”. Anche questo è un documento ufficiale. Questo significa che, nel 1941, il numero di capi di bestiame che possedeva l’immensa Unione Sovietica non era pari al numero che c’era nel 1916, dopo due anni stremanti di guerra. L’impoverimento e la deprivazione del mondo contadino russo, con tutto ciò che questo comporta, comprese evidentemente le mandrie, i bovini, il grano, era stato impoverito (ricordiamo poi tutta la questione dello sterminio dei gulag) e portato verso un potenziamento dell’arsenale militare.
Mi ha fatto impressione un’altra cosa: per tenere pronte cinque armate potenti e numerosissime sul fronte occidentale, cioè a stretto contatto con i tedeschi, era necessaria una operazione logistica enorme, grandiosa e, per fare questo, voleva dire che una guerra aggressiva era in preparazione, perché, altrimenti, così tanti soldati non erano necessari per una guerra soltanto difensiva, che in Russia tende, come sappiamo ricordandoci di Napoleone, a defatigare man mano che l’esercito entra nel territorio. Tutto questo viene qui spiegato con una tale quantità di informazioni, tutte ufficiali, che viene quel dubbio: come mai nessuno se n’è accorto? Ma così avvengono anche le grandi scoperte: a un certo momento, uno mette insieme due fili mentali e la cosa succede.
Un’ultima osservazione che mi sembra importante: i cinque fronti erano preparati prima dell’invasione tedesca, non dopo. Ricordiamoci che c’è stato il patto Molotov-Ribbentrop e che, evidentemente, i due che contraevano il patto avevano ben ragionevoli diffidenze l’uno dell’altro, ma Stalin, quando Hitler ha firmato, in realtà lo ha preso in giro: lo ha fatto sicuro del fronte orientale per scatenarlo verso il fronte occidentale e per muoversi poi nella sua intenzione quando Hitler finalmente avesse raggiunto l’Inghilterra. Ricordiamoci nel ’40-’41 quale fu il dilagare delle armate tedesche verso occidente. Questo piano di Stalin venne frustrato dall’aggressione tedesca alla Russia.
Naturalmente tutti i dettagli li potete trovare nel libro e tutto questo è descritto con una passione e una veridicità, come vi dicevo, impressionante. Vi leggo, per concludere, un’altra pagina impressionante. Hitler aveva commesso un errore irreparabile, ma non l’aveva fatto il 21 luglio 1940 bensì il 19 agosto ’39. Dando il suo consenso alla firma del patto Molotov-Ribbentrop, Hitler aveva sanzionato l’inevitabilità della guerra contro l’occidente avendo alle spalle uno Stalin neutrale. Fu esattamente in quel momento che Hitler si ritrovò con due fronti. Non fu la decisione di cominciare l’Operazione Barbarossa in oriente senza aspettare di avere vinto la guerra in occidente l’errore fatale di Hitler, come tutti noi siamo abituati a credere.
Quella mossa fu solo il tentativo di correggere un errore fatale già commesso, ma era troppo tardi; la guerra aveva già due fronti ed era ormai impossibile vincerla. Stalin sapeva che per Hitler una guerra su due fronti significava il suicidio. E Stalin pensava che Hitler non avrebbe scelto il suicidio e non avrebbe iniziato una guerra ad oriente prima di concluderla ad occidente. Il quadrante planetario di questi suggerimenti, di queste suggestioni, come voi capite, è veramente impressionante. Io non penso che oggi nessuno potrà dire una parola definitiva, ma devo dire che questo tema e questo discorso, così legato a quelli che sono stati i grandi e terribili totalitarismi del ventesimo secolo, mi affascina e nello stesso tempo mi angoscia.
Viktor Suvorov Ora che la guerra è finita e che tutti sanno che è un fatto storico che Hitler abbia invaso l’Unione Sovietica, l’immediata deduzione è che Hitler sia stato uno dei peggiori criminali del secolo ventesimo e che Stalin, dal canto suo, abbia, se non altro, perlomeno peccato di ingenuità, che abbia comunque subito l’aggressione. Io però vorrei invitarvi a riflettere e a operare in parallelo, mettere a confronto questi due personaggi, Hitler e Stalin:
– Stalin aveva una bandiera rossa e anche Hitler aveva una bandiera rossa.
– In Unione Sovietica c’era un solo grande capo e nella Germania di Hitler il Führer.
– Nell’Unione Sovietica un solo partito era al potere e tutti gli altri erano stati cacciati in carcere. Analoga situazione nella Germania di Hitler: un partito al potere, gli altri messi a tacere.
– Hitler ha fatto fuori milioni di persone e altrettanto ha fatto Stalin che ha eliminato milioni di persone.
– Stalin aveva il suo gulag e Hitler dal canto suo aveva Auschwitz, aveva Treblinka e altri lager a Buchenwald.
– Hitler aveva le S.S. e Stalin, a sua disposizione, le truppe dell’N.K.V.D..
– Stalin aveva la sua gioventù comunista e Hitler aveva la gioventù fascista.
– Hitler aveva piani quadriennali e Stalin piani quinquennali.
– Le maggiori feste celebrate in Unione Sovietica erano il primo maggio, il 7 e l’8 di novembre. In Germania, invece, il primo maggio, l’8 e il 9 di novembre.
– Stalin amava vestire un’uniforme semi-militare senza gradi e senza mostrine. Anche Hitler amava mostrarsi, vestirsi in uniforme semi-militare senza mostrine e senza gradi.
– Stalin calzava gli stivali e altrettanto faceva Hitler, calzando i suoi stivali.
– La famosa amante di Hitler si dice abbia commesso suicidio, anche se vi è chi pensa che Hitler le abbia dato una mano.
– La moglie di Stalin tutti dicono che si sia suicidata, ma in effetti vi è chi pensa che sia stato Stalin a farlo con le sue mani, o che le abbia dato una mano.
– Stalin non era un russo, e parlava il russo con un forte accento straniero. Altrettanto dicasi per Hitler che non era tedesco e parlava il tedesco con un forte accento austriaco, straniero quindi.
– Hitler non aveva la barba e nemmeno Stalin l’aveva. Ma Hitler aveva dei baffi e anche Stalin aveva dei baffi.
A questo punto io mi chiedo: ma quale differenza c’è mai tra questi due? Ho cercato a lungo la differenza fondamentale che possa distinguere Stalin da Hitler e finalmente ho trovato questa differenza: Stalin aveva i baffi a manubrio e invece Hitler li aveva dritti sotto il naso!
Nel 1940, inizi del 1941, si era venuta a creare in Europa una situazione straordinaria. Allora non esistevano le armi atomiche e nessuno avrebbe fatto ricorso alle armi atomiche per fermare l’Armata Rossa. A quell’epoca l’America era un paese neutrale ed era assolutamente disposto a fornire qualsiasi aiuto all’Unione Sovietica. Vorrei sottolineare che il libro che avete in mano rappresenta solo la prima parte di una trilogia concepita come tale. Nel secondo libro di questa mia trilogia io produco e presento degli elenchi straordinariamente lunghi di tutte le forniture date e fornite dall’America a Stalin. Per esempio lo Studebaker: si trattava di un camion americano, il migliore al mondo. Da parte dell’America sono stati forniti, in modo assolutamente gratuito, ben 400.000 di questi camion all’Unione Sovietica.
La situazione quindi era la seguente: l’America era pronta ad aiutare Stalin, a perdonargli tutto, mentre in Europa l’Italia e la Germania combattevano contro la Francia e l’Inghilterra. Era una situazione semplicemente fantastica, una situazione da sogno per Stalin. Quello che io dimostro con i miei libri è che quella situazione non si era prodotta da se stessa, per inerzia. Quella situazione era stata pazientemente costruita e progettata da Stalin nel corso di tutta la sua vita. E semplicemente fu all’ultimo istante che Hitler ebbe la netta percezione del gioco che Stalin in qualche modo gli stava imponendo e decise di attaccare per primo.
A questo punto io ritengo che non valga la pena che io vi ripeta o faccia un riassunto del libro intero, forse sarebbe una cosa un po’ lunga; è meglio che lo leggiate per conto vostro. Vi sono tuttavia estremamente grato per il fatto di essere venuti oggi ad ascoltarmi.
Adriano Favaro Ho avuto modo di visitare l’Unione Sovietica, quando si chiamava Unione Sovietica, due volte, prima della perestrojka e dopo la perestrojka e, poi, negli ultimi anni, ho percorso le repubbliche che si sono staccate, Kazakistan, Turkmenistan, e ho visto tutti i cambiamenti, e devo dire che questo libro appartiene alla cultura del cambiamento che anche l’Europa sta imparando ad usare. Discutiamo moltissimo dei libri scolastici strani che riportano delle nozioni forse troppo ideologiche, e credo che questa sera stiamo facendo questo lavoro, cioè cercare di leggere la storia attraverso i protagonisti, in maniera diversa.
Io ho una curiosità: Bukovskij è considerato uno dei padri del dissenso sovietico, e siccome faccio fatica a spiegare ai miei colleghi che hanno trent’anni che cosa succedeva a Padova durante il periodo delle Brigate Rosse, vorrei che lui ci spiegasse che cosa ha significato la nascita del dissenso sovietico, e forse così riusciremo a capire una fettina anche del nostro vivere contemporaneo.
Vladimir Bukovskij Temo che il compito che mi sta affidando oltrepassi i limiti temporali di una serata, tuttavia ricordo che una domanda analoga mi è stata posta in Inghilterra quando dovevo prendere la cittadinanza inglese. La regola prevede che, prima della concessione della cittadinanza, l’individuo che l’attende subisca una specie di interrogatorio da parte di un funzionario della polizia. Quel giorno, infatti, un funzionario di polizia in divisa mi rivolse esattamente questa domanda e mi disse: “Lei potrebbe raccontarci la sua vita in breve fino al suo arrivo in Inghilterra, in due parole?”.
A questo punto tolsi da uno scaffale un’edizione del mio libro autobiografico, glielo porsi e gli dissi: “Guardi, questa è la versione più breve in assoluto che esiste della mia passata biografia”. Ovviamente, quando voi mi date due minuti di tempo, io sono costretto a parlare per grandi concetti, e questi non possono essere esatti, riescono solo a trasmettere un’idea. Se lei ricorda le scene che ci sono state tramandate della rivolta di piazza Tienanmen nel 1989, ricorderà sicuramente una fotografia che sicuramente nessuno ha potuto dimenticare: la fotografia famosa ed emblematica in cui un ragazzino, un giovane studente cinese, pone se stesso di fronte alla colonna dei carri armati e rifiuta di muoversi, e effettivamente ferma col suo piccolo corpo la colonna intera. Quando io ho visto questo alla televisione, la mia intuizione è stata immediata: questo ragazzo è uno di noi, perché simbolicamente è quanto abbiamo fatto anche noi.
Il nostro appello al regime praticamente ha avuto lo stesso contenuto della fotografia di cui sopra. Il significato del messaggio che noi lanciavamo al confine era esattamente questo: “Noi ora ci ergiamo in piedi davanti a voi, e l’unico mezzo per fermarci è quello di ammazzarci”. E tuttavia, forse quello fu l’unico momento in tutta la storia dell’Unione Sovietica in cui al regime mancò il coraggio di completare l’opera; non ci fecero fuori allora. Negli anni ’60 sicuramente quelli tra noi che avevano avuto il coraggio di opporsi al regime non erano più di un paio di migliaia di individui contro tutto l’apparato del regime. Il regime ha provato in tutti i modi a sopire e soffocare le nostre voci: siamo stati mandati nei gulag, siamo finiti negli ospedali psichiatrici, hanno cercato in tutti i modi di piegare la nostra resistenza, e alla fine hanno dovuto darsi per vinti e rendersi conto che l’unico mezzo per liberarsi di noi era quello di cacciarci fuori dal paese.
Ora che il comunismo teoricamente è finito, io cerco, m’industrio di guardare a quegli anni in modo prospettico e di cercare di capire che cosa è rimasto di quegli anni, che cosa abbiamo ottenuto in quegli anni. Mi rendo perfettamente conto che non siamo stati noi a distruggere quel regime, che il regime è imputridito per suoi difetti congeniti, per la sua innata congenita stupidità. Ma, indubbiamente, il nostro intervento ha fatto sì che il processo venisse accelerato. E, cosa estremamente importante, abbiamo contribuito a questa fine senza spargimenti di sangue. Cioè noi siamo riusciti a dare al nostro paese l’esempio di come una resistenza sia possibile senza spargimenti di sangue, senza violenza.
Effettivamente, l’effetto del nostro intervento, soprattutto ad alto livello governativo, è stato sicuramente devastante. Hanno in qualche modo perso la loro legittima azione. Questo mi è stato detto dal leader del periodo di Gorbacev, per esempio da Jakobliv. Sono stati esattamente impediti o incapaci di applicare la forza, proprio quando si era creato il momento di maggiore tensione: lì non sono riusciti a reagire con la forza. Il regime a quel punto, anche con il nostro aiuto, era talmente discreditato che nessuno l’avrebbe difeso, nemmeno il K.G.B.. E forse, un altro dei risultati che sono arrivati grazie al nostro aiuto e al nostro appoggio è il fatto che, durante l’era della Thatcher e di Reagan, il mondo occidentale, in qualche modo, ha trovato la forza di resistere e di opporsi a quel regime.
Entrambi, sia Reagan che la Thatcher, me l’hanno detto personalmente. Per esempio mi hanno detto espressamente, sia l’uno che l’altro che, sulla base dell’esempio da noi fornito, si sono resi conto che da parte dell’occidente era possibile vincere il blocco orientale senza ricorrere alla guerra. Il dilemma che durante la guerra fredda si poneva all’occidente, un dilemma tra l’altro sottolineato dalla propaganda di sinistra, era il seguente: per potersi opporre in qualche modo all’Unione Sovietica, occorreva una resistenza attiva oppure una coesistenza pacifica. Questa coesistenza pacifica significava capitolazione morale. E, secondo loro, l’insegnamento che avevano tratto dal nostro esempio era stato esattamente questo: che era possibile piegare l’Unione Sovietica, era possibile vincerla senza ricorrere alla guerra.
Quello che ora, a posteriori, posso trarre come conseguenza di quegli anni è che, certamente, la situazione attuale non è esattamente quello che allora noi ci prefiggevamo dal punto di vista strategico. Semplicemente la nostra reazione di giovani, allora giovani diciottenni, ventenni, indipendentemente da qualsiasi proiezione strategica, è stato un impulso spontaneo e immediato. L’incapacità di piegare la testa di fronte a un regime, un’affermazione di libertà: “Io non mi piegherò a te, regime, indipendentemente da quello che mi può succedere, perché sono, voglio essere libero”. Ecco una breve risposta alla sua domanda.
Adriano Favaro Chi è Viktor Suvorov? Non è il suo nome!
Viktor Suvorov Sono molte le ragioni per cui ho scelto questo pseudonimo. Il mio nome vero è Vladimir Resun, e sono certo che, se avessi usato il mio nome vero, probabilmente avrei ottenuto anche un maggiore successo. Io sono stato ufficiale dei servizi spionistici militari della G.R.U. ed ero agente dislocato a Ginevra. Dal K.G.B. defezionavano parecchi individui; molto minori erano invece le defezioni per quanto riguarda lo spionaggio militare. Io sono convinto che, se avessi allora dichiarato pubblicamente che avevo defezionato e avessi scritto col mio nome, avrei ottenuto un maggiore successo. La scelta di questo nome è stata suggerita dal fatto che io desideravo che il lettore, il quale affrontava la mia opera, non la giudicasse in base all’autore, al nome dell’autore, ma in base alla bontà o almeno del contenuto di esso.
Il Feldmaresciallo Suvorov ha avuto un particolare significato e un posto speciale nella mia vita. Ho cominciato a studiare a 11 anni in una scuola militare che era proprio intitolata a nome del Feldmaresciallo Suvorov. Quando i giovani ufficiali studiano in accademia, preparandosi a diventare appunto ufficiali, normalmente si dividono in due classi, ovvero i futuri ufficiali, che si occupano solo di come i soldati si puliscono le scarpe, si vestono e si abbottonano, e gli altri ufficiali, i quali s’interessano veramente alla storia, s’interessano di cose militari, della strategia, fanno spesso domande spiacevoli e non necessarie e ai quali vengono normalmente affibbiati dei nomignoli tipo Bonaparte, Annibale, Suvorov, etc. Questo nomignolo di Suvorov mi è stato affibbiato allora, in quell’epoca.
Per cui decisi di usare questo nomignolo che mi era stato affidato in accademia con la convinzione che i miei amici avrebbero sorriso e che i miei nemici invece si sarebbero infuriati, vedendomi usare questo nome, e che l’uso di questo nome significava in qualche modo una provocazione. Dal momento che io sono un provocatore congenito, rendendomi perfettamente conto che il peggio che può succedere all’autore di un libro è l’indifferenza con la quale il libro stesso viene accolto, ho preso la decisione di usare questo nome con la ferma convinzione che i miei nemici, vedendolo scritto sulla copertina, mi avrebbero rivolto decisamente molta attenzione. Il mio calcolo si è rivelato perfettamente esatto, in effetti i miei nemici, anche a causa di questo nomignolo, mi odiano ancora di più. E, quanto più severe sono le critiche, anche sulla base dello pseudonimo di cui io mi servo, tutto questo in fondo si risolve in motivi di discussione e quindi a me fa piacere.
Adriano Favaro Vi leggo otto righe di questo libro del capitolo trentesimo che s’intitola Perché Stalin non credeva a Richard Sorge:
“Stalin si preparava alla guerra molto seriamente. La sua sollecitudine era rivolta soprattutto allo spionaggio militare sovietico, attualmente noto nome G.R.U.. Basta scorrere l’elenco dei capi del G.R.U. a partire dal momento in cui fu creato e fino al 1940, per apprezzare in pieno “la commovente sollecitudine” di Stalin nei confronti delle sue valorose spie. Eccone l’elenco: [sono i capi di questa struttura spionistica] Aralov: Arrestato. Passò alcuni anni in carcere sotto inchiesta subendo misure di pressione fisica. Stigga: Giustiziato. Nikonov: Giustiziato”.
Segue l’elenco di nove nomi, tutti giustiziati. Ben inteso, quando veniva giustiziato il capo dello spionaggio militare, venivano eliminati anche i suoi vice diretti, i sostituti, i consiglieri, i capi delle direzioni e dei dipartimenti. E con l’eliminazione dei capi dipartimento, l’ombra si estendeva immancabilmente sugli agenti operativi e le centrali di spionaggio da essi dirette. In pratica tutta la rete spionistica veniva eliminata . Dicono che l’estrema sollecitudine di Stalin nei confronti delle sue spie militari ebbe conseguenze catastrofiche. Non credeteci. Il G.R.U. prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale era e rimane la più potente e la più efficiente organizzazione spionistica del mondo. Se continuate, scoprite che il G.R.U. ha come grande nemico il K.G.B.. E io ho avuto un piccolo mancamento, perché vi garantisco che, continuare a leggere solo questo capitolo, meriterebbe da solo il libro. Chiediamo al Feldmaresciallo Suvorov che cos’è questo G.R.U., perché lui è stato uno degli ufficiali di questo organismo.
Viktor Suvorov Il G.R.U. è il Comando Centrale Spionistico, in traduzione letterale dalla sigla sovietica. C’è una forte differenza fra il G.R.U. e il K.G.B.. In pratica, il K.G.B. è la polizia segreta. Nel corso della storia sovietica il nome del K.G.B. è stato vario e diverso, pur non cambiando la sostanza dell’organizzazione. Il fine precipuo del K.G.B. e di tutte le organizzazioni che, con altri nomi, l’hanno preceduta, compresa l’N.K.V.D., era quello di difendere e proteggere il regime dai suoi nemici interni. Ovviamente, il nemico interno del regime non era necessariamente collocato all’interno del paese. Per esempio, un individuo come Vladimir Bukovskij, pur abitando a Cambridge, era comunque un nemico interno del regime. Siccome, pur trovandosi all’estero, lui cerca di scalzare il regime al suo interno, è quindi oggetto delle particolari attenzioni del K.G.B., appunto, come nemico che cerca di scalzare il regime dal suo interno.
Invece il compito del G.R.U. era esattamente l’inverso, nel senso che il suo scopo precipuo era quello di difendere il regime dai suoi nemici esterni. Molto spesso era molto difficile, e lo è tuttora, distinguere quelli che erano i nemici interni dai nemici esterni, quindi, spesso, le due organizzazioni si trovavano ad agire su un territorio comune. Da parte dei nostri capi si è sempre cercato di suscitare fra queste due organizzazioni una forte ostilità. Queste due organizzazioni dovevano essere fra di loro nemiche. Se volessimo fare il paragone con la Germania nazista, troveremmo il parallelo perfetto tra la Gestapo e la Wehr.
Ripeto il concetto di prima: durante l’Unione Sovietica, da parte del regime si facevano tutti gli sforzi e i tentativi possibili per creare il massimo dell’ostilità fra le due organizzazioni perché si odiassero a vicenda. Per esempio, quando io volevo entrare nel G.R.U., ho dovuto subire un interrogatorio. Una delle domande era: “Quanti marescialli dell’Unione Sovietica ha ammazzato Hitler?” Al che io, dopo un attimo di riflessione, ho risposto dicendo che Hitler personalmente non aveva ammazzato nessun maresciallo dell’Unione Sovietica. Allora la domanda seguente è stata questa: “Allora, i nostri amici del K.G.B., quanti marescialli sovietici hanno fatto fuori?” Io dissi: “Quattro: Tuchacevskij, Blucher, Egorov e Kulik”.
Da queste domande, così mirate, emergeva chiaramente che si cercava di far capire che il K.G.B. non poteva altro che essere il nemico, instillando l’odio nei confronti del K.G.B., dicendo che Hitler non era tanto pericoloso quanto invece lo era il K.G.B.. E sicuramente se dall’alto, da un momento all’altro, fosse arrivato l’ordine di eliminare determinati personaggi del K.G.B., noi l’avremmo fatto senza esitazione e addirittura con grande piacere. E sicuramente, se un analogo ordine fosse stato impartito al K.G.B., l’avrebbero eseguito con lo stesso entusiasmo e piacere. Questa si chiama concorrenza comunista.
Adriano Favaro Ha mai ammazzato qualcuno di sua mano Stalin? Lei ha detto che questo libro non è ancora stato stampato negli Stati Uniti d’America e che forse non verrà mai stampato. Perché?
Viktor Suvorov Ma io ritengo che questa domanda non vada tanto rivolta a me quanto ai potenziali editori americani. Io ritengo che il libro sia buono; se quelli si rifiutano di pubblicarlo, forse andrebbe chiesto a loro perché non lo fanno.
Adriano Favaro Una domanda in due parti: lei è stato educato in una scuola militare e quindi avrà avuto una lezione, le sarà stato spiegato com’era il mondo occidentale descritto ai militari russi; come eravamo noi raccontati ai vostri occhi?
Viktor Suvorov Prima di tutto mi si diceva che gli occidentali erano i nostri nemici, che si trattava di persone che volevano distruggere l’Unione Sovietica e attaccare il mio paese. Quando ebbi modo di vedere con i miei propri occhi questi occidentali, mi accorsi che quanto mi era stato detto non era esattamente vero; mi si diceva anche che in occidente c’è la disoccupazione, l’ineguaglianza, la povertà, e nemmeno questo, poi ha trovato conferma nella mia esperienza. Ho avuto modo di vedere all’interno dell’Unione Sovietica tali disparità, tali ineguaglianze sociali, delle quali non ho trovato paragone nei paesi occidentali.
Quando giunsi in occidente mi fu fatto presente che la situazione in Inghilterra era difficile, che c’era molta disoccupazione, che sarebbe stato quasi impossibile trovare un lavoro, al che io risposi che sapevo dell’esistenza dei gabinetti pubblici nel loro paese e che sarei stato, a prezzo della mia libertà e purché non mi restituissero al mio paese, pronto anche a pulire i gabinetti. E quando si insiste dicendo che qui in occidente continua a permanere la disoccupazione, io obbietto sempre dicendo che però, i gabinetti pubblici sono tantissimi e che sono anche piuttosto sporchi, e che c’è sicuramente un mucchio di gente che sarebbe disposta a pulirli e che forse varrebbe la pena di farlo; nel senso, sempre a questi miei oppositori, che io non avevo paura di trovare un lavoro per me un domani, che ci sarebbero sempre stati i gabinetti da pulire.
Quando poi mi vengono fatte rilevare tutte le disuguaglianze e le ingiustizie sociali da voi qui in occidente, io normalmente non mi presto a questo tipo di critiche. Il fatto è che io sono cresciuto nel mio paese dove di disuguaglianze e di ingiustizie sociali ce n’era a iosa, ben più gravi di queste. Oppongo normalmente a questo tipo di critica sempre una difesa in questo senso: io potrò parlare e criticare voi solo quando il mio paese raggiungerà come minimo il livello da voi raggiunto; solo in quel caso io mi sentirò nel diritto di criticare. Ora come ora non ho il diritto morale di farlo. Quindi ribadisco ancora che, quando si pretendeva di dirmi che in occidente c’è la disoccupazione, allora non ci ho creduto e continuo a non crederci.
Adriano Favaro Un’ultima domanda rivolta a tutti e due. Dicono che il comunismo è morto, non ci sia più, ma ci sono ancora i comunisti. Ecco, il titolo di questo incontro era La mentalità comunista. Qualcosa abbiamo capito, forse, qualcosa di più. Ma che cos’è, secondo voi, questa mentalità?
Vladimir Bukovskij Quando mi si viene a dire che il comunismo è crollato, anzi io stesso per semplicità talvolta lo dico, mi torna spontaneo metterci un grosso punto interrogativo e chiedermi se è effettivamente crollato il comunismo. Quando parliamo per esempio di crollo del nazismo, si tratta di un crollo vero e proprio; il regime è stato portato a esaurimento totale, è stato completamente sradicato, le sue strutture sono state smantellate, è stato pubblicamente condannato. Nessuno, però, ha fatto qualcosa di analogo con il comunismo. Anche l’approccio nei confronti del comunismo è stato fin dall’inizio completamente diverso da quello che si è registrato nei confronti del nazismo, anche se le opere compiute da entrambi i regimi erano analoghe: crimini dall’una e dall’altra parte, genocidi dall’una e dall’altra parte, quindi poca differenza fra di loro. Se però tali crimini erano stati compiuti dai nazisti, venivano definiti come tali, ovvero crimini; le stesse azioni compiute invece da parte della sinistra e dai comunisti venivano semplicemente etichettare come stati confusionali, come errori suggeriti dalla confusione.
Come risultato di questo, noi ci ritroviamo alla fine della guerra fredda, ammesso che il periodo sia finito, in una situazione molto peggiore di quella succeduta alla seconda guerra mondiale. Possiamo immaginare che alla fine della guerra, nel ’45, in Francia, un individuo come il maresciallo Petain potesse essere considerato un liberatore, un salvatore? Chi mai si sarebbe sognato alla fine della guerra di considerare [ il generale norvegese ] Carl Gustav Fleischer, una grande personalità e un uomo di merito e di prestigio?
Ora come ora, invece, dobbiamo notare una situazione ben diversa. Gli ex amici, gli ex compagni di Mosca, si ritrovano quasi tutti al potere nella maggior parte dei paesi europei. Allora, io vorrei essere un pochino più concreto, perché l’obiezione che normalmente mi viene fatta è che, in fondo, si tratta di politici degni, di persone che hanno il loro nome e la buona fama. E a questo punto io devo diventare più preciso. Prendiamo per esempio la socialdemocrazia tedesca. Nel mio libro dal titolo Gli archivi segreti di Mosca, io raduno, pubblico e rendo noti una serie di documenti che dimostrano inconfutabilmente la cooperazione fra la Germania e il regime sovietico, spesso e addirittura attraverso il canale del K.G.B..
Addirittura, negli anni ’70, la collaborazione fra i due sistemi era arrivata a un tale grado di strettezza e di unità che era molto difficile dire dove finissero i socialdemocratici e dove iniziasse il K.G.B.. Prendendo la situazione dell’Inghilterra, il paese in cui vivo, ebbene, il ministro degli esteri è un signore che si chiama Robin Cook. Sapete che cosa faceva questo signore, ai tempi della guerra fredda? Era un attivista del movimento per il disarmo unilaterale delle armi atomiche in occidente. Un movimento pacifista quindi, le cui redini erano saldamente tenute in pugno da Mosca, che era organizzato, fomentato, aiutato, appoggiato da Mosca.
Persino una figura che, tutto sommato, ci tocca abbastanza da lontano come la figura del presidente Clinton, vediamo che cosa faceva il presidente Clinton nel periodo della guerra fredda: era all’epoca un giovane attivista contro la guerra nel Vietnam. Come studente nell’università di Oxford, partecipava a dimostrazioni a Londra davanti all’ambasciata del suo paese contro la politica del suo paese; addirittura bruciava la bandiera americana. Mosca dedicava particolare attenzione a questi giovani attivisti e molto spesso li trattava bene e li invitava addirittura a passare dei periodi, talvolta anche di tre settimane, in quel di Mosca. Anche Clinton era uno di questi, ma non sappiamo assolutamente quello che abbia fatto nel corso di quelle visite in Unione Sovietica.
Quando ho esaminato gli archivi, si trattava di archivi che riguardavano un livello molto alto; erano gli archivi del comitato centrale del partito comunista e quindi, individui piccoli, all’epoca Clinton era giovane, era veramente una nullità, non potevano trovare spazio in raccolte d’archivio di quel livello. E quindi è ovvio che su Clinton, negli archivi del comitato centrale non potevo trovare nulla. Bisogna andare a cercare negli archivi del K.G.B. di livello veramente infimo per trovare notizie su Clinton. Ecco, io vi invito a riflettere sul fatto che oggi, al mondo si è creata una situazione in cui sono arrivati al potere degli ex collaborazionisti del regime sovietico.
Ovviamente nessuno di costoro è personalmente interessato e non vuole assolutamente che gli archivi vengano aperti, che si smascherino i responsabili, che la verità venga a galla. Quando io, nel 1991, mi recai a Mosca e chiesi ai capi russi perché non gli sembrasse l’ora di aprire gli archivi e di dare la possibilità ai ricercatori e agli storici, a tutti, di conoscere i documenti d’archivio, mi fu detto esattamente che erano i governi occidentali quelli che ponevano una maggiore resistenza all’apertura degli archivi stessi. Ed effettivamente i maggiori oppositori all’apertura degli archivi sovietici sono stati il dipartimento di stato americano e il ministero degli esteri tedesco.
Per rispondere alla sua domanda, io posso solo affermare che il comunismo non è finito, non è stato schiacciato, che tutti coloro che sono eredi e retaggio di quel regime si trovano adesso a occupare posizioni di potere in Europa e nel mondo. Sono convinto che, per quanto riguarda il mio paese, non saranno tuttavia in grado di restituirlo alla passata grandezza, che la Russia non tornerà mai ad essere una grande potenza , e non potrà più rappresentare per l’umanità la minaccia che ha rappresentato in passato. E tuttavia non possiamo sicuramente affermare che noi li abbiamo sconfitti.
Mentre siamo qui seduti a discutere, in Germania sta per passare la legge sulla messa al bando del partito di destra o dei partiti di destra. A livello governativo si organizzano manifestazioni per dar da intendere che tutta la popolazione è d’accordo e partecipa emotivamente a questa decisione, ovvero al divieto imposto all’esistenza dei partiti di destra. Ma a nessuno viene in mente di opporre a questa decisione una molto semplice: che sarebbe giusto, se non altro per creare un certo bilanciamento, vietare e mettere al bando anche i partiti di sinistra, il partito comunista.
Pensiamo alla situazione in Austria. La vittoria delle forze di destra ha provocato una reazione internazionale e addirittura, da parte dell’Unione Europea, l’imposizione di un embargo e di un boicottaggio nei confronti dell’Austria stessa. Ora, il mondo si mobilita per condannare l’Austria, ma nessuno si scandalizza se in Italia arrivano al potere gli ex comunisti, e nemmeno mostra di preoccuparsene. Ovvero io affermo che ci troviamo in una situazione di schizofrenia morale, in una situazione in cui siamo incapaci di dare nero al nero, bianco al bianco e chiamare le cose col loro nome. E finché noi non riusciremo a operare nei confronti del comunismo lo stesso processo di condanna che è stato attuato e condotto a termine nei confronti del nazismo, noi, lo ribadisco, non potremo mai affermare di avere vinto il comunismo.
Viktor Suvorov Torno all’argomento del mio libro. Molto spesso, dopo averlo letto, la gente mi chiede: “Che bisogno aveva Stalin di conquistarsi l’Europa? Non aveva già terra a sufficienza, che cosa se ne faceva del territorio europeo?” E spesso esprimono, a spiegazione dell’atteggiamento di Stalin, semplicemente che lui era portatore di una mentalità comunista, che la causa era questa. Io ritengo che le cose fossero in realtà molto più semplici. Io credo che tutto sia derivato dal fatto che i gerarchi sovietici si siano resi conto abbastanza in fretta che il regime sovietico non poteva in alcun modo entrare in concorrenza con l’occidente.
Vediamo di immaginarci una situazione in cui, per esempio, io sia un produttore di automobili e ho la fortuna di produrre una macchina come la Ferrari; invece il mio vicino produce delle macchinacce come può essere la Trabant della Germania dell’Est. Quindi, l’unico modo per sopravvivere per colui che produce la Trabant, la macchina di cattiva qualità, è quello di dar fuoco alla ditta che produce le Ferrari oppure di ritirarsi dagli affari e di rinunciare ad essi definitivamente. Facendo fuori una dopo l’altra le varie fabbriche delle Ferrari, delle Lamborghini, delle Alfa, eccetera, la Trabant diventerà necessariamente la migliore produttrice di auto al mondo. Qui forse sta il nocciolo della mentalità comunista: siccome loro sono incapaci di lavorare bene, hanno bisogno per emergere e affermarsi di distruggere tutti coloro che lo fanno bene.
Ruggero Chinaglia Mi pare che questa sera siamo stati testimoni di un avvenimento unico, che merita un’estrema considerazione, testimoni anche di un messaggio che ci invita a riflettere. Le evocazioni e gli spunti di riflessione sono moltissimi. Il libro ne contiene molti; è una proposta assolutamente nuova, fuori dal coro rispetto a ciò che ha determinato la seconda guerra mondiale e la sua importanza sta nelle conseguenze, perché, una volta che crolla la mitologia del debito verso il liberatore, le implicazioni politiche a livello internazionale sono molteplici; è quindi anche in questo senso che questo libro dà un contributo che non si esaurisce solamente con il determinare ciò che è accaduto allora.
Antonia Arslan si chiedeva con incredulità come mai questo libro abbia visto le stampe in Italia con ben 9 anni di ritardo dalla sua stesura. E questa è pure una domanda che fa parte della questione attorno alla mentalità comunista. Non dimentichiamo che le opere di Freud, per esempio, in Italia hanno visto la pubblicazione negli anni ’60: prima c’era un veto da più parti alla loro traduzione, alla loro pubblicazione. Allora la questione che è sorta è una questione culturale, che poi ha anche riverberazioni politiche e che riguarda la vita di ciascuno: come mai c’è una così forte tendenza all’omogeneità, al consolidamento dei luoghi comuni, di un buon senso comune che dev’essere difeso dalla novità?
Ora, anche questo fa parte forse della riflessione attorno a ciò che abbiamo formulato con questo titolo “la mentalità comunista”, ma che non trova le sue radici solamente in una ideologia, bensì in qualcosa di ben più ampio che forse ha consentito a una certa ideologia di attecchire, e non è la conseguenza di un’ideologia. Attorno a questo tema, La mentalità comunista, verrà pubblicato prossimamente un libro, sempre da Spirali, con i contributi di Suvorov e Bukovskij, e i loro interventi che in questi giorni hanno rilasciato a Milano, a Roma, a Padova e nelle varie interviste, che sarà un contributo appunto all’analisi di questa questione, di questa mentalità, attorno a cui ciascuno è invitato a riflettere e a pensare, perché ne va della qualità della vita, ne va proprio della salute.
Qui abbiamo una testimonianza che mi pare preziosa e indicativa: che la ricerca delle questioni, la ricerca delle ragioni della libertà non si esaurisce, non è mai definita una volta per tutte, ma fa parte delle stesse ragioni del vivere e delle ragioni di vita. E di questo credo che noi siamo debitori a Vladimir Bukovskij e a Viktor Suvorov.