Il giornalismo, la satira, la politica
- Cerruti Maurizio, Chinaglia Ruggero, Coltro Paolo, Guarini Ruggero, Rigoni Mario Andrea
5 novembre 2009 Presentazione del libro Fisimario 2008. Lettere immaginarie, di Ruggero Guarini, edito da Spirali, nella Sala Degli Anziani di Palazzo Moroni, a Padova, con il Patrocinio del Comune di Padova, con interventi dell’autore e di Maurizio Cerruti, giornalista de “Il Gazzettino”, Ruggero Chinaglia, editore, Paolo Coltro, giornalista de “Il Mattino di Padova”, Mario Andrea Rigoni, docente di storia della critica letteraria dell’università di Padova.
RUGGERO GUARINI
Il giornalismo, la satira, la politica
intervengono
- Maurizio Cerruti, giornalista
- Ruggero Chinaglia, editore
- Paolo Coltro, giornalista
- Mario Andrea Rigoni, docente universitario
Ruggero Chinaglia Buonasera a ciascuno di voi che ringrazio di essere venuto qui per partecipare a questa serata in onore di Ruggero Guarini. Questo incontro si situa nella serie dei Dibattiti della modernità che ciascuna settimana avvengono alla sala Polivalente di Via S. Maria Assunta, sul tema La letteratura, l’amore, il piacere in cui testimoniamo la lettura di testi della letteratura italiana e straniera nei termini della clinica della parola. Di quando in quando accogliamo qualche ospite che per la sua opera si segnala dando occasione di dibattito.
Questa sera è il caso di Ruggero Guarini, giornalista, scrittore, che da oltre 50 anni è protagonista della scena culturale e che ci fornisce l’occasione con il suo ultimo libro Fisimario 2008. Lettere immaginarie. Un libro che raccoglie una serie di articoli scritti quotidianamente da Ruggero Guarini attorno a curiosità , fatti, questioni che sono proposti dalle vicende italiane e internazionali e attorno a cui scrive in termini mirabili.
Questo testo si segnala sia per l’arguzia, l’acutezza e il giudizio, per la pacatezza del tono e per la qualità della scrittura; quindi combina lo stile letterario, la qualità della scrittura assieme all’arguzia e alla qualità giornalistica. Questo per noi è motivo di grande interesse, soprattutto constatando come sia raro nel dibattito giornalistico, mediatico, politico, trovare una pacatezza di tono, una qualità di giudizio e un modo dell’argomentazione che lascia riflettere chi ascolta. E questo è uno dei motivi per cui proponiamo la lettura di questo libro.
Il libro che presentiamo questa sera è il seguito di un altro pubblicato in precedenza, sempre edito da Spirali, Fisimario napoletano, uscito un anno prima. Accanto a questi libri segnalo alcune delle novità editoriali che potete trovare in questi giorni in libreria; uno è Scrittori, artisti di Armando Verdiglione, libro che contiene le interviste  di Armando Verdiglione a scrittori e artisti nel corso del suo itinerario; un altro è Tempo di morire. Ricordi, riflessioni, aneddoti, di Krysztof Zanussi. Krysztof Zanussi è polacco, regista molto famoso e importante, noto anche al pubblico italiano perché con una sua opera ha vinto il Leone d’Oro a Venezia nel 1984 ed è il film che s’intitola L’anno del sole nero. I cultori della cinematografia sicuramente lo ricordano. Per ultimo vi segnalo questo libro molto, molto interessante di Thomas Szasz, La mia follia mi ha salvato. La follia e il matrimonio di Virginia Woolf , con l’elaborazione che Thomas Szasz, psicanalista americano, compie attorno alla vicenda di Virginia Woolf, vicenda di cui molti hanno scritto e su cui ci sono state opere cinematografiche.
Cominciamo questo nostro incontro che ha per titolo Il giornalismo, la satira, la politica e che combina il libro con le questioni che narra. Per un primo cenno attorno all’opera di cui stiamo parlando questa sera, abbiamo qui con noi Mario Andrea Rigoni scrittore, docente di storia della critica letteraria dell’università di Padova, Maurizio Cerruti giornalista de “Il Gazzettino” e Paolo Coltro, responsabile della pagina culturale de “Il Mattino di Padova”, oltre ovviamente a Ruggero Guarini che è protagonista dell’incontro. La parola allora a Mario Andrea Rigoni per introdurre la serata.
Mario Andrea Rigoni Le lettere immaginarie sono un genere variamente praticato nella storia letteraria dalle Eroidi di Ovidio fino al romanzo e al saggio novecentesco. Un genere affine nato di recente, che ha avuto fortuna qualche decennio fa in Italia, è quello delle interviste immaginarie; famose sono quelle di Giorgio Manganelli. Le lettere immaginarie di Guarini, nate dalla rubrica che egli cura per l’agenzia Il Velino, arieggiano qualche elemento di questa tradizione, ma rinnovano e arricchiscono la formula mettendo in contatto figure storiche o letterarie o mitologiche o anche, frequentemente, entità o concetti personificati con figure, temi e questioni, della più stretta e giornaliera attualità .
La lettura dell’indice del libro può generare un divertito sgomento. Se certe lettere lasciano intuire fin dal titolo qualche legame con i personaggi in gioco come Talete e Massimo Cacciari o Karl Marx e Toni Negri, che relazione vi può essere invece tra Giulio Cesare e Gianfranco Fini, tra Adolf Hitler e Carla Bruni, tra Albert Camus e Mariastella Gelmini? È chiaro che, sia pur da una angolatura speciale e limitata, un nesso preciso esiste come qualsiasi lettore può rendersi conto. Nell’ultimo dei casi citati Guarini scova la lettera di Albert Camus con la quale lo scrittore, appena insignito del premio Nobel nel 1957, rivolge il suo pensiero più affettuoso e riconoscente al suo maestro della scuola elementare. La lettera diventa così una occasione, un argomento per elogiare il ministro Gelmini che aveva rilanciato il principio del maestro unico stoltamente rifiutato dalle lodi dei pedagogisti progressisti. Analogamente nella lettera di Giulio Cesare a Gianfranco Fini, una battuta di Fini sul presunto cesarismo di Berlusconi insinua nel dittatore romano il sospetto che Fini sogni di fare al cavaliere quello che Bruto fece a lui con una serie di ulteriori misfatti.
Ma è chiaro, anche da questi pochi esempi, che occorre un prodigioso talento e anche ingegno concertistico, non estraneo al carattere intellettuale napoletano di Guarini, per esibirsi in tali esercizi che alla lunga nel loro insieme possono anche dare un certo senso di vertigine. Mi è già capitato di osservare in Guarini forse quel brillante erede attuale di quel gusto manierista e barocco del concetto ossia della metafora arguta che consisteva appunto nell’accostare soggetti molto lontano tra loro, ma uniti più o meno da una ardita somiglianza. Con un misto di under step e di auto ironia Guarini ha intitolato la sua raccolta Fisimario, impiegando una parola che non è registrata nel dizionario del Battaglia ma che significa chiaramente raccolta di fisime ossia di capricci, ghiribizzi, manie. Tutti questi scritti hanno poco di umorale e niente di gratuito.
Sarebbe anzi un errore clamoroso pensare che Guarini si sia dedicato semplicemente a un gioco elegante e ardito. Non è nella sua natura, nel suo stile, nei suoi intenti, benché vi spieghi in questo, come negli altri suoi libri, quella prodigiosa abilità retorica che costituisce una delle sue doti più evidenti e più costanti. Oltre una cultura e una informazione inusitata, da cui si trae sempre qualche profitto, tale retorica s’accoppia a una logica stringente e a una lucidità essenziale e a una polemica e una satira implacabile. Il vivere fisimario degli incontri immaginari è appena la cornice di una vera e propria ordalia alla quale Guarini sottopone i fatti, le questioni, gli episodi e i personaggi della attualità . Dietro l’erraticità divertita del discorso si cela sempre la fermezza e anche la durezza di un preciso giudizio politico, morale e estetico che ama rovesciare le posizioni acquisite e battere in breccia i luoghi comuni dell’opinione corrente.
Nella lettera del re Nasone al ministro Bondi, Guarini trae spunto dal progetto governativo di creare un museo borbonico all’interno della reggia di Caserta per riabilitare la fama dei lazzaroni e la rivoluzione napoletana del 1899 che considera come i primi partigiani della storia europea, prendendosi il lusso di integrare e di correggere l’analisi di Adam Schmitt che, nel suo celebre libro Teoria del partigiano, vedeva invece come i primi partigiani i resistenti spagnoli all’invasione napoleonica nel 1812. Ancora. Nella lettera di Al Capone a Franco Piperno si riflette che il terrorista, ma in fondo il rivoluzionario in genere, è un personaggio assai meno simpatico del gangster perché nel caso di quest’ultimo, infamie e criminali sono soltanto i mezzi impiegati per raggiungere i suoi fini, nel caso del primo criminali e infamie sono i fini e il bene. Talvolta Guarini ricorda il paradosso provocatorio in quanto illuminante nella lettera di Ferruccio Parri a Giampaolo Pansa. Attribuisce a Parri la convinzione postuma che il fattore decisivo della caduta del fascismo e la liberazione d’Italia non sia stata tanto la celebrata resistenza quanto l’intervento delle armate angloamericane.
Nella lettera di Benedetto Croce ai laici di oggi si immagina che il filosofo si penta di non essere andato in Senato quel giorno del dicembre del 1938 in cui furono varate le famose leggi antiebraiche con la giustificazione che quel voto era una farsa quando invece, dice Guarini, quel gesto benché solitario e vano, anzi forse proprio perché tale, avrebbe avuto una grande importanza simbolica, nonché, data la fama indiscussa di massimo filosofo italiano che Croce aveva, una grande eco in tutto il mondo. In causa venium, la lettera si conclude con un invito di Croce ai laici e ai liberali, suoi ideali discepoli, a meditare sui limiti del magistero di un pensatore che fu considerato un massimo esponente della cultura laica e liberale italiana.
In altre lettere Guarini descrive un raro acume psicologico. Si vede la sua straordinaria interpretazione nel rapporto che dovrebbe esserci tra Sofri e Marino nella vicenda dell’assassinio del commissario Calabresi, alla quale egli sovrappone in maniera quanto mai persuasiva, la stessa relazione che intercorre tra Ivan e Smerdiakov nei fratelli Karamazov di Dostoevskij.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare a volontà su occasioni e temi sempre diversi che fanno di questo libro, come nel precedente Fisimario napoletano, una vera miniera di idee e di argomenti, fermo restando che il suo pregio maggiore sia un costante, disinteressato e acuminato esercizio dell’autonomia del pensiero e della critica. Tutto questo vale naturalmente anche nei casi in cui la posizione dell’autore non debba strappare una nostra totale adesione. Ho detto che fra le doti di Guarini figurano la cultura enciclopedica, l’agilità poligrafica, il talento arguto, il vigore polemico, il gusto satirico; aggiungerò in conclusione che in virtù di questi doni egli assomiglia a un mirabile scrittore ellenistico del 2° secolo dopo Cristo che oggi è assai poco letto ma che certamente egli conosce e ama: Luciano da Samosata. Guarini è un Luciano moderno, è il nostro Luciano. Sono sicuro o quasi sicuro che questo accostamento non gli dispiacerà per niente.
Ruggero Chinaglia Ringrazio Mario Andrea Rigoni che ci ha introdotto nel contesto e nel materiale del libro, in particolare mettendo in evidenza uno degli aspetti importanti di questo successo: la combinazione, l’abbinamento tra il mittente e il destinatario delle lettere che può sembrare casuale e anche talvolta del tutto immaginifico, ma che invece è da capire; e già capire il perché di questo abbinamento è un modo di apprezzare il libro, oltre il fatto che nelle combinazioni, soprattutto nelle combinazioni più argute in cui i luoghi comuni vengono solitamente scardinati, risalta quello che Rigoni ha messo in evidenza: la cultura assolutamente vastissima di Guarini che riesce a scovare saggi, pamphlet, opere di scrittori anche notissimi, ma che sono invece opere poco lette, da cui risalta quella piega per cui questi autori non possono essere più impiegati in modo di bandiera, in modo di elemento di schieramento, ma anzi sono quelle opere e quegli autori che consentono una lettura differente di ciò che accade; e qui si tratta veramente di un aspetto molto importante sia per il giornalismo e sia per la scrittura; e ringrazio Rigoni per il suo intervento e invito al suo, Paolo Coltro che ringrazio per essere qui questa sera.
Paolo Coltro Comincerei dal primo dei tre punti di cui a tema, cioè dal giornalismo. Per noi che abbiamo da un pochino passati i 50 anni questo libro veramente ha fatto ricordare i tempi ruggenti, i tempi dell’idealismo della professione quando cercavamo e trovavamo con i maestri, e li cercavamo per le loro qualità , diciamo così, oggettive. Non li conoscevamo personalmente, leggevamo quello che scrivevano. Sfogliando questo libro ho avuto la stessa identica, nettissima sensazione di leggere qualcosa che a suo tempo mi sarebbe sembrato magistrale. Lo è anche oggi, ma gli anni sono passati. Io mi ricordo i nomi di allora: i Biagi, i Montanelli, i Pansa allora nella loro piena maturità , che suppongo questo fosse un sentimento condiviso a noi giovani apprendisti della professione; e giudicavano questi giornalisti di successo per la loro bravura, la quale era quasi sempre identificata, almeno in un primo momento, con la scrittura, lo stile di scrittura. Fisimario ne è un esempio complesso, completo e comunque eclatante.
Scrittura non più di moda, scrittura di intelligenza, ed è già stato detto, scrittura di cui ci si può innamorare; anche perché non fine a se stessa ma supporto fisico di un qualche ragionamento, espressione di un pensiero, come poi dovrebbe essere. Però, giornalismo. Guarini ha la sua esperienza e anche la sua età . Ha vissuto in una epoca in cui il giornalismo poteva anche essere così e ha continuato per lui ad esserlo. Questo è un giornalismo che, come dire, è la forma più alta, più pura (poi vediamo cosa vuol dire pura) perché è il commento, la speculazione (nel senso più buono del termine), la riflessione. Se poi ci aggiungete l’arguzia, l’ironia, la volontà di fare anche satira, di prendere in giro, ecc. avete anche un di più.
Ma non è il giornalismo di ricerca, diciamo così. E’ un giornalismo talmente diverso da quello corrente che questo è una forma nobile di giornalismo, che pochi possono praticare e per fortuna che Guarini la pratica in modo appunto magistrale. Quindi da un punto di vista squisitamente, se mi passate il termine, tecnico professionale (non mi piace ma per capirci) è un bellissimo esempio da cui, come da quasi tutte le cose, c’è molto da imparare, che si ammira proprio dagli addetti ai lavori; è un piacere da un punto di vista tecnico professionale. Ci si diverte anche ad immaginare la mente che lavora di Ruggero Guarini perché non tutti coloro che si mettono a battere sui tasti di una macchina per scrivere, di un computer o prendere una penna in mano riescono, a monte e prima, ad avere gli stessi percorsi intellettuali che ha lui, che sono anche piacevoli.
Non sono condivisibili, ma questo interessa meno. Da parte mia, per esempio, non sono condivisibili gran parte, ma questo interessa meno perché mi interessa di più il percorso. Io ho letto in gran parte questo libro, non ogni riga, e ho detto e ho pensato: grande esempio, bello il libro, mi interessa l’uomo, mi interessa l’uomo che lo ha scritto per capire, anche la sua storia (penso che dopo se lui vorrà ce l’ha racconterà ); e che è la storia di un passato, di un cambiamento, di una diversità , chiamiamola pure di una appartenenza, oppure di un ragionamento anche politico. Questo sorprende, per cui io, tenendomi qualcosa da dire dopo, mi fermo qui, dicendo che da un punto di vista se volete chiamatelo letterario, appunto di apprezzamento, del modo di essere di questo libro, della sua forma e di quello che fa capire dell’intelligenza dell’uomo è un libro stupendo.
Chiuso il libro a me personalmente resta una domanda: ma perché quest’uomo così intelligente pensa solo ed esclusivamente queste cose. La frase di Mario Andrea Rigoni, “i luoghi comuni dell’opinione corrente”, si può ribaltare anche in una accusa. Io qui li ho trovati espressi in modo mirabile e con procedimenti intelligenti, ma alla fine ho trovato risultati finali che assomigliano molto ai luoghi comuni di una certa parte politica, la destra. Si deve dire chiaramente che è così, penso; e d’altra parte ognuno si può fare un’idea. L’altra cosa stupefacente che mi fa simpatia se volete, perché bisogna pure essere aperti a tutto, è che c’è dell’intelligenza, non tanto per me personalmente nelle posizioni, ma nel modo di spiegarle, raccontarle, ecc. e quindi un piccolo punto di domanda, perché secondo me è strano, inconsueto che certi concetti non particolarmente raffinati vengano fatti propri da un uomo come Guarini, che sicuramente è un uomo di una raffinatezza assoluta. Grazie.
Ruggero Chinaglia Ringrazio Paolo Coltro per questo intervento che pone delle questioni al dibattito in modo mirabile, magistrale e che attraverso la forma dell’elogio lascia intendere che c’è una lettura che ha esplorato vari angoli del libro, e che quindi ha apprezzato e anche non apprezzato il libro, però coglie una questione importante che è quella del modo.
Non è una questione di sostanza la scrittura, le idee non sono una questione di sostanza, ma ciò che conta è il modo con cui qualcosa viene proposto, non per essere imposto ma per lasciare riflettere, ragionare il lettore. Questo mi pare un aspetto significativo che Paolo Coltro ha colto e che propone come virtù di questo libro; e altre cose ce le dirà in seguito e quindi attendiamo il momento di ascoltarne altre. Adesso invito al suo intervento Maurizio Cerruti, che è responsabile degli affari esteri del Gazzettino.
Maurizio Cerruti Molte grazie. Sarò brevissimo perché sono ansioso di sentire l’attore, di dirci la sua dopo questi nostri commenti. Io mi aggancio proprio a quello che diceva Paolo Coltro a proposito del giornalismo vecchio stampo, antico. Leggendo un po’ c’è un po’ di rimpianto anche nelle sue parole, mi pare. Io perlomeno ce l’ho il rimpianto di un certo tipo di giornalismo, forse meno urlato di oggi, forse meno all’inseguimento della notizia clamorosa, della notizia scandalistica, della notizia che fa effetto per cui c’è l’estate in cui tutti rottweiler parlano di tutti i bambini d’Italia, poi arriva l’autunno e non se ne parla più; oppure dell’influenza che sta facendo stragi di italiani, mentre poi se si guardano le statistiche i morti di influenza sono forse meno di quelli dell’anno scorso.
Direi che su questo trovo assolutamente un’idea di rimpianto per un giornalismo un po’ più riflessivo, magari anche “fazioso” cioè di parte, di un giornalismo che prende posizione, ma che va in profondità . Il limite purtroppo della nostra società è quello di cercare di seguire un po’ le tendenze del grande pubblico e questo va ovviamente va a scapito degli approfondimenti, va a scapito anche di quella un tempo era chiamata cultura. Leggere appunto il libro di Guarini, mi chiedo quanti lettori, quanti telespettatori sono in grado di sapere chi era Nietzche o chi era, per dire, Matilde Serao; evidentemente solo una minoranza e questo è veramente un peccato. In questo purtroppo dobbiamo dire che abbiamo la nostra parte di responsabilità come operatori professionisti dell’informazione.
Ovviamente una responsabilità che condividiamo con tanti altri perché non siamo noi gli altri assoluti: nei meccanismi di formazione ci sono tutta una serie di altri personaggi, persone, gruppi che interagiscono, ma il risultato è che il prodotto informazione oggi è sempre più superficiale, è sempre meno interessante per chi vuole andare a fondo delle cose. E direi sicuramente che questo tipo di giornalismo, di scrittura giornalistica, questa forma che è letteratura ma è anche giornalismo di cui appunto Guarini è uno degli ultimi, se vogliamo, interpreti, direi che se ne sente decisamente la mancanza, come si sente la mancanza di una satira che non sia esclusivamente finalizzata a raggiungere l’obiettivo delle prossime elezioni per conquistare un seggio in più o convincere qualche elettore in più.
La satira dovrebbe essere una cosa leggera, che vola sopra le cose, che guarda con grande distacco, che ha soprattutto un senso di umanità nei confronti di chi viene bersagliato dalla satira stessa cioè non si deve mai infierire. Io quando sento dire che i monologhi di Luciana Littizetto sono satira rabbrividisco, insomma. Secondo me non sono satira, perlomeno non sono la satira come la intendo io. Ci vorrebbe più cultura, ecco, ci vorrebbe anche più educazione probabilmente, una forma più gentile più rispettosa per affrontare certi argomenti, ma direi che in questo, scendendo nella scala, arriviamo al terzo punto: giornalismo, satira, politica.
Anche la politica oggi ha perso i suoi punti di riferimento che un tempo c’erano e sta scadendo sempre di più in una rissa in cui non si risparmiano colpi agli avversari in cui è venuta meno anche la finalità delle cose: il far bene per il paese e la collettività e quindi anche quando qualcuno fa bene viene attaccato, magari solamente perché ha fatto un passo falso. Tutte cose che evidentemente stonano con questo libro, con il messaggio che secondo me questo libro vuole dare, che pur nella sua partigianeria cioè con il fatto che si è sicuramente schierato a destra e Guarini ha le sue idee ben precise, però in ogni caso secondo me rispetta l’interlocutore; quindi stabilisce un rapporto assolutamente corretto con chi è oggetto della sua satira. Io mi fermerei qui.
Ruggero Chinaglia Ringrazio Maurizio Cerruti che ha dato un contributo al dibattito e anche al libro indicando questi suoi meriti: il distacco, l’ironia, la leggerezza, la pacatezza, il tono che consente, leggendo, di ascoltare, anche senza dover obbligatoriamente condividere ciò che sta scritto. Cogliere in ciò che sta scritto un invito a ragionare è qualcosa di prezioso, qualcosa che invece nel dibattito mediatico sicuramente non avviene in quanto viene impedito proprio l’ascolto e il tempo del ragionamento. È un’altra virtù preziosa, ma per aggiungere altre cose ascoltiamo adesso Ruggero Guarini. Prego.
Ruggero Guarini Io pensavo che avrei dovuto arrossire a causa dell’intervento di Mario Rigoni che conoscevo già in parte. Lui è un fan assolutamente fuori di misura. Dice delle cose che mi fanno, mi procurano veramente un serio imbarazzo. Qualche volta ho addirittura la vaga sensazione che siano assolutamente schietti e sinceri questi elogi sperticati; invece anche con gli altri amici che hanno parlato di me, mi hanno un po’ così messo in una posizione imbarazzante che è quella di dire: ma è possibile che un libro nato in circostanze così semplici, diciamo terra a terra – dalla più banale delle pratiche giornalistiche, che è quella di una rivista di un’agenzia di commentare dei fatti del giorno così in maniera del tutto spontanea – mi viene l’idea che forse per dare un’angolazione un po’ diversa dal solito, appena appena personale, avrei potuto utilizzare questo escamotage? Cioè di attribuire le mie idee a qualche illustre defunto per esprimere attraverso la voce, appunto di qualche illustre defunto, venga presa con tanta sincera, amichevole, affettuosa e anche a tratti ammirata attenzione? Anche da lettori con un orientamento non dico ideologico, un orientamento letterario diverso dal mio perché le riserve su alcuni aspetti del contenuto di questo libro, da parte di Coltro, non riguardino non tanto l’aspetto ideologico, quanto proprio la natura, il carattere?
Tutti hanno per esempio parlato, soprattutto Chinaglia, del tono gentile, colloquiale, insomma, diciamo così amabile, non rissoso, non settario. Io su questo non sono molto d’accordo, Chinaglia. Il movente di tutti questi pizzulli è un disprezzo assoluto per alcuni dei bersagli a cui mi rivolgo e adotto una forma soft proprio per accentuare l’assoluta estraneità della mia forma mentis da quella degli autori del discorso opinionistico corrente. Io sono animato da un furioso ( omissis ) spero che venga fuori, non per le persone naturalmente. Io sono un po’, come dire, come dicono gli ultimi papi: contro gli errori, non contro gli erranti. Degli erranti che incarnano protezioni ideali, che io disprezzo, ho una cristiana misericordia.
Qualche altro punto su cui vorrei soffermarmi. Ascoltando gli interventi che mi hanno presentato, mi sono chiesto: ma insomma, quale è la fisima principale che attraversa questi scritti? Che vanno, che attraversano numerosi argomenti e il fatto che si parli di tanti argomenti è dovuto al fatto che io tutte le mattine penso, sfogliando i giornali, che sciocchezze scriverò oggi? Nasce così insomma; e allora, siccome lo spunto lo prendo giornalisticamente dai giornali e dalla televisione, gli argomenti sono tanti; e allora dico: qual è la fisima o l’idea fissa ricorrente o più ricorrente o più presente in questi scritti?
Ho la vaga sensazione alla fine che la fisima ricorrente sia un certo disprezzo per la storia. Io vedo che in quasi tutti gli interventi affiora l’idea che sulle cose e i problemi fondamentali della nostra esistenza, quella che un tempo nel linguaggio cattolico venivano chiamati nobilissimi: la vita, la morte, la verità , la bellezza, ecc. non ci sia nessun progresso. Faccio un esempio su una letterina che mi è capitato di scrivere di recente cioè la divaricazione, l’abisso che si apre tra l’autore e il bersaglio; è enorme. In una letterina di Pericle ai bacchettoni di oggi che rompono le scatole ai potenti sulla loro vita sessuale, privata, ecc., che c’entra Pericle?
C’entra nel senso che nel discorso attribuitogli da Tucidide nella storia Guerra del Peloponneso, nel famoso discorso di Pericle che fa un elogio della civiltà , ci sono tre righe, dove in quindici parole non di più, si affronta e si risolve per tutta l’eternità il problema del rapporto tra pubblico e privato. Dice: per quanto riguarda i nostri costumi privati non ci offendiamo mai del fatto che il nostro vicino nelle sue abitudini quotidiane, oggi diremo con un termine orrendo nella sua quotidianità , fa quel che vuole e si comporti e faccia le cose che preferisce. E’ un modo dire: fatevi i letti vostri!
E tutto ciò che in genere fa scattare in me il primo impulso è quando mi rendo conto che nel piccolo archivio della mia memorietta culturale riesco a scovare un elemento che mi permette nella maniera più concisa di comunicare al lettore: vedi quanto fa ridere la storia. Sono passati 2500 anni da quando Pericle aveva risolto questo problema dal punto di vista di uno stato democratico in una maniera che tutti noi, in prima pace, siamo portati ad approvare, però siamo ancora a sprecare fiumi di inchiostro, di carta e anche di pellicola televisiva per discutere se è giusto o ingiusto introdurre nella lotta politica l’elemento sessuale. In genere ho notato lo scarto che c’è.
Faccio un altro esempio: quante volte avete letto negli ultimi tempi: Oh! ma questa deriva bacchettona! Quando mai la sinistra si è occupata delle mutande degli avversari? Che deriva tremenda. Non è vero niente, non c’è nessuna deriva, hanno sempre fatto questo. Cinquanta anni fa la lotta politica italiana è stata contraddistinta da un fatto memorabile: il caso Wilma Montesi durante il quale accade che il democristiano, il cattolico di sinistra Fanfani e il comunista di sinistra Ingrao si alleassero insieme per tentare di far fuori un degasperiano come Attilio Piccioni. In che modo?
Con l’arma del ricatto, del processo e della gogna mediatico-giudiziario sulle abitudini private; e del figlio di Piccioni, che fu rovinato lui, fu rovinato il padre per una vaga accusa addirittura di assassinio. Montesi morì per ragioni che niente avevano a che fare con Piero Piccioni. Questo è accaduto circa 60 anni fa, è lo stesso stile di oggi, quindi si potrebbe anche dire che in questa mia rubrichetta mi sforzo ogni tanto, più spesso possibile, di mortificare la nostra smemoratezza storica. Mai come da quando ci si rompe l’anima un giorno si e l’altro pure sulla necessità della memoria storica, ci si è dimostrati totalmente, storicamente smemorati. Mai.
Un’ultima cosa: che cosa ho imparato dal giornalismo? Io devo dire una cosa: da ragazzo non avevo nessuna vocazione giornalistica. Ho incominciato a farlo nel 1952, avevo 21 anni, ma non è una vocazione che ho scelto, è un mestiere che mi sono sforzato di imparare per il quale sono stato scelto. Io ero un giovane militante comunista, mi ero segnalato nella vita politica napoletana per alcuni presunti meriti tra i quali un paio di arresti per manifestazioni antiamericane contro il generale Redwei e il generale Festi. Fui chiamato, e mi fu assegnato un compito, quello di aprire insieme al mio ex vecchio, caro amico Fausto de Luca, una redazione napoletana di “Paese Sera” come premio per questa mia eroica vita di militante; quindi l’ho fatto non come una scelta professionale, una vocazione.
Devo dire che in realtà i giornali allora non li leggevo e devo aggiungere anche, dalle grandi star del giornalismo del tempo non ho imparato proprio nulla; e poco mi piacevano anche Montanelli e Biagi. Il gusto di Montanelli mi sembrava un gusto da caserma. Ricordo lo sdegno con cui lessi gli insulti alla povera C. Elena che era dal punto di vista politico una papleu, una mentecatta, ma insomma dire a una signora che aveva perso la testa per il furore dell’ascesi proletaria. Ricordo questa espressione, ma questo qui, ma quale maestro e maestro, questo qui è un cafone che potrebbe star bene in una caserma. Oppure che so: una scoppiettata e via. Questa è la bella vita dei partigiani. Io stilisticamente Montanelli lo considero un corruttore del gusto degli italiani. Biagi non ne parliamo. I mastri del giornalismo italiano degli anni ’50, ’60 e ’70 li trovavo ributtanti. Io leggevo Gramsci. Mi piaceva il giornalismo di Marx, la corrispondenza di Marx sul ’48 in Francia. Mi piacevano i testi giornalistici di Gramsci, ma il giornalismo italiano degli anni ’50 e ’60 li trovavo ributtanti.
Che cosa ho imparato io dal giornalismo? Una cosa umilissima che oggi non pratica più nessuno: sforzarsi, proprio dai livelli più bassi, sempre di offrire al lettore di media cultura, al quale pensiamo di rivolgerci, tutti o quasi tutti gli elementi per cui lui possa capire di che cosa si sta parlando, per cui anche in questi mezzi che alcuni ritengono un po’ troppo sofisticati, non pretendo di riuscirci, ma io non uso mai un linguaggio gergale, specialistico. Cerco sempre di far arrivare le sciocchezze che dico al maggior numero possibile dei lettori. In genere vi posso citare Nietszche, e naturalmente so benissimo che su eventuali lettori ci saranno moltissimi che non sanno chi è Nietzsche, però cerco di evitare che oltre non saperlo, non capiscano in quale territorio ci stiamo muovendo.
E questa è l’unica cosa che quindi credo di aver imparato dal giornalismo perché la lezione più elementare ai miei tempi quando c’era quel motto inglese delle cinque W: chi, come, quando, dove e perché. E questo è l’unico aspetto diciamo dell’attività giornalistica che io credo di avere in qualche misura cercato di imparare. Comunque vedo che oggi non lo rispetta più nessuno. Infatti di enunciare chi, come, quando, dove e perché fin dall’inizio non lo pratica più nessuno, neanche nelle cronache. Sono tutti pensatori, anche quando scrivono storie di cronaca mondana o scrittori insomma. Per me questa cosa spesso è l’unico ancoraggio fermo; e forse è l’unico insegnamento che ho ricevuto da appunto quando nelle redazioni ai ragazzi come me che si avviavano o per vocazione o per altre circostanze a questo mestiere veniva insegnato: chi, come, dove, quando e perché. E qualcosa di questo insegnamento spero che siano rimaste in queste lettere.
Vorrei concludere, per comunicare un aspetto così da cucina, come nascano questi pezzi, insomma. Oggi per esempio -poi diventa un vizio pensare in quel modo- vediamo che cosa direbbe di ciò qualcuno che, stamattina leggendo un po’ di questa cosa del crocifisso mi sono venute due idee, che mi dispiace di non averle potuto scribacchiare perché sono venuto a Padova per fare tutt’altro, che è anche un po’ vanesio partecipare alla presentazione di questo mio libercolo. Allora dicevo: ma insomma chi potrebbe essere felice di questo gesto cretino di Strasburgo di ordinare la rimozione dei crocefissi dalle scuole europee? E ho pensato subito naturalmente che li c’è una iubris illuministica che sono quasi congreghe giacobine terroristiche per cui forse bisognerebbe fare una lettera, forse domani la butterò giù, di Roberspierre ai giudici di Strasburgo con una proposta di sostituire il crocifisso con una ghigliottina in modo da rivendicare le radici non cristiane ma francesi dell’Europa. Grazie.
Ruggero Chinaglia Ringrazio Ruggero Guarini per questo suo primo intervento, che ha dimostrato che c’è furia e furia, c’è la furia di Aiace nell’Iliade che comporta la strage degli armenti e c’è la furia di Orlando che comporta la ricerca, l’indagine perché non è mai appagato e quindi nella furia che ispira Ruggero Guarini, occorre dire, non c’è traccia di livore, di rivendicazione e soprattutto di vendetta che oggi invece i giornali spesso fomentano. Proseguendo il dibattito noi chiediamo a Paolo di farci la continuazione di quello che ci aveva annunciato.
Paolo Coltro Come detto prima, mi interessava l’uomo e sta venendo un po’ fuori, prima leggevamo quello che scrive, adesso ce lo troviamo davanti. Sospettavo fortemente che fosse simpatico. È un incazzoso però Guarini, e lui se la prende con questa veemenza che affiora, eccome se affiora; e infatti, ce l’ha detto prima, non potrebbe essere una minestrina riscaldata quello che lo fa pensare, quello che scrive, deve esserci una incisione, deve esserci uno stimolo forte ecc. Quello che a me personalmente dispiace è che sia un pochino uniderezionale e considero che una intelligenza come la sua dovrebbe essere più a 360° (mi si passi il luogo comune) perché non ci si può alterare sempre e comunque con le stesse persone e sempre e comunque per gli stessi motivi.
Lui se la prende ed è bellissimo fare i polemisti in punta di fioretto; questo dico è la forma più alta della possibilità di fare giornalismo, questo per me forse, e qui ce lo teniamo un attimo, nonostante ci siano le cinque W: chi, come, dove, quando e perché, non sono notizie. Questi sono commenti e con somma invidia, io dico a Guarini, gli viene in mente qual è l’epistolario immaginario da cui tirar fuori questa sua lettera quasi quotidiana, cioè chi può scrivere a chi? Ma prima di tutto questo c’è, a parte la scrittura ecc., è qui che poi mi dispiace, perché mi dispiace, ma con totale simpatia per l’uomo, è che è già tutto programmato per andare a finire là . E io me lo aspetterei invece più libero. Da qualche parte lui si è definito, l’ho trovato in internet, un libero pensatore, una testa libera.
Ruggero Guarini Io? Un libero pensatore? Io ho orrore. No, non l’ho mai detto. Impossibile. Mi faccio una risata al termine, penso subito al farmacista di Madame Bovary, penso subito a un imbecille. Libero pensatore, ma chi si può dire libero pensatore? Peraltro sono completamente pervertito dalla dimensione psicanalitica del discorso… Libero pensatore! Ma noi non siamo liberi di niente. Ci divertiamo a simulare una libertà che ci permette di dire quello che siamo indotti dalla nostra natura a pensare.
Paolo Coltro Perfetto, ma ecco, posso fare una domanda? Possibile che in tutto il libro ( omissis )
Ruggero Guarini E che posso farci se mi sembra che dopo la caduta del muro di Berlino e dopo l’implosione dell’ultimo grande miraggio del comunismo mondiale ci sono ancora dei cretini che fondano dei partiti intitolati rifondazione comunista? Se ci sono presunti grandi sofisti della stazza come Massimo Cacciari che non hanno detto mai una parola sulla metanoia che probabilmente hanno subito anche loro, hanno conosciuto anche loro quando hanno visto disgregarsi, sfaldarsi, liquefarsi tutte le sciocchezze che hanno pensato? Quando vedo che ancora oggi può aver successo un imbecille totale come Toni Negri, un cretino che ha scritto: il comunismo deve essere un produttore di felicità per tutti. Vuole produrre la felicità ? Quando vedo che ancora ci sono degli analfabeti che pensano di avere in testa la ricetta per rendere felice l’umanità e che io definirei semplicemente dei volgari maleducati? Ma che pensino ai fatti loro! Ma come?! C’è qualcuno sulla faccia della terra che mi vuole rendere felice? Ma si faccia le felicità sue!
Questo per far capire quanto sono patologiche, me ne rendo conto, le radici del mio incessante stupore di fronte a questa cosa veramente sconcertante che è una continua rinascita di pulsione, speranzose, di carattere utopico, rigeneratore e salvifico, quando due secoli di storia dimostrano che ogni movimento suggerito, scatenato, fomentato da questo orientamento psicologico, antropologico ha prodotto disastri peggiori di quello ai quali si voleva rimediare? C’è una paginetta di Dostoevskij nei Demoni in cui c’è un signore che durante a una riunione dice: ma che strano!? Qui tutta la trama dello sviluppo del mio pensiero (omissis) avevo pensato di progettare una società perfetta, la libertà assoluta ecc. però vedo che alla fine, tirando le somme da questo mio proposito, da questo mio desiderio non potrebbe che nascere una società più dispotica di tutti i tempi.
Questa cosa qui nel 1874, 1875 in una epoca di grande resistenze e qui invece ancora stiamo pensando che domani…Come posso non pensare che il nostro Paese è un paese veramente marcio rispetto a certi aspetti, se oggi c’è addirittura l’idea che estirpare la corruzione dall’Italia, e forse dal mondo, ci pensano i magistrati? Ma io trovo la cosa più comica, sinistra e ributtante dell’universo un fenomeno come questo, però la storia è una sciocchezza, ha ragione Levi Strauss: la storia accoppa tutto purché se ne esca fuori.
Maurizio Cerruti Una considerazione. Mi sembra che stia emergendo un Guarini che è completamente diverso dal Guarini autore del libro cioè scopro una vena polemica piuttosto intensa, sul libro è in versione molto soft, almeno io lo letta così.
Ruggero Guarini Ma è una tecnica. Mica posso esibirmi tutti i giorni con questo furore che fa parte della mia vita privata. La gente mi prenderebbe per quello che sono, per una pazzo. Io invece cerco di sembrare una persona perbene. In parte credo di esserci riuscito. Mica posso far sta scenetta tutti i giorni un pezzetto, no? non sono mica (omissis) ?.
Un’altra cosa che vorrei dire, una cosa che, non dico che m’infuria adesso, cerchiamo di essere più modesti anche nella gerarchia dei sentimenti, per certi aspetti mi ha tanto aiutato in questi giorni, in questi anni da quando sono uscito dal Partito Comunista. Nel ’76 io tutte le volte che m’incontro o che mi sono incontrato con i miei vecchi compagni che sono rimasti più o meno comunisti non ne ho trovato uno che serbasse il più pallido ricordo, un ricordo vagamente preciso delle letture che facevamo da ragazzi. Una volta mi è capitato di parlare con D’Alema di scoprire che non ricordava nulla né della teoria del feticismo delle merci, né della caduta tendenziale del saggio di profitto, né addirittura nulla della differenza del valore di scambio e del valore di uso che sono proprio le prime pagine del Capitale, almeno ai miei tempi quando si entrava nel Partito Comunista, ci si sforzava di impadronirsi anche del testo di Marx.
Tutti gli apologeti di Gramsci, scrittore che io continuo ad ammirare per certi aspetti, però non sanno che sul problema del rapporto tra la coscienza e il partito, Gramsci ha scritto cose più infami di loro. Non ho incontrato un solo comunista che quindi abbia letto bene le note sul Machiavelli, nel quale si dice testuale questo, Gramsci dice che il partito sta nel discorso di Dio non nella coscienza degli umani, ragion per cui poi, aggiunge che il bene e il male (omissis). Gramsci dice testualmente che il partito deve prendere, in un piccolo abbozzo di saggio di etica, il partito deve prendere la coscienza di Dio nella coscienza.
E prosegue che tutto il bene e il male deve essere giudicato in funzione di ciò che crea vantaggio o svantaggio al partito. Ora questo non è assolutamente vero. Non ci crede neanche Marx. Questa è una idiozia e una infamia che è venuta in testa soltanto a quel brav’uomo che per certi aspetti è un uomo ammirevole. Ci sono certe sue pagine che ancora si possono leggere con profitto, soprattutto a carattere letterario, ma su questa cosa qua che comunisti erano questi? Io sono comunista non loro, in un certo senso. Non ne ho trovato nessuno. Va be’, questo è un dettaglio per spiegare la ragione della scarsa stima che ho io di questi (omissis )
Maurizio Cerruti Forse, a volte, si dimenticano cose che non si vogliono ricordare.
Ruggero Guarini Non lo so, non lo so, in quanto sono poveri orfanelli pieni di (omissis). Il mio è furore, ma non è sicuramente rancore, non c’entra niente, individualmente mi sono pure simpatici, mi sembrano tanti poveretti, è una cosa piuttosto triste, è come una somma di un numero infinito di fallimenti. Non ne hanno azzeccata una e continuano a sdottoreggiare? Non ne hanno azzeccata una: hanno sbagliato con Stalin, hanno sbagliato con Lenin, Ingrao poco fa ha sbagliato pure con Saddam, ha detto che Saddam era meglio di Bush e sbagliano tutto, però sistematicamente in genere loro hanno sempre questo alibi: che quando sbagliavano loro era giusto sbagliare. La loro etica è questa qua. Se avevi avuto ragione allora, no non andava bene, allora dovevi aver torto perchè soltanto in questo modo avevi ragione. Ma abbiamo troppo polemizzato.
Ruggero Chinaglia Proseguiamo con un’altra domanda?
Paolo Coltro A me piace il tono polemico, mi piace, mi piace. Però c’è una distanza, molte delle cose che lei diceva sul comunismo sono sottoscrivibili subito, però c’è un salto ulteriore, non è che da una parte c’è l’oro che luccica e gli spiriti migliori e le verità sacrosante.
Ruggero Guarini Per me la cosa non va valutata in termini politici, va valutata in termini di mitologia. Al vertice dell’altra parte c’è un uomo che non sa di essere un dio o un demone. Tutte le cose giuste e tutte le cose sciocche che fa sono determinate da una natura, che è un evento epocale per me, per un fatto fondamentale: che per sua fortuna non ha nessuna delle caratteristiche che si accompagnano alla formazione del carattere e della forma mentis di tutti gli elementi del ceto politico italiano, cioè è un uomo che non ha mai portato la borsa, non viene da una fede di partito, non ha perso le sue giornate fumando pacchetti di sigarette con tanti giornalacci per discutere quale deve essere la linea del partito oggi senza preoccuparsi mai di prendere il posto al paese.
Uno dei fatti più clamorosi della storia della sinistra italiana è che quando si è fatto il voto sul divorzio nessuno ha previsto che ci sarebbe stato lo scarto di 8, 10 punti in percentuale tra il si e il no. Nessuno. Allora come si spiega che il partito che aveva un’organizzazione più tentacolare, più radicata nel territorio, con maggior numero di sezioni, cellule, federazioni provinciali, federazioni regionali, federazioni comunali ecc. che aveva quindi la maggior possibilità di tastare il polso del paese non ha capito che questo paese era intanto diventato divorzista? Ma questi sono dei poveracci che fanno un lavoro che non ha niente a che fare con la politica di sempre, è qualcosa autoreferenziale, un delirio continuamente autoreferenziale tra la sezione e il palazzo.
Insomma questa è la verità . Lo stesso Pannella non lo capì. Prevedeva, prevedevano uno scarto di mezzo punto, un punto in percentuale, non di più, non so se mi ricordo bene, ma era così. La battaglia del divorzio con dieci punti di scarto non la vide nessuno. Io sono sicuro che invece forse qualche uomo semplice della piccola, media borghesia bottegaia lo avrebbe capito, anche perché io sono convinto che la battaglia del divorzio non fu una predicazione radicale che non arrivava a nessuno, l’ha vinta il neocapitalismo che mettendosi a disposizione delle masse operaie e piccola borghesia, la seicento, la televisione e le tessere, insomma Agnelli e Bernabè, del tutto involontariamente senza neanche immaginarlo, con l’utilitaria e la televisione hanno modificato il costume degli italiani al punto che anche un impiegato delle poste dice: ma non sai che (omissis).
I grandi smottamenti, i cambiamenti del costumi, i grandi cambiamenti, la politica, noi li sopravvalutiamo troppo, ma c’è una sola vera trasformazione del miglioramento o peggioramento della vita degli umani sulla faccia della terra negli ultimi due secoli che sia stato determinato da un evento politico? Ma scherziamo? Qui tutto è cambiato perché qualcuno ha inventato la corrente elettrica, un altro ha inventato il computer, la classe operaia ha completamente cambiato volto perché i torni, le catene di montaggio e gli altiforni vengono manovrati dalle tastiere e perfino, come ricordava il mio amico Chinaglia poco fa, c’è una categoria professionale quasi completamente estinta, ma non per le lotte sociali, parlo dei facchini perché un imbecille negli Stati Uniti ha inventato la valigia a rotelle. Questi qua non capiscono e non fanno niente, sono semplicemente un ostacolo al naturale sviluppo delle cose, quindi Berlusconi.
Berlusconi è uno che con la sua stessa natura e con una scarsa capacità di analisi politica distinte incarna una visione delle cose che è contro la burocratizzazione della vita. Non ce la farà probabilmente, fa un sacco di sciocchezze, ma è un discorso che non ha nulla a che fare con l’analisi della situazione politica. Poi anche questo suo (omissis) che lui una volta ha fatto un paragone scriveva in una letterina, ma non mi ricordo se proprio in una letterina, se non che lui non lo sa ma lui è come Mercurio prestava vino a Hermes che è l’autore pseudo omerico, insomma questi strani cortocircuiti che mi vengono in testa rileggendo fino a Hermes, VI secolo avanti Cristo, un autore attribuito a uno degli inni omerici, attribuito a Omero ma in somma si sa che non si chiamano così per convenzione, che cosa fa appena nato Mercurio?
Ammazza una tartaruga e ci fa una chitarra senza suonare, secondo atto ruba l’armento di suo fratello Apollo, anzi no prima si fa prendere in braccio da Apollo e gli fa una scoreggia, poi gli ruba l’armento e riesce a ingannarlo con un trucco che non mi ricordo tecnicamente come fa ma fa in modo che le impronte, le orme lasciate dagli zoccoli di questi bovini o ovini sia inversa all’ordine della marcia, che portino nella direzione contraria a quella che poi Apollo seguirà . Poi diventa, si specializza in una attività : la comunicazione. Fa il messaggero, mette le ali ai piedi e mette in comunicazione tutto in comunicazione con tutti persino l’inferno con l’Olimpo, scende nell’Averno, nel regno delle tenebre per pregare Ade di lasciarli prendere Proserpina e di portarla dalla mamma, per alcuni; e poi naturalmente si mette a proteggere tutti le proprietà private, i campi, ecc. con quelle mezze statue, le terme che sono itti fallici, sono sempre a cazzo dritto.
È Berlusconi, è mercuriale, suona la chitarra sotto il fratello, è un po’ mariuolo, si mette a fare il comunicatore a tutti i livelli, per giunta ha vaghe attitudini, così, ai genitali, curiose attitudini sessuali, tutti tratti mercuriali quindi tutti quelli che stanno a dire ma qui ha sbagliato e li, chi parla? Ma non capite che quello lì non è un politico normale, è un evento epocale attraversato da un soffio mitico di cui lui stesso non sa nulla. Io con Berlusconi non vorrei incontrarmi neanche in ascensore.
Paolo Coltro Perché non si sa mai cosa gli passa per la testa.
Ruggero Guarini Se qualcuno gli va a dire di questa mia interpretazione mitologica magari fa una telefonata a Capezzoni e dice: ma il commento di Guarini, la vogliamo smettere?
Paolo Coltro No, sarebbe onoratissimo , infatti io le volevo chiedere: ma io non credo che lei sia innamorato di Berlusconi, come è possibile?
Ruggero Guarini Sì.
Paolo Coltro Si? Si, abbiamo la confessione.
Ruggero Guarini Lei deve sapere che nella mia vita c’è un giorno fondamentale, il matrimonio con la mia seconda moglie che accade nel giorno in cui lui vinse, nel 1994. Questo accade, ci fu una festa a casa di Ronchelli e arrivò ‘sta notizia che lui aveva vinto, e dissi meno male. Di questo giorno sono felice perché ho sposato una donna e è stato eletto un uomo e nessuno dei due mi vuole migliorare. La verità è questa che i miglioratori dell’umanità non mi piacciono. Non mi piacciono i salvatori, i salvatori mi piacciono soltanto sconfitti da 2000 anni per cui si appende il crecefisso per ragioni completamente diverse. Va beh, forse s’è fatto tardi, no?
Paolo Coltro Comunque Guarini è tutto diverso da (omissis) siamo riusciti a farlo venire fuori, ma non esattamente da come viene fuori dal libro! Lei mi consentirà o no?
Ruggero Guarini Non lo so, è un libro che si è fatto da sé. Io ne posso dire molto poco. Io quando ne ho parlato con Mario, non so, una volta gli ho detto che, insomma mi da anche fastidio. Quando ho dovuto correggere le bozze è stata una sofferenza perché è una materia (omissis)
Volevo dire un altro dei motivi, ecco forse questo può essere interessante. L’escamotage delle lettere di far intervenire le voci del passato era per mettere tra me e questa materia una distanza perché è una materia veramente deprimente. Dover scrivere una normale nota critica, anche in una forma più o meno nobile, sicuramente, ma parlare con tono serio di ciò che sta accadendo in Italia, anche nel modo, secondo me, impeccabile per certi aspetti di un osservatore che io stimo molto come Orsellino, non c’è la faccio, non ci riesco. Non riesco a parlare con serietà di quel che accade oggi in Italia, non se ne può (omissis) devo mettere una distanza insomma. Limare il proprio tempo è una cosa che mi ripugna profondamente. Sarà un mio limite, ma non ce l’ha faccio.
Paolo Coltro Questo è sacrosanto. Che non si possa parlare seriamente di quello che sta capitando in Italia è assolutamente condivisibile, solo che si può ridere di tutto e di tutti.
Ruggero Guarini Come si fa a parlare seriamente di un giudice napoletano che da solo decide di condannare la C.I.A. e di farci pagare un milione di euro a un terrorista per risarcirlo del fatto che fu rapito sotto segreta distanza? Come si fa a parlare con serietà ? Ci parlo una volta e poi poteva essere classificato, ma no, c’è qualcosa di comico nella storia umana che è eterna, come si poteva parlare con serietà di un evento che ha conosciuto il processo a Maria Antonietta con l’accusa di aver corrotto sessualmente il figliolo da uno degli avversari, sono cose da mettersi le mani nei capelli. Ciò come si può non ridere come pazzi all’idea che si è tentato di affermare l’idea di uguaglianza fra libertà , egalitè e fraternitè tagliando qualcosa come tra 300 e 400 teste al giorno per un paio d’anni, quella funzionava a regime continuo, nessuno ha riso. Vi risulta che qualcuno abbia riso del terrore? C’è qualcosa di comico o no? Se si mette insieme (omissis) E quindi credo che prendere la storia giorno per giorno nel suo farsi non si può parlare di serietà .
Paolo Coltro Ma noi saltiamo dal paradosso, che è evidente, alla ricerca della forma satirica.
Ruggero Guarini Mah, è una forma di divertimento nella vaga speranza che qualcuno si diverta per qualche dettaglio riuscito, qualcun altro invece che si arrabbia per qualche banalità scappa sempre. Io non so se poi è satirico, io penso che, non lo so, quello che posso dirti è che sicuramente è l’estrazione di un umore sincero, di una cosa.. insomma pigliamo un’altra cosa assolutamente comica. Io ho un grande rispetto per Giampaolo Pansa, non ammirazione rispetto. Sicuramente il lavoro che ha svolto negli ultimi anni per stabilire che durante la guerra partigiana durante la resistenza furono commessi sia da una parte che dall’altra parte iniquità più o meno equivalenti ha fatto bene. Però, uno. Come si è potuto credere per tanti anni che ciò non fosse accaduto? Esiste una sola guerra civile nel corso della quale non siano state commesse iniquità da entrambi le parti?
E come mai finora nessuno ha obiettato a Pansa, salvo il sottoscritto in una lettera indirizzata anche a lui, che il vero problema della resistenza e della storia della resistenza non è tanto quello di stabilire quali e quante infamie sono state commesse anche dai partigiani ma quale grande infamia è la balla che si racconta da 50 anni a tutti i ragazzi d’Italia sulla repubblica democratica nata dalla resistenza. Io ho quasi 80 anni ma mi ricordo che è nata perché gli americani sbarcarono in Sicilia, credo. Poi a Salerno, poi ad Anzio e poi sono andati verso il nord a quel punto è cominciata la resistenza con un piccolo dettaglio che molte camicie nere si tolsero le camicie nere e si misero quelle rosse: caso Bocca. E allora perché dobbiamo continuare a raccontare che siamo giunti alla democrazia e alla repubblica grazie, non dico soltanto alla resistenza ma all’antifascismo? L’antifascismo non ha abbattuto il fascismo. L’antifascismo, quando il generale Clark è arrivato a Roma, il comitato di liberazione nazionale erano tutti nascosti nei conventi e il fascismo era già caduto da un pezzo. Il fascismo crolla su se stesso dopo pochi giorni dopo lo sbarco in Sicilia. I poveri antifascisti o stavano in galera o stavano in esilio o stavano nascosti nei conventi vaticani: che potevano fare? Ma perché si deve raccontare la balla del fascismo è stato abbattuto dall’antifascismo? È una pura e semplice balla, il fascismo è stato abbattuto dall’arrivo degli americani. È così o no?
Paolo Coltro A linee brevi.
Maurizio Cerruti Vorrei fare una domanda. Intanto sapere come, in quale circostanze ha maturato questa sua conversione, perché lei è del partito comunista, e soprattutto cosa salva dalla sua esperienza di gioventù diciamo.
Ruggero Guarini Salvo alcune letture che ho fatto avendole lette alla luce del marxismo in una epoca in cui la cultura italiana di stampo idealistico, crociano, storicista nulla sapeva di un orientamento critico basato diciamo sul suo aspetto cioè la cultura ottocentesca e novecentesca ha prodotto due grandi eventi: il marxismo e la psicanalisi. Sono scuole del sospetto che hanno contribuito potentemente a introdurre nella mente degli intellettuali europei questo gusto, questo bisogno di vedere che c’è sotto e questo sicuramente è qualcosa che mi è rimasto. Io resto per certi aspetti marxista, non comunista ma marxista, perché sicuramente nell’analisi del feticismo delle merci c’è qualcosa di una genialità demonologica assolutamente vero che nei rapporti tra noi, il lavoro, il denaro, la merce ci sia qualcosa di enormemente spirituale proprio perché demonico o demoniaco lui ha assolutamente ragione.
Basta pensare al fatto che noi tutte le volte che compriamo una penna stilografica o un appartamento a tutto pensiamo tranne al fatto che il denaro che stiamo per scucire è il simbolo del lavoro cristallizzato in quei beni e che quindi noi compriamo e vendiamo continuamente lavoro altrui. Qui c’è qualcosa di demoniaco, no? Le basi del capitale sono strepitose. Peccato che questi stronzi di comunisti di oggi hanno pensato che invece la loro bandiera deve essere la questione morale. Questa è una posizione pre-marxista perché Marx aveva giustamente stabilito che l’etica, come tutte le grandi manifestazioni dello spirito umano, appartengono alla sovrastruttura. Certo il dato fondamentale sono i rapporti di produzione, il lavoro umano, ma chi si attiene più a questo vero marxismo? Nessuno. Già con Berlinguer avevano deciso che la loro bandiera era la questione morale che era stata dileggiata non solo da Marx ma persino da Croce. È chiaro?
Poi un’altra cosa che mi resta è che quando ne sono uscito ho fatto un po’ di autoanalisi sulle ragioni per cui avevo sorvolato su alcuni aspetti della politica del Partito Comunista che non mi piacevano perché già da allora quando leggevo Togliatti che scriveva che Freud e la sua dottrina allontanava la classe operaia dal partito e dalla lotte operaie per portarla al lupanaro, testuale, case chiuse insomma. Oppure di Gide che aveva scritto quello che aveva visto in Unione sovietica, disse; che si occupi di pederastia dove è competente. Dice: adesso hanno scoperto la sessuofobia, sono sempre stati sessuofobici. Allora perché ho osservato a lungo?
E allora feci un po’ di autoanalisi e mi dissi che dovevo ammettere che, tra i motivi per il quale io avevo continuato a militare in quel partito anche negli ultimi anni senza crederci molto, anzi dissentendo molto, c’erano due fattori: che in me agiva un forte risentimento nei confronti della mia famiglia, soprattutto di mia madre, che era una famiglia borghese in decadenza che quindi non era più in grado di permettermi di farmi vivere all’altezza dei mezzi della classe a cui appartenevo. Un invidioso. E l’altro è il fatto che avendo fatto questa scelta e essendo rimasto lì per 10 anni, mi ero sposato, avevo due bambini da far campare. Dici: ti potevi trovarti un posto in un giornale borghese. Eh no, non ero ancora maturo per accettare il fatto di passare da “l’Unità ” a “Paese Sera” a “Il Messaggero”. Era un’epoca in cui (omissis)
Io sono uscito fuori completamente da quel tipo di preliminare, da quel tipo di pregiudizio favorevole a ogni posizione di sinistra soltanto quando vissi la deriva degli anni migliori, solamente quando in cui veramente capii: basta non c’è più niente da fare. Anzi io uscii dal Partito Comunista sperando ancora che potesse nascere qualcosa di buono a sinistra del Partito Comunista, ma quando vidi che quelli incendiavano le baracche degli spazzini missini a Primavalle o che ammazzavano Calabresi, gli anni di piombo ecco, e poi quel cretino di Piperno che scrive, non so se ve lo ricordate il testo di Piperno sul rapimento Moro: la potente geometria di via Fani. Non c’è niente da fare, quindi queste sono più o meno le tappe. Poi i fatti di Ungheria, qualche ingenua speranza che finalmente nascesse una sinistra, magari anche un po’ violenta ma insomma seria, a sinistra del Partito Comunista dopo il 1968, poi le cose micidiali, non le delusioni, le imprese degli anni di piombo, lotta continua.
Sonia Ferro Ruggero, ero più interessata a sentire un tuo pensiero che mi dicesse come sei uscito dal Partito Comunista
Ruggero Guarini Ma me l’ho ha chiesto lui!
Sonia Ferro Eh, lo so, ma non perdiamoci, non è che dobbiamo giustificarci.
Ruggero Guarini Ma io non mi sto giustificando Sonia, sto raccontando. Tanto tuo marito la conosce benissimo questa storia, che l’abbiamo in parte condivisa. Ci sono perfino le motivazioni famigliari e sociali, c’è qualche affinità , ne abbiamo parlato giorni fa con Umberto. Ma comunque che vuoi giustificare? Io non mi accuso e non mi giustifico, motivo, motivare è una cosa diversa dalla giustificazione. Poi non mi giustifico affatto perché in realtà io c’è qualcosa che non mi va molto bene in questo percorso perché io ho 18, 19, 20 anni avevo già tutti gli strumenti culturali per capire quanto, che cosa, per capire quanti gravi, radicali, essenziali fossero i limiti della prospettiva comunista. Avevo letto Dostoevskij, avevo letto Kafka, avevo letto Freud: come mi è venuto in testa di entrare in quel partito? Quindi non è che sono molto orgoglioso.
Umberto Silva Sembra che si parli all’infinito dell’eternità , bisogna ogni tanto (omissis) tu lo sai (omissis). Ci siamo conosciuti quaranta anni fa in un palazzo di via Giulia, subito ci fu simpatia fra noi e fosti subito molto generoso, usciva un mio libro in cui scrissi un bellissimo articolo ti ricordi un pezzo sul fascismo.
Ruggero Guarini. Idealità e morte, macché sul fascismo.
Umberto Silva Rispetto ai miei libri sei stato generosissimo, una ventina di libri , io invece seguivo..
Ruggero Guarini. Poi t’ho fatto scrivere sul Messaggero.
Umberto Silva Hai fatto di tutto.
Ruggero Guarini Ti ho fatto pagare dei pezzi che non facevi.
Umberto Silva Appunto, e soprattutto hai collaborato moltissimo alla mia formazione culturale perché tu sapevi tutto, perché sapevi sempre tutto. Questa è la questione: hai sempre saputo l’inizio e la fine delle cose, ma questo tuo sapere che mi ha sempre entusiasmato e che è stato così importante nella mia formazione lo trovo non altrettanto bello, importantissimo ma non altrettanto bello, come quello che non sai, quello che non sai è decisamente superiore.
Ruggero Guarini. Ma questo è valido per tutti.
Umberto Silva Questo è valido per tutti e quindi è anche per te.
Ruggero Guarini Non è il non sapere ma è il non detto che è sempre il più importante.
Umberto Silva Il non detto e il non saputo. A questo punto il tuo sapere mi ha interessato per due cose in particolare e che mi interessano tuttora. Per la tua continua critica alla saccenza, alla saccenza comunista, alla saccenza di qua e di là ; questa lotta contro la saccenza la trovo fondamentale e sicuramente tu sei uno di quelli che in assoluto si è impegnato di più. Poi trovo molto importante la tua rivalutazione del mito, la rivalutazione dei miti, al rivalutazione della (omissis) come hai espresso ampiamente su “Il Foglio” nei bellissimi 10 testi che spero che vengano pubblicati e perché c’è una forte nostalgia della polemica anticristiana e comunista perché il comunismo è un dettaglio del cristianesimo e questo fa parte della tua opera ed è importante.
Poi c’è un’altra opera l’opera poetica che ho l’onore di aver pubblicato perché c’è Ruggero Guarini che non sa, lì c’è un Guarini che è disarmato non è più il Guarini polemista che sa tutto e che giustamente indica l’errore e così via li c’è il Guarini tentato, di morire, il Guarini disperato senza più appigli, che non può appigliarsi alla sua biografia, al partito comunista, non si appiglia a nessuna presenza davanti al nulla, parla del nulla, c’è il nulla, sfiora il nulla e così un altro poemetto chiunque tu sia dove c’è Dio, altro nulla, il Guarini che non sa in tutte le sue espressioni, quando depone a sua volta per capire che è sempre al confine è il Guarini che arriva all’arte. Questo è il Guarini che vorrei sempre sentire e che spesso ho il piacere di sentire nelle interlocuzioni che appunto ho da quaranta anni e ancora di più. Grazie Ruggero.
Ruggero Guarini Grazie a te.
Ruggero Chinaglia Bene quindi abbiamo ascoltato vari aspetti, varie proposte, varie testimonianze soprattutto, un aspetto molto interessante questa sera, si tratta anche della testimonianza di Guarini, testimonianza che proceda dalla traccia, della disseminazione della varietà , della variazione dell’itinerario. Nella testimonianza, proprio perché qualcosa procede dalla traccia, non c’è giustificazione, meno che mai questa sera da parte di Guarini che non ha da giustificare nulla dato che la sua scrittura indica un percorso, un itinerario di conquiste che di giorno in giorno va facendo, dunque la sua scrittura non procede dal sapere.
Occorre tener conto che questo libro contrariamente a quello che può essere sembrato, non è un libro che parla di politica, non è solamente un libro in cui emergono dati politici, dati della storia della politica italiana e internazionale, ci sono anche delle curiosità interessantissime tra le righe, tra le pieghe del libro. Leggendo noi apprendiamo che la profondità non esiste, che Guarini paragona il cervello a una cipolla e che, proprio in una lettera che prende in considerazione quello che lui chiama “l’ormai leggendario festival della mente” mette in ridicolo la nozione di profondità . Se voi state attenti a ciò che si dice da più parti, interviene a più non posso la “profondità del pensiero”, la “profondità di un quadro”, la “profondità di una annotazione”, molte profondità … Guarini dice che la profondità non esiste, la questione importante è la superficie e sotto la superficie c’è un’altra superficie. Lui prima diceva: cosa c’è sotto, cosa c’è sotto? Sotto c’è un’altra superficie.
Ruggero Guarini. E’ un fatto di necessaria modestia. Non sono io a dirlo è il sapere napoletano che lo dice.
Ruggero Chinaglia. Esatto. Tu lo scrivi.
Ruggero Guarini. Io ci gioco sopra come l’apologia della superficie credo sia di Salini.
Ruggero Chinaglia Tu lo scrivi così come anche troviamo nel libro la curiosità che proprio Pier Paolo Pasolini invocava l’abolizione della scuola dell’obbligo, così come troviamo che Ghoete si trova a dare consigli intorno alla finanza e al credito. Insomma troviamo tante cose, troviamo anche la messa in questione del primato della coscienza e troviamo che attorno al Risorgimento e all’unità d’Italia di cui ricorre il centocinquantesimo anniversario, Guarini scova una lettera di Garibaldi ad Adelaide Cairoli in cui Garibaldi stesso non è entusiasta della sua opera di liberazione. Troviamo quindi tante cose, tantissime cose, anche molto umoristiche, molto ironiche e per dare un piccolo esempio come la lettura di questo libro può dare un contributo a ciascuno leggiamo la lettera di Totò a Walter Veltroni.
Lasci che un povero giullare, che a torto o a ragione fu definito “il principe della risata”, si congratuli con lei per l’eccezionale vis comica che le ha suggerito la strepitosa battuta con cui ha rivendicato l’esclusiva del marchio “Obama” su tutto il territorio nazionale.
“Barack è nostro” ella ha detto col tono ultimativo delle dichiarazioni fatali e la toccante fierezza con cui ha scandito queste parolette imperiose mi ha ricordato l’orgoglio con il celebre onorevole Trombetta, battibeccando con me nel mio leggendario sketch Wagon-lit, tento a lungo ma invano di mortificarmi sventolandomi sotto il naso i suoi titoli onorifici.
Con tutto il rispetto dovuto a uno statista del suo rango le comunico perciò che considero il lungo cachinno che ella mi ha estorto con questa sua ultima, concisa esternazione, un’inoppugnabile prova della sua appartenenza della famiglia dei grandi maestri della comicità involontaria.
Complimenti.
Questo è un esempio delle lettere che voi potete trovare nel libro che è da leggere e da acquistare. Qui sono disponibili delle copie che Ruggero Guarini sarà lieto di firmare e di apporre una sua dedica. Quindi ringrazio ciascuno di voi che è stato qui stasera, ringrazio Maurizio Cerruti, Mario Andrea Rigoni, Paolo Coltro e Ruggero Guarini che ci hanno consentito una serata veramente interessante. Grazie.