Mostra i Tesori della Russia
- Frua De Angeli Cristina, Pisani Giuliano, Rubinsky Jurij
10 ottobre 2003 Inaugurazione della mostra I tesori della Russia. Maestri dell’arte russa 1800 – 1900, a Padova, Palazzo del Monte. Interventi di Giuliano Pisani, assessore alla cultura del Comune di Padova, Jurij Rubinsky, ambasciatore russo all’UNESCO, Ruggero Chinaglia, psicanalista e curatore della mostra, Cristina Frua De Angeli, presidente del Museo della Villa San Carlo Borromeo. Con il patrocinio della Regione del Veneto, del Comune di Padova, della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
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PALAZZO DEL MONTE – PADOVA
Presentazione della mostra I Tesori della Russia Maestri dell’arte russa 1800 – 1900
intervengono
- Ruggero Chinaglia, curatore della mostra
- Giuliano Pisani, assessore alla cultura del Comune di Padova
- Cristina Frua De Angeli, presidente del Museo San Carlo Borromeo e del Museum of second reinassance
Giuliano Pisani Buonasera a tutti e benvenuti all’inaugurazione di questa mostra per noi molto importante, ricca di particolari significati.
Consentitemi anzitutto di dare il benvenuto della nostra città a sua eccellenza Jurij Rubinsky, già ambasciatore all’UNESCO della Russia, a Nikolaj Zdarosnikov, rappresentante del console onorario del console generale russo di Milano, a Alberto Bertoldi, console onorario della Lituania e a Cristina Frua De Angeli, presidentessa del Museo Villa San Carlo Borromeo.
Noi siamo molto grati al Museo Villa San Carlo Borromeo per averci consentito di esporre per la prima volta in Italia – e quindi è una prima volta assoluta – questa straordinaria collezione, che è a sua volta frutto di collezioni private russe.
Siamo nei due secoli dagli inizi del 1800, credo sia del 1814 – mi rivolgo a Ruggero Chinaglia, che è il curatore della mostra – il primo dipinto, in una Russia che, come sapete, si apre alle suggestioni e alla ripresa della pittura europea nel 1700, rispetto a una tradizione che la collegava fondamentalmente alle icone e a un’arte di impronta bizantino-greco-ortodossa, e realizzando poi un percorso che la rende molto più vicina all’occidente di quanto normalmente si possa pensare.
Io sarò molto breve, ve lo dico subito, perché i significati della mostra sono fondamentalmente quelli di presentare questo collezionismo russo e il lavoro di questi artisti russi, ma non solo russi, perché ci sono anche ucraini, bielorussi, lituani, cioè quelle componenti etniche che facevano parte di quello che era l’impero prima degli Zar, per certi aspetti, e poi dell’impero sovietico. Proprio l’impero sovietico, come sapete bene, dopo una prima straordinaria apertura alla credibilità degli artisti, connessa con l’esaltazione dei primi momenti della rivoluzione, causò viceversa un irrigidimento della loro libertà creativa, perché c’era un’arte di Stato, c’era la necessità di avere un’arte che fosse di perfetto supporto ideologico al regime.
Anche i collezionisti e le collezioni, in questo senso, correvano ovviamente gravi pericoli, perché la proprietà privata non era consentita, e quindi detenere il possesso privato di opere d’arte era contro le indicazioni del regime sovietico. Al tempo stesso, gli artisti, per trovare una libertà di espressione, per trovare il sostentamento e una possibilità di continuare a vivere e esistere, dovevano a loro volta incontrare questi benefattori, questi mecenati, che non erano necessariamente i grandi mecenati, ma erano anche semplicemente persone che amavano l’arte, che proteggevano loro stessi dai pericoli e proteggevano gli artisti. In questa sala, per esempio, troviamo un artista importante, Bielutin, un artista che ha anche una sua ascendenza veneta. Suo nonno infatti era bellunese.
Cristina Frua De Angeli Bellucci.
G.P. Si chiamava Bellucci. Era un direttore d’orchestra, mi pare, che si fermò poi in Russia e da lì viene questo suo nipote, Ely Bielutin, che è colui che, credo nel 1961, l’allora presidente sovietico Nikita Krusciov, vedendo uno dei suoi quadri, espulse immediatamente dall’Accademia degli Artisti, perché …
C. F. D. A. Lo squarciò!
G.P. Lo sfregiò, lo squarciò. Sono di quei particolari che, credo, da soli testimoniano, visto che non parliamo degli anni più bui dello stalinismo, ma parliamo del 1961, quanta rigidezza ci fosse allora nei riguardi della libera creazione e della libera creatività artistica.
Ma di tutto questo, io desidererei che parlasse autorevolmente Jurij Rubinsky. Lo ringraziamo ancora per averci onorato con la sua presenza qui a Padova. E ci farà da traduttrice simultanea la signora Zoia, che abbiamo imparato a conoscere e a volere bene – non è neanche difficile vedendola – perché ci ha aiutato nella mostra degli anni ’60 con la sua straordinaria collezione di modelli, che poi abbiamo, se ricordate, anche in parte messo in vendita per beneficenza, e la ringrazio per la sua disponibilità questa sera con noi. Grazie. Do la parola a Jurij Rubinsky.
Jurij Rubinsky Grazie. Onorevoli signori e signore, sono molto contento di partecipare a questa mostra.
Noi siamo a una mostra che rappresenta un grande successo per l’ umanità e che ha un grande significato. Qui sono presentate tantissime opere, che coprono un grande periodo, praticamente tutto il secolo passato. Voi siete testimoni di questa ricchezza di stile e di tecniche che hanno mostrato i pittori russi.
Questi pittori avevano studiato la classica scuola di pittura, in generale preferivano la maniera classica italiana, e hanno fatto anche la pratica in Italia. Quasi tutti i pittori russi classici hanno fatto la scuola anche in Italia. Ma molto presto, essi hanno sviluppato delle proprie maniere di lavoro e uno stile molto particolare. I paesaggi, i ritratti, i quadri in generale qui esposti sono particolari perché sono fatti alla maniera russa. Se anche sono stati realizzati nello stesso periodo in cui lavoravano gli altri pittori europei, nello stesso secolo, però hanno un loro volto, un loro viso.
Per voi c’è la grande possibilità di vedere questi quadri che presentano uno sguardo russo, quadri che hanno un proprio modo di esprimersi e che danno la possibilità di vedere la Russia.
I pittori russi del secolo passato sono dei rivoluzionari, hanno compiuto una rivolta nella cultura, nella pittura, e tutta la mostra si può leggere come un quadro, una rappresentazione di questo stile rivoluzionario di avanguardismo. Questo stile rivoluzionario era famoso dappertutto e lo è ancora, su questa onda di grandi interessi mondiali. Questa era la svolta mondiale estetica.
Purtroppo questa svolta era stata fatta insieme con la rivoluzione politica e ha incontrato tanta resistenza da parte dello stato sovietico e ha sopportato grandi problemi. Quel conflitto tra rivoluzione estetica e rivoluzione politica fu un colpo tragico per la cultura russa. I pittori che sono presentati in questa mostra hanno sopportato grandi problemi con il governo russo e hanno resistito. Questi quadri sono un esempio dell’enorme resistenza dei pittori contro la politica di allora.
Oggi, per la nuova Russia, questa mostra è molto importante, perché adesso noi vogliamo fare vedere che in Russia ci sono tante opinioni, tanti gusti, e che hanno la possibilità di esistere. Oggi, questa mostra è un esempio di collaborazione della nuova Russia, la moderna Russia con l’Italia, e questo evento è come un matrimonio tra i due paesi. Forse l’Italia sarà il primo partner nei contatti tra Europa e Russia, e tra Unione Europea e Russia. Questo è molto giusto per motivi politici, ma è ancora più importante per la cultura.
Anche prima, i Russi si aprivano all’Europa attraverso l’Italia, ma adesso questi rapporti sono ancora importantissimi, perché consentono di prolungare le collaborazioni. Non esiste altro paese così ricco di patrimonio culturale come l’Italia.
Voglio ringraziare per la partecipazione tutti gli organizzatori della mostra e il pubblico. Grazie a tutti quelli che sono intervenuti. Spero che anche voi la pensiate come me.
G.P. Grazie a sua eccellenza per le sue parole, grazie alla traduttrice. I rapporti tra Padova, l’Italia e la Russia sono rapporti storici molto consolidati. Quest’anno è il terzo anniversario della “Notte di San Pietroburgo”. San Pietroburgo è nata soprattutto per l’intervento di grandi architetti e poi di grandi pittori italiani. Quindi questo legame c’era. C’è stato un sequestro vero e proprio della Russia, ma per fortuna è finito. Diamo la parola allora alla direttrice del Museo della Villa San Carlo Borromeo, Cristina Frua De Angeli, ringraziandola intanto per la collaborazione fondamentale che ci ha dato e per la sua presenza qui con noi questa sera.
C.F.D.A. Buonasera amici. Sono felice e anche un po’ commossa per questa serata, innanzitutto perché la mia famiglia viene da queste parti. Ernesto Breda è nato qui vicino. È una famiglia di collezionisti, da sempre. Per altro verso, la prima volta che sono andata in Russia, subito dopo la caduta del muro di Berlino, ho trovato qualcosa dell’Italia e dell’Europa, appena entrata nella prima casa che mi ha accolto, di amici.
Dico questo perché siamo qui a Padova, c’è Giotto e c’è un filo tra Giotto e quello che è avvenuto nella pittura, nell’arte e nella scultura nella Russia degli anni successivi. Dico questo perché, se voi andate a esempio in Siberia, a Omsk, voi respirate l’arte e la cultura rinascimentale, voi respirate addirittura la musica, voi vedete nella più grande biblioteca di Omsk una scritta con «Ristorante italiano». E noi abbiamo chiesto: «Ma chi tiene questo ristorante?», e ci hanno risposto «Aspettiamo un italiano che lo apra»!
Dico questo perché, da quando noi abbiamo iniziato la nostra Fondazione, il Museo, la casa editrice Spirali, questa nostra avventura negli anni ’70, la Russia è sempre stata al centro della nostra attenzione: autori, scrittori, poeti, filosofi tradotti in Italia da noi in tempi in cui questi autori non erano tradotti da nessuno e vivevano in condizioni difficilissime, vivevano e scrivevano in condizioni difficilissime.
Abbiamo pubblicato i più grandi scrittori della Russia, da Jurij Nagibin a Vladimir Maksimov a Aleksandr Zinov’ev, tantissimi… Il nostro catalogo è pieno di nomi russi. È cominciato così questo filo tra l’Italia e la Russia, e è proseguito poi con gli artisti, con gli artisti che, anche loro, lavoravano in condizioni difficilissime. Siamo andati a trovarli nei loro atelier, che chiamare atelier era quasi un eufemismo, dove lavoravano al freddo con poca luce, con pochi colori. E tuttavia uscivano miracoli da questi atelier, da questi lunghi corridoi dove i quadri erano ammassati alle pareti, addossati alle pareti e ciascuno aveva una piccola stanzetta.
Ecco, il nostro amore per la Russia è nato in questi viaggi, dove ci rendevamo conto piano piano della trasformazione che ogni volta interveniva da un viaggio all’altro, da un mese all’altro, addirittura. La prima volta che sono arrivata in Russia, le vetrine dei negozi erano piene di forme di formaggio rosso, e io dicevo: «Ma perché vendono il formaggio olandese a Mosca?» E allora la nostra accompagnatrice ci spiegava che quelli erano di legno, erano formaggi dipinti di rosso, ma erano di legno, perché in realtà non c’era nulla nelle vetrine.
Se voi andate oggi a Mosca o a San Pietroburgo, trovate una città splendida, trovate veramente il secondo rinascimento, trovate le vetrine, i negozi, trovate il restauro dei monumenti, la ricostruzione delle chiese, trovate l’oro sulle cupole, trovare veramente un rinascimento straordinario. Evidentemente c’era nelle persone, c’era in queste case, c’era nella cultura. È uno straordinario amore per la cultura e per l’arte, che si verifica proprio quando le condizioni di vita sono difficili, perché in quelle condizioni l’unico modo per volare e per sognare è appunto l’arte.
E questi collezionisti, che raccoglievano fin nella cucina, fin nei bagni, fin nella toilette queste opere, hanno dato un contributo silenzioso e nascosto, ma straordinario. E allora diciamo: questa idea di fondare un museo e di cominciare a raccogliere in questo museo queste opere, affidate a noi da parte di collezionisti di tutto il mondo, era un modo per scrivere un’altra storia, non quella ufficiale, non quella con la “s” maiuscola, ma una storia che era fatta di tanti sacrifici, di tanti aneddoti, tante storie.
E io ho visto case – museo, ho visto case dove in ogni angolo c’erano oggetti, c’erano opere d’arte raccolte con un amore straordinario, e non c’era quasi da mangiare. Questo vuol dire che le persone non potevano rinunciare a questo lusso, lusso intellettuale, a questo lusso artistico straordinario. Questo ho trovato e trovo io in Russia.
Diciamo che la nostra missione, se volete – perché è di questo che si tratta – è sempre stata quella di fare conoscere, di portare, di far giungere la parola di coloro che questa parola non ce l’avevano, a cui era stata negata in qualche modo, era stata negata col silenzio, era stata negata con le persecuzioni, era stata negata con l’oblio, era stata negata con la dimenticanza, e di farla giungere fino a qui. In particolare, poi, questa felice combinazione con il Comune di Padova, con l’assessorato alla cultura di Padova, che veramente ringrazio tantissimo, perché vedere le opere esposte qui, sembrano addirittura altre opere, perché ciascuna esposizione ha una sua particolarità, per cui le stesse opere assumono una luce nelle combinazioni poi che intervengono tra un autore, tra autori così differenti. E quindi il fatto che sia approdata qui a Padova, mi sembra veramente una bellissima circostanza.
Tutta la vita noi non abbiamo fatto altro che questo, cioè tradurre, tradurre, portare a conoscenza, fare incontrare. In particolare, oggi pomeriggio ho saputo che il presidente Putin dà il suo benvenuto a questa mostra attraverso il nostro grande amico Aleksandr Yakovlev, che appunto gli ha parlato proprio di questa occasione.
E io ritengo che alla base di tutte le relazioni di amicizia e di questo progetto dell’Europa ci sia questo, cioè ci sia la cultura e ci sia l’arte, e poi possa arrivare la politica e l’economia, perché poi è sempre nel parlare con le persone, sempre nella conversazione, nell’incontro e nell’amicizia, nel gesto che incomincia qualcosa e può crescere, istituzionalizzarsi e divenire poi anche un’unione politica.
Quindi io ho tante cose da dire, ma preferisco che adesso voi siate liberi di visitare e di ascoltare queste opere e di pensare per un momento a come sono state fatte, in quali tempi, in quali modi, e di attribuire voi qualcosa a ciascuna opera che vedete.
Io vi ringrazio tantissimo e invito ciascuno a visitare anche il nostro museo permanente alla Villa San Carlo Borromeo di Senago, dove appunto stiamo facendo, con la follia che bisogna avere in questi casi, delle cose straordinarie, cioè una casa russa, un centro di congressi e di formazione, di meeting internazionale, e dove abbiamo per esempio invitato alcuni governatori della Siberia a venire per una grande esposizione di prodotti e di arte e di scambi.
Insomma io ritengo che in questo modo si possa dare, restituire quel famoso granello alla civiltà che ci è stata data, e restituire appunto qualcosa di ciò che abbiamo avuto, e anche forse in più. Quindi, vi ringrazio e a presto.
G.P. Ringrazio Cristina Frua De Angeli per questo meraviglioso intervento. Abbiamo avuto il pensiero che l’arte, la creatività in genere, altro che sovrastruttura come veniva definita, è un’esigenza irrinunciabile della persona umana, lo sappiamo bene, lo capiamo benissimo. Allora do la parola al curatore della mostra, Ruggero Chinaglia, che ci tratterrà da par suo, con la brevità e con la sintesi che gli è propria, su alcune delle figure di artisti che qui sono presenti.
Ruggero Chinaglia Grazie a ciascuno. Questa mostra è veramente una bella circostanza. È l’occasione di una restituzione, sia dei trent’anni di lavoro del Movimento cifrematico internazionale in direzione dell’esperienza culturale oggi nota nell’intero pianeta come Secondo rinascimento, sia la restituzione che gli autori di queste opere compiono rispetto al rinascimento italiano e europeo, che a un certo punto è giunto in Russia e ha travolto l’impostazione bizantina dell’arte in Russia.
Esso viene restituito con il suo messaggio che è anche messaggio cattolico. L’arte del rinascimento che viene restituita da queste opere rilascia anche il messaggio cattolico, che è messaggio di libertà, d’integrazione fra le cose: ciascuna opera dice di qualcosa che integra l’arte dell’autore alla Russia e all’Europa e non esclude nulla.
Come criterio espositivo della mostra, abbiamo adottato proprio l’integrazione. Pur essendo le opere molto numerose, e avrebbero potuto esserlo ancora di più, abbiamo optato non già per un criterio di selezione, ma per un criterio di integrazione.
Nessuna opera è stata esclusa dalla collezione in cui era. Qui non vale il criterio museale di esporre la più bella, perché non sono opere che vengono da musei, ma sono opere che, com’è stato ampiamente rilevato, vengono dalle case dei collezionisti, quindi vengono da collezioni private.
In una collezione può esserci l’opera più bella, quella meno bella, ma ciascuna opera integra la collezione, cioè dà valore alla collezione. Se noi ne togliamo anche solo una col pretesto che è meno bella, in realtà noi svalutiamo la collezione, perché la collezione trae il valore dal complesso delle opere, e quindi non c’è opera che possa essere tolta o che possa valere meno, perché il valore è un valore aggiunto, che poi viene anche dalla lettura che riceve l’opera e la collezione nel suo complesso, dal visitatore.
Quindi, anche nel modo espositivo c’è un ritmo narrativo delle opere, che è narrazione dell’opera che viene esposta, narrazione dell’autore che ha prodotto l’opera, narrazione dell’epoca, delle vicende.
Qui il visitatore, veramente può passare giorni e giorni, perché ciascun autore narra delle vicende, narra qualcosa della Russia, delle sue vicende personali, della famiglia, di come ha attraversato con la sua arte, con la sua particolarità cose che venivano da altrove.
Qui troviamo influenze dell’arte europea dell”800, del ‘900, di vari movimenti, dal futurismo al cubismo, dall’astrattismo al suprematismo che sono stati attraversati e integrati da ciascuno, e restituiti con particolarità proprie a ciascuno. Noi possiamo notare che ci sono influenze impressioniste, cubiste e altre ancora, ma c’è la particolarità da cogliere.
Non si tratta di visitare la mostra con il criterio dell’analogia, per cogliere le somiglianze e le influenze, ma di cogliere la particolarità e il messaggio che ciascun artista dà con la sua opera. E questa è una delle funzioni della mostra: indurre il visitatore a uno sforzo d’intelligenza, per capire cosa ciascuna opera propone, senza respingere nulla. Può risultare anche difficile, ma è sicuramente un’occasione di ricerca.
Sono esposte opere di autori molto famosi, sia dell”800, da Shishkin a Platonov a Levitan, di veri e propri maestri dell’arte russa ottocentesca, e altri del ‘900. Una sala è dedicata a Malevich, Tatlin e Lebedev, che sono i principali esponenti della trasformazione dell’arte dei primi anni del ‘900. Abbiamo anche Rudakov, e poi le sale, verso quest’ultima, con autori più recenti, che sono testimoni molto intensi delle traversie dell’ultimo secolo in Russia, in particolare dagli anni ’30 in poi, quando a un certo punto l’arte libera è stata impedita.
Questa sfilata di autori, che procede da Lazykin a Antipov, a Christolubov, a Elena Gurwic, a Josif Gurwic e altri, culmina con le opere di Ely Bielutin, il cui caso è stato già in breve introdotto dall’assessore Giuliano Pisani, ma che è un caso straordinario proprio perché combina la questione dell’Italia e della Russia in una maniera irripetibile.
Il nonno era di Belluno, Stefano Bellucci. Ely viene dalla Russia. Nel periodo in cui è stato in Italia, dieci anni fa, e ha prodotto molte opere, a un certo punto le ha firmate con il nome del nonno. C’è questa ripresa dell’originario, della tradizione che veniva dal nonno artista, direttore d’orchestra e che è ritornata anche con l’impiego della firma. Per cui non si firma più Bielutin, si firma Bellucci.
E Bielutin è anche l’intersezione tra l’artista e il collezionista, perché a sua volta è collezionista, come altri artisti qui rappresentati, perché – torno a ricordare – uno dei valori di questa mostra è che contiene opere di alcune collezioni private.
Il collezionismo era difficilissimo, chiaramente. Il rischio del collezionista era di vedersi rubare le opere, di vedersi sequestrare i beni, di vedersi arrestare e anche condannare a morte in certi periodi del regime. Quindi il collezionista, qui, giunge come intellettuale, sicuramente, ma anche come dissidente, un dissidente, se vogliamo, non proprio appariscente, ma che sicuramente ha contribuito alla trasformazione, oltre che culturale, anche sociale della Russia.
Qui troviamo una combinazione che mi pare straordinaria tra il primo e il secondo rinascimento. Queste opere vengono sicuramente dal rinascimento italiano e europeo e vanno verso il secondo rinascimento, cioè il progetto culturale di integrazione delle cose, dell’arte, della scienza, della cultura, progetto che festeggia quest’anno il trentennale.
E direi che lo festeggia in una maniera mirabile oggi, qui a Padova, con questa mostra, resa possibile dal Comune di Padova. Rinnovo il ringraziamento all’assessore Pisani per la sua fattiva collaborazione, per avere accolto la proposta e per esserne diventato fautore e realizzatore. Grazie.
G.P. Prima di chiudere, vorrei ricordare che tra quaranta giorni noi apriremo una mostra dedicata alla storia del Gulag, in Galleria Civica, e avremo poi per i due mesi successivi questa concomitanza tra l’espressione artistica della Russia e il periodo più tremendo che la Russia ha vissuto negli anni recenti.
Bene. Allora, prima di congedarmi e di congedarvi vi ricordo che ci sono vari avvenimenti collegati, di cui vi sarei grato se prendeste notizia anche dai giornali, perché non riusciamo a raggiungere poi tutti, e che già cominciano il 16 ottobre, con la presenza di Nadine Shenkar. Poi avremo Sylvano Bussotti il 31 ottobre, che c’intratterrà sul tema del rapporto tra la musica russa, la musica in genere e la musica in dialogo con la pittura, quindi con l’espressione visiva, e così via.
Ma, prima di congedarci, consentitemi solo un momento per dare dei piccoli riconoscimenti della città alle persone che autorevolmente hanno desiderato di essere qui con noi.